LA STORIA
Il capostazione che salvava gli ebrei
(e poi non volle dirlo a nessun
Spiava nella posta i loro nomi. Poi li andava a cercare e li avvisava
di Paolo Foschini e Roberto Rotondo
MILANO Parenti di eroe cercasi. Perché l’eroe, morto da tanti anni, era uno di quelli che la loro storia se la portano via col funerale senza averla detta a nessuno e fino a tre giorni fa non si sapeva di lui neppure il nome: che invece era Andrea Albisetti, classe 1885, durante l’ultima guerra capostazione di Tradate, tra Milano e Varese. Un servitore dello Stato come tanti, a vederlo ora mentre fa partire un treno nell’unica sua foto rimasta. Però guardatelo bene e pensateci, se credete di aver avuto in famiglia da quelle parti un ferroviere lontano e dimenticato. Perché è stato l’uomo che, intercettando e leggendo in controluce i dispacci in arrivo con gli ordini d’arresto, fra il ‘43 e il ‘45 salvò silenziosamente la vita a numerosi ebrei. Un filo che si intreccia con l’odissea di un ormai famoso violino andato e tornato da un campo di sterminio, due fratelli nella campagna di Russia, ricordi di alpini e partigiani, un professore di storia, un suo ex studente che grazie a una ricerca fatta per lui al liceo e ripescata tre giorni fa ha ricostruito la tela intera. Questa’era una volta a Tradate un capostazione che aveva due figli. Si chiamavano Dorligo e Serajevo, in quegli anni c’erano anche nomi così. Un giorno i due dovettero partire per andare a fare la Seconda guerra mondiale in Russia. Per molto tempo in paese si raccontò — ma questa cosa non è mai stata confermata — che fu il padre in persona a fischiare la partenza del treno coi suoi ragazzi dentro. Tornò soltanto Serajevo. E per tutta la vita, fino a quando anche lui morì, dedicò ogni sua energia a cercare anche solo una traccia del fratello rimasto con altre migliaia di alpini là sotto la neve. Inutilmente. Dorligo però ottenne una medaglia d’oro. L’Associazione nazionale alpini a Tradate lo ricorda ogni anno.
ecco come ci si è arrivati
http://video.corriere.it/eccome-come-nacque-ricerca-capostazione-eroe-che-salvava-ebrei/c4494dc8-c534-11e5-9850-7f16b4fde305
A salvarsi, in famiglia, era stato solo il loro papà. E molti anni dopo, ad alcuni amici, raccontò come era andata: il capostazione di Tradate — disse in pratica — aveva letto il mio nome in controluce dentro una delle buste che arrivavano da Roma con gli ordini d’arresto e anziché mettermi sul treno per Milano che voleva dire San Vittore mi fece partire in direzione opposta.
È un professore che vent’anni fa insegnava storia al liceo Marie Curie di Tradate, Alberto Gagliardo, ad appassionarsi di racconti come quello. Storie di ebrei nella zona di Tradate. Affida ai suoi studenti di allora il compito di cercarne altre. E loro ne trovano diverse. Alcune hanno in comune proprio la vicenda del capostazione. A ricordarsela con più precisione è un anziano signore di nome Oscar Stenfeld. Lo studente che lo intervista si chiama Federico Colombo: «Neppure Stenfeld però si ricordava il nome del capostazione». Le storie finiscono in un libro che il professor Gagliardo riesce a far pubblicare dall’Associazione nazionale partigiani,Ebrei in provincia di Varese. E tutto sembra finire là.
Senonché l’ex studente Colombo, oggi 34 anni, educatore in un gruppo di sostegno a minori in difficoltà, la passione per la storia non l’ha persa e nel frattempo è diventato presidente dell’Associazione studi storici tradatesi. A cui l’amministrazione chiede una mano per le prossime celebrazioni del violino. E Colombo si mette in moto. Comincia a raccogliere materiale, recupera anche la vicenda del capostazione di cui nessuno sapeva il nome. «Ma è perché nessuno — dice ora — aveva mai potuto fare il collegamento. Chi conosceva la storia dei fratelli Albisetti, cioè gli alpini, non sapeva cosa aveva fatto il loro padre. E chi conosceva la storia del capostazione, cioè gli ebrei sopravvissuti, non sapeva che avesse avuto due figli partiti per la Russia e che il loro cognome era Albisetti». Solo che? «Solo che mio padre era un alpino. E la storia me l’aveva raccontata. Così, quando ora ci siamo messi a lavorare sul violino, mi è tornata in mente quella vecchia intervista che avevo fatto a Oscar Stenfeld. E ho fatto due più due».
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