14.1.16

storie di viaggi ne di scalate con annessa : musica , poesia , fotografia



Le  due  storie    che trovate  sotto , mi  hanno fatto venire  in mente  oltre   :  il libro on the  un romanzo autobiografico, scritto nel 1951, dello scrittore statunitense Jack Kerouac ed  il film da esso tratto , ed la storia  di topolino n 3109  (foto a destra )  ad esso ispirata  , ed  il cd   sulla strada di de  Gregori 
Mi hanno riportato alla mente queste  due immaginiche ricevetti tempo fa  su   wzp ed  ho deciso di condividerle  con  voi   prima  di  raccontare  \   riprendere  le due  storie  d'oggi 







 


La  prima storia   viene  dala mia  sardegna  , più  precisamente   da i  piedi del Supramonte di Baunei ci sono 35 vie di arrampicata dedicate a Fabrizio De Andrè. Nel 17mo anniversario della sua morte il free climber Maurizio Oviglia, le ha risalite. Il servizio è di Daniela Usai. L intervistato è: lo stesso  MAURIZIO OVIGLIA 



La  seconda   a storia di  
Darinka Montico, 35 anni, nata sul Lago Maggiore, ha lasciato l’Italia a 19 anni. All’estero si è specializzata in fotografia. È stata insegnante di inglese in Asia, volontaria dopo lo Tsunami in Malesia, spogliarellista in Nuova Zelanda, barista in bikini nelle miniere australiane, ristoratrice in Laos, barista a Hong Kong, massaggiatrice di teste di giocatori di poker durante i tornei. Poi ha lasciato tutto e ha cominciato a percorrere tutta l’Italia a piedi. Dal suo viaggio è nato un libro “Walkaboutitalia. L’italia a piedi, senza soldi, raccogliendo sogni” (Edizioni dei Cammini, 2015). Info: www.walkaboutitalia.com





Ecco la  sjua storia  tratta  da  www.ioacquaesapone.it/articolo.php?id=2092 dove  trovate  le altre   7 foto  


L’Italia a piedi, senza soldi con una scatola piena di sogni
Darinka Montico: con uno zaino in spalla verso l’ignoto
Lun 21 Dic 2015 | di Claudia Bruno | Bella Italia




Lasciare tutto, cambiare vita e affrontare l’ignoto con lo zaino in spalla e neanche un euro nelle tasche. È quello che ha fatto Darinka Montico, fotografa, nata sul Lago Maggiore, che dopo aver vissuto per più di sedici anni all’estero ha deciso di tornare in Italia e girarla tutta, a piedi. Senza utilizzare mezzi di trasporto né accettare passaggi, Darinka è partita da Palermo con le scarpe da ginnastica ai piedi e tra le mani una scatola vuota ed è arrivata a Baveno – un  piccolo paese in provincia di Verbania, in Piemonte – sette mesi dopo, con le scarpe consumate e la scatola piena dei sogni delle persone che aveva incontrato lungo la strada. Da questa originale esperienza è nato un libro,“Walkaboutitalia” (Edizioni dei cammini, 2015), che Darinka ha appena presentato in tutta Italia, girandola ancora a modo suo, questa volta in groppa a una bicicletta di bambù. «Se posso dare un suggerimento ai viaggiatori: non fate troppi programmi, perché se non fai programmi non puoi sbagliare, le cose vanno sempre diversamente da come te le aspettavi». 

Come nasce l’idea del tuo viaggio, come l’hai deciso, cosa facevi prima.
«Ho lasciato l’Italia a 19 anni poi ho vissuto in diverse nazioni, facendo i lavori più disparati. Sono stata insegnante di inglese nelle scuole elementari in Asia, volontaria dopo lo Tsunami in Malesia, spogliarellista in Nuova Zelanda, barista in bikini nelle miniere australiane, ho aperto un ristorante in Laos, ho fatto la barista a Hong Kong, e molte altre cose. Poi tre anni fa sono tornata in Europa con il mio ex e ho trovato lavoro come massaggiatrice di teste di giocatori di poker durante i tornei. Lui mi ha chiesto di sposarlo e io ero felice, ma dopo un mese mi ha lasciata. È stato un momento difficile. Un giorno sono andata a lavorare e non sapevo più cosa ci facessi in quel posto. Mi sono resa conto che non volevo trovarmi lì e che non mi sentivo più bene con me stessa dopo la fine di quella relazione. Ricordo di aver guardato la suola delle mie scarpe e c’era scritto “go walk”. Ho detto, va bene, vado a farmi una passeggiata per schiarirmi le idee, e da lì ho iniziato a chiedermi quali fossero davvero i miei sogni. La risposta la sapevo già: viaggiare, scrivere, fotografare, sognare. Così ho deciso di combinare tutto questo in un viaggio solo. L’ho chiamato “Walkabout”, un riferimento alle passeggiate degli aborigeni nell’outback australiano in età adolescenziale, per riconnettersi con le loro origini ancestrali».

Perché l’Italia a piedi, perché raccogliere sogni?
«Sono sempre stata una persona lenta. Avevo in testa una frase che mi ripetevano anche a scuola: “Darinka sveglia! Il tempo è denaro, il tempo è denaro”. Allora ho pensato, beh ma se davvero il tempo è denaro e io mi permetto di essere lenta, allora sono una persona molto ricca. E così ho cercato di trasformare questa mia lentezza in un punto di forza: il modo più lento di viaggiare è farlo a piedi. Il mio viaggio è durato sette mesi, ho percorso circa tremila chilometri, sono partita senza un euro in tasca, non avevo risparmi da parte. È stato un salto nel buio, ma volevo provare e vedere cosa sarebbe successo». 
E cosa è successo?
«È successo che  proprio l’essere partita senza soldi si è rivelato il lato più interessante del viaggio. Perché senza soldi l’unica merce di scambio che hai è la fiducia. Quindi per dormire e mangiare tutti i giorni dovevo accettare l’aiuto di
chiunque. Contenta di aver ritrovato i miei sogni, andavo in giro con questa scatola per raccogliere i sogni degli altri, chiedevo a loro di esprimere a parole su un foglio cosa sognano, cosa vogliono fare nella vita. E poi, siccome sono sempre stata una grandissima fan de “La storia infinita”, mi piaceva l’idea di impersonarmi in Atreyu, con la missione di sconfiggere il nulla, combattere quello che si intromette tra noi e il nostro pensiero libero e indipendente, tutto ciò che ci omologa. Credo che chi ha un sogno, un progetto suo, possa essere considerato un piccolo ribelle. Se poi i sogni li mette pure in pratica, allora è un rivoluzionario. E in questo viaggio ne ho incontrati tanti».
Se dovessi raccontare qual è stata l’Italia che hai incontrato nel tuo viaggio, che paese ti sei trovata davanti, cosa diresti?
«Basta aprire la scatola e pescare lì dentro, tra i sogni che ho raccolto. I sogni spesso rappresentano quello che non si ha e nella scatola ho trovato soprattutto sogni di un paese più funzionale, “normale”, senza così tanta burocrazia, con più meritocrazia, senza corruzione, senza mafia, specialmente in alcune regioni. Ma il sogno più ricorrente è stato quello della serenità. Un sogno che inizialmente non capivo, perché pensavo, va bene, tutti vogliamo essere sereni, felici, però c’è bisogno di sognare qualcosa di specifico per arrivarci, a questa serenità. E allora sono andata a consultare il dizionario dei sinonimi e dei contrari, e ho visto che il contrario di serenità è “paura”. E in effetti quella che ho trovato è stata un’Italia spaventata. La diffidenza e la sfiducia nei confronti del prossimo è molto diffusa, anche se poi i modi per aggirare questo ostacolo culturale ce li abbiamo sotto il naso. A me è andata benissimo, perché in sette mesi di viaggio sono rimasta senza un posto dove dormire soltanto per dieci giorni, tutti gli altri sono stata ospite di qualcuno che mi ha accolta. L’Italia mi è sembrata un paese dove stare al sicuro».
Ci sono stati, invece, momenti in cui hai avuto paura tu? Non fanno che ripeterci che una donna da sola per strada si mette automaticamente in una situazione di pericolo. Com’è stato viaggiare da sola, a piedi, per sette mesi in un corpo di donna?
«Da un lato sono partita senza pregiudizi, perché avendo vissuto fuori dall’Italia per i precedenti quindici anni non immaginavo una serie di dinamiche così consolidate nel senso comune. Una volta partita, mi sono imbattuta, certo, in una serie di personaggi che hanno cercato di abbordarmi per strada solo perché ero una donna, facendo riferimenti sessuali, allora portavo sempre con me uno spray al peperoncino che tenevo in tasca. Ricordo che in uno dei primi giorni di cammino pioveva, ero completamente sola in strada, si avvicina a me un camionista, abbassa il finestrino e mi fa una proposta sessuale. Io gli rispondo “no grazie, come se avessi accettato”. Avevo le mani che mi tremavano, non sapevo bene cosa sarebbe successo dopo. Poi alla fine mi ha lasciato in pace. Sarebbe stato il primo di tanti, a cui giorno dopo giorno ho imparato a rispondere che stavo facendo un documentario e c’era la mia troupe che mi seguiva. Questo e altri piccoli “trucchetti” imparati nel corso del viaggio sono serviti ad allontanare gli scocciatori e a farmi stare tranquilla».
Tra i luoghi che hai attraversato, ce ne sono alcuni che ti sono rimasti nel cuore più di altri? 
«Mi sono completamente innamorata della Sicilia. Tanto che questo inverno mi trasferirò a Ustica, dove resterò a scrivere il mio prossimo libro per quattro mesi. E poi la Toscana, una regione che dovrebbe essere un modello per tutto il resto dell’Italia, per il modo in cui riesce a far combaciare così armoniosamente passato e futuro. Ricordo la Francigena, ma anche le colline spettacolari che si vedono dalle strade asfaltate. Di posti che mi hanno conquistata ce ne sono infiniti. C’è anche qualcosa che mi ha colpita in negativo. Per esempio la sporcizia, è tanta, e ovunque. Siamo un paese sommerso di spazzatura».
E le persone, dei loro sogni cosa ti rimane?
«Ho avuto a che fare con le persone più disparate e persone molto diverse tra loro mi hanno ospitata. Da quella particolarmente aperta che ti invita a casa sul momento, al Sindaco del paesino sperduto, alle suore, fino al ragazzo con la svastica tatuata o l’immigrato. Ce ne sono alcune di cui conservo un ricordo più vivido. Come un signore tedesco sulla sessantina, meraviglioso, che mi ha ospitato a Ispica, un paesino vicino Modica, in Sicilia. È stato trascinato dalla moglie in Italia negli anni ’80, poi lei se n’è tornata a vivere in Germania, mentre lui è rimasto. Il sogno di quest’uomo era di avere una casa tutta sua con un giardino grande, così ha comprato un appezzamento di terra davanti a delle grotte e ha realizzato la sua dimora in queste grotte. Coltiva tutto da solo, ha una compost toilet, fa il pane, ha i pannelli solari sopra le grotte, un frigo autopropdotto e vive in modo quasi completamente autosufficiente e sostenibile. Il suo sogno l’ha realizzato. “Magari ne hai anche un altro?”, gli ho chiesto. E lui mi ha risposto di sì, che voleva andare sull’isola di Pasqua, ma non avrebbe mai avuto i soldi per il biglietto. Così ha deciso di scolpire delle maschere come quelle dell’isola di Pasqua e se le sta mettendo in giardino».
Questo viaggio ti ha cambiata? 
«Quando sono partita ero insicura, col cuore infranto, sciupata, perché dopo la fine della mia relazione mi ero data alla droga e all’alcol, ero una specie di zombie. A guardarmi adesso, sono sicura che sto facendo quello che avrei sempre dovuto fare, che sono sulla strada giusta. Sto conoscendo tante persone meravigliose, alcune leggono il mio libro o vengono a conoscenza della mia storia e mi contattano per chiedermi consigli. Se penso che anch’io prima di partire ho chiesto dei consigli a camminatori esperti, mi sento in evoluzione, oltre che felice di poter dare a mia volta suggerimenti a chi vuole intraprendere viaggi simili. E, poi, la cosa fondamentale che ho imparato è che se ti comporti come se vivessi nel mondo che sogni, piano piano il mondo si adatta a te». 
E chi ti ferma adesso. Cosa farai?
«Mi sono fatta costruire una bicicletta di bambù su misura dai ragazzi di “Carrus Cicli” di Savona e da lì ho fatto di nuovo il giro dell’Italia per andare fino in Sicilia e tornare indietro. Ho percorso più di seimila chilometri in bicicletta per presentare il mio libro. Ricontattando persone che mi hanno ospitata l’anno scorso o altre che nel frattempo si erano appassionate al mio viaggio. Ho fatto 70 presentazioni in tutta Italia da maggio: mi sono divertita come una matta e ho deciso che partirò per il giro del mondo in bicicletta l’anno prossimo».                               
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