11.1.16

Che ora è di © Daniela Tuscano

“Mi scusi, signorina, che ora è?”. Resto colpita più dalla voce lieve che dall’appellativo, dopo tutto non sono pochi quelli che ancora mi chiamano signorina, ingannati dai miei fagotti, dal mio aspetto mai cresciuto. Me lo domanda una vecchietta. Sono le undici, in realtà il tempo non esiste in questa mattinata brumosa ed eguale. Rispondo, poi proseguo per la mia strada, ho le commissioni da sbrigare. Ma oggi qualcosa manca. Forse è vero, non sono mai diventata adulta, nessuno alla mia età si sentirebbe povero perché da questo lunedì siamo senza David Bowie.

David Bowie visto da Giovanni Barca.
Si può pensare a lui assillati da mille preoccupazioni molto concrete, fra l’acquisto del pane e le tasse da pagare, il lavoro che sì c’è, ma domani chissà? A me succede. E succede che tutto diviene peso, lentezza e confusione. Perché io sono ancora qui, fra queste case che mi han vista crescere, d’età se non di spirito, perché i colori me li sono inventati grazie a lui, perché la fantasia ha spiccato il volo sognando con antichi giradischi. Uh, le stranianti avventure dei pomeriggi. Grevi come questo, interminabili. Che covavano vendetta e vitalità. Quanto crescevano, i nostri umani traguardi. Me lo raccomandavano gli amici: “Compra ‘Heroes’, il cantante è pazzo”. Già, e come si faceva a spremersi così, a spostare sempre più in là l’asticella degli eccessi, non tanto fisici, ma mentali?
Ma noi sapevamo di poterci superare, di non accontentarci mai. Quale Bowie preferivo? Quello di “Heroes”, come scrissi anni fa, e in seguito quello di “Young Americans” con quella chioma bionda da gracile femmina. Sì, ecco. Così era perfetto. Nordico e liberty. Soprattutto lontano dalle nostre inibizioni mediterranee. Aveva un’aria sfaccendata. 
Occidente: in quei tardi ’70 comparvero personaggi che in sé assommarono tutto, tu li voltavi ed essi come specchi riflettevano ogni trapezio esistenziale. Non avevi che da fartene scuotere. Il seguito che hai visto era frammento, variazione, fotocopia. Non è la morte a prostrare. Bensì la consapevolezza d’una non-nascita, d’un terreno mancante. Un nuovo Bowie non tornerà, non ne esistono le premesse. Ed è forse questa percezione, il sentore d’un deserto, che rende, oggi, le ore tutte uguali, il mio passo giovanile un po’ più tardo, e in fondo inutile.

©Daniela Tuscano

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