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La California è qui: è pisano il re del surf
Federico Nesti, 19 anni, è
appena diventato campione italiano. Ha vinto la competizione nazionale
nella categoria longboard: "Ho imparato grazie alla nonna che mi portava
in spiaggia anche d’inverno"
di Mario Neri
TIRRENIA. «Il surf lo impari in acqua, le scuole non servono. Io non ne
ho mai fatta una. Lo impari provando ad alzarti sulla tavola con le
onde piccole e quelle più grandi. Ogni volta che vai sotto, magari bevi,
ma poi risali in sella, è uno scatto, aggiungi una tacca alla tua
confidenza con il mare e la sua natura. Io sono cresciuto così,
guardando gli altri, e infilando fin da bambino il vialetto di sabbia
fra la 46esima Brigata e il Lido del Carabiniere».
Federico Nesti foto di GIAN PAOLO VANNI - gianpaolovanni1986@gmail.com |
È sempre stato testardo e appassionato .Un vulcano con i riccioli biondi ossidati dal sole o mezzo bruciati dalla tramontana di gennaio. Fin da quando a undici anni costringeva la mamma e la nonna ad accompagnarlo in spiaggia, perché da solo non l'avrebbero lasciato andare. « Col freddo, il vento, la sabbia che ti gelava i piedi e magari ti portava i polmoni a un pelo dalla bronchite». E vabbè, Tirrenia non sarà stata né potrà mai essere Malibù, ma ora che c'è lui dietro a quegli spruzzi laggiù sembra un po' la California. Perchè da una settimana a Tirrenia ci vive un campione. Federico, 19 anni, ha un cognome legato alle auto, il padre ha una famosa concessionaria a Ospedaletto. Ma la sua vita romba altrove: ha appena ricevuto il titolo italiano 2015 nella categoria "longboard", la tavola lunga: 2.470 punti raccolti in tre gare fra Liguria, Lazio e Sardegna; 70 in più del secondo classificato, Fabrizio Gabrielli, una specie di mostro sacro della specialità, 520 sopra Marco Boscaglia, la medaglia di bronzo. «E pensare che ho provato con la long solo quest'anno». Per Federico è stato un ritorno alle origini, alle radici di questo sport scoperto da James Cook, che durante le sue esplorazioni per primo descrisse le imprese dei polinesiani che scivolavano sulle onde tenendosi in equilibrio su grandi tavole di legno, e poi esploso negli anni Sessanta fra Honolulu e Los Angeles come l'espressione meno libertaria e più libertina della rivoluzione culturale. «La tavola lunga è la musica classica del surf,
idem foto recedente le altre le trovate qui http://bit.ly/1JJcN4a |
E infatti nei video con la longboard Federico monta in groppa alla
risacca, asseconda il flusso con mosse morbide ed eleganti, cammina
sulla tavola a passi misurati, leggeri; con la tavola corta scarta, si
incunea, balza, sembra venir risucchiato da un gorgo e poi riemergerne
un attimo dopo. «Sulla long si danza un valzer del surf». Così, se di
solito il rock pesta duro quando fa da sottofondo ai ruggiti della
short, qui suona più melodico e folk. Ma che rapporto c'è fra un
surfista e la sua tavola? «Nessuno, la tavola è un legno, e ogni tanto
devi anche spezzarlo. La sfida è il controllo. Una delle evoluzioni più
premiate sulla long è mettersi girati con la punta dei piedi sulla punta
della tavola».
Anche se per Federico non fa molta differenza. Per un pelo quest’anno
non è schizzato in cima alla classifica della shortboard. «Il campionato
lo ha vinto un outsider, ma solo perché delle tre gare della
competizione, i migliori ne hanno disputata solo una». L’ultima, il
Frozen open, a settembre. Marinedda bay, nord della Sardegna. «La tappa
migliore, il livello più alto di tutti. Mi sono piazzato secondo dopo
Leonardo Fioravanti, campione del mondo under 18. E ho superato per la
seconda volta Roberto D’Amico, il migliore d’Italia». Alla fine ha
chiuso il torneo al settimo posto.
Ecco le immagini dell’“Indotrip”, come Federico Nesti chiama il suo ultimo viaggio in Indonesia. “Sono stato via da casa un mese, il surf per me è una passione travolgente. A Giava camminavo per trenta minuti nella giungla, in un posto dove ci sono i dieci serpenti più velenosi del mondo come il King Cobra, pur di arrivare alle spiagge e surfare in una spiaggia incontaminata e bellissima, dove c’erano solo i pescatori indonesiani”, racconta il 19enne pisano appena diventato campione italiano di surf
Ha cominciato a 6 anni, "il Nesti". Aveva una tavoletta in polistirolo
che usano tutti i bambini d’estate e su cui si va distesi. «Io provavo a
salirci in piedi. L'anno dopo il babbo me ne fece trovare una vera». Il
sogno. «Alle medie è diventata una passione travolgente. E così ho
cominciato a tuffarmi anche d’inverno. In fondo, Tirrenia e Marina sono
posti in cui si passano le giornate all’aperto, anche col freddo. E il
mare è un’attrazione. Se ci nasci non ne puoi fare a meno». Sul litorale
pisano il surf è cresciuto anche un po' intorno a lui e alla ciurma
degli amici. «Eravamo in cinque o sei, ora la crew conta 75 persone».
Alcuni sono i suoi compagni di viaggio.
Grazie al suo talento, Federico è diventato un globetrotter delle onde.
Le coste europee più famose se l’è girate tutte. Santander,
Fuerteventura, Biarritz, Hossegor. Canarie, Spagna, Francia. È appena
tornato dall'Indotrip, come chiama il viaggio in Indonesia. È stato via
da casa un mese e a marzo se ne andrà due settimane in Portogallo. «Ma
non sempre c'è bisogno di andare fuori per salire sulla cresta giusta,
anche in Italia si surfa che è una meraviglia: Toscana, Sardegna,
Liguria, Puglia, Sicilia, le isole hanno luoghi e baie spettacolari».
Parte dei suoi viaggi li finanzia grazie agli sponsor, anche se con il
«surf ancora non riesco a mantenermi». Gran parte della vita però la
passa all'estero. E la scuola? «Dalla seconda superiore, quando questo
sport è diventato una cosa seria, sui banchi passavo solo tre mesi: ho
dovuto prendere il diploma da ragioniere come privatista».
È così. Per questo ragazzo il mare è tutto. Coltiva il surf con
precisione e costanza maniacali. Affina la sua tecnica come se dovesse
scolpirla. «Quando non sono in acqua ad allenarmi, guardo i video dei
più forti del mondo. Scruto ogni dettaglio, in che momento il surfista
si alza sulla curva dell’onda, come ruota le braccia, a che punto del
tubo gira la testa, come si piega sulle gambe prima di un salto. Me li
sparo al rallentatore anche cento volte, mi metto in camera, in piedi,
come uno scemo, e li ripeto finché quei movimenti non li ho memorizzati e
non me li sento addosso». Questo sport nella testa di chi lo pratica è
anche una sfida costante con i superman della disciplina. Ogni baia un
point break, un punto di rottura, una cresta levigata su cui corre il
confine fra i propri limiti e quelli della leggenda.
«È chiaro, si va sempre a caccia dell'onda perfetta, del gesto puro. E
non c'è esperienza più bella di sentire il feeling con l'onda, lei che
ti spinge e tu che ci galoppi sopra. A Java, camminavo per trenta minuti
nella giungla, in un posto dove ci sono i dieci serpenti più velenosi
del mondo come il King Cobra, pur di arrivare alle spiagge e surfare con
i brividi addosso per le pinne di squalo che ogni tanto sfilavano come
ombre sotto il pelo dell'acqua». Ma è così, ogni surfista cerca il
proprio mercoledì da leoni, il ruggito alto quattro piani con cui
giocarsi la gloria.
Ovvio, la geografia è quindi mitografia: il sogno sono l'America, i
coralli e i fondali delle Hawaii. «Poi oh - chiude Federico - Se il mare
è giù di tono, si sa, le spiagge sono un bel posto e il surf ha pochi
ingredienti ma essenziali: un falò, lo sfrigolìo della risacca, i
tramonti nello specchio dell’acqua, musica, amici e bikini. Nugoli di
bikini; per i quali ogni tanto rinunci volentieri anche a qualche
ruggito».
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