c'era bisogno di chiamare gli stranieri per recuperare la costa concordia ? basta applicare lo stesso sistema usato 74 anni fa per l'incrociatore trieste

fra  i tanti bla  .. bla  ...  spesso futili e  morbosi per  riempire  le pagine dei giornali sul recupero  prima  e  il viaggio  funebre  della costa  concordia    ci si  è   dimenticati  che un recupero simile avvenuto  con gli stessi sistemi   è avvenuto   quasi un secolo  fa  , sempre  in italia . 

da  la  nuova  sardegna  online del 27\7\2014


La Costa Concordia recuperata come l’incrociatore Trieste affondato a Palau
Il precedente in Sardegna: nel 1950 la nave da guerra fu raddrizzata con tecniche simili a quelle impiegate al Giglio per la nave da crociera






PALAU. Flash dal passato per fotografare l’attualità di oggi. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste. Il filmato dell'Istituto Luce, conservato su Youtube, 

mostra la parte finale dell'operazione avvenuta a La Spezia dove la nave venne trainata. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste.Trasporto in 4 fasi. Ecco come si sono svolti i fatti. Prima è stata fatta risalire in superficie da un fondale di 25-30 metri la nave, che era stata colpita da aerei anglo-americani nella primavera del 1943 durante un massiccio bombardamento davanti a Palau. Poi applicati alla chiglia dell’unità militare - lunga quasi 200 metri e larga più di 20, 13.885 tonnellate di stazza a pieno carico - enormi cassoni riempiti d’aria.Tappa successiva: il trasferimento con i rimorchiatori sino alla Spezia, centinaia di km percorsi col relitto a galla ma non ancora in posizione verticale. Quindi, nel porto ligure, si è proceduto a raddrizzare lo scafo. Anche in questo caso, lavoro tutt’altro che semplice (soprattutto se si considerano i mezzi, di sicuro meno progrediti rispetto agli attuali, che i militari italiani avevano a disposizione in quegli anni).empi e modalità. La parte finale del lavoro, comunque, ha richiesto a sua volta diverse fasi, qualcuna delicatissima. Innanzitutto, decine di palombari militari hanno asportato le sovrastrutture sulla tolda dell’incrociatore, tamponato le falle, creato compartimenti stagni. Successivamente, sotto le direttive dell’ingegnere triestino Antonio Merceglie, dal pontone della nave è stata pompata aria compressa nella parte destra più interna.Nello stesso tempo, per ottenere un riequilibrio perfetto, gli uomini incaricati della manovra hanno fatto entrare acqua nel lato destro della stiva ottenendo così un’efficace contro-spinta. Al termine sono stati riempiti d’acqua marina anche 7 cassoni da 20 tonnellate ciascuno. «Una leva invisibile», spiegavano i commentatori nel dopoguerra, «ma capace di far girare l’intera nave riportando la chiglia e le eliche nella posizione originaria».La storia e i ricordi. Ma come mai si riparla adesso di quest’impresa compiuta tanto tempo fa? Tutta l’operazione è descritta in diversi libri. E se ne può trovare traccia su internet: fra l’altro, nel documentatissimo sito della Marina italiana. Non solo: su You Tube scorre un video girato dall’istituto Luce nel 1950 sul “raddrizzamento” del Trieste.Ma il nuovo spunto alla rievocazione del caso, naturalmente, è arrivato dallo spettacolare traino della Concordia, ancora in fase di ultimazione in queste ore. Un trasporto così straordinario ed eccezionale che è stato “coperto” dai media di tutto il mondo attraverso giornali, tv e web. E che ha suscitato grande interesse in Sardegna. Richiamando alla mente di molti anziani che vivono tra La Maddalena e Palau ricordi del passato su questo precedente.Prima le terribili immagini dei bombardamenti. Poi quelle della nave colata a picco. Infine le sequenze dell’immane lavoro per riportare a galla l’incrociatore e indirizzarlo verso le Bocche di Bonifacio per il trasferimento nell’area militare dello scalo spezzino.La logistica. Allora come oggi la città ligure resta una delle maggiori roccaforti della Marina. Non solamente per la presenza di cantieri e altre importanti sedi e strutture operative, ma anche per le elevatissime competenze professionali degli uomini in servizio.Specialisti. Caratteristiche note sin dall’epoca nella quale è stato organizzato il traino dell’incrociatore dal nordovest dell’isola verso la Corsica e la Liguria. E che sono state alla base dell’attività di recupero del relitto.Significativo, proprio sotto quest’aspetto, lo spezzone di cine-giornale presentato dagli operatori e dai giornalisti dell’istituto Luce.Il video, che in quegli anni veniva trasmesso nelle sale cinematografiche negli intervalli della proiezione dei film, rivela dettagli e particolari sui sistemi utilizzati. E mostra i tecnici e i marinai all’opera per rimettere in posizione verticale la grande nave militare, affondata sei mesi prima della corazzata Roma (in questa seconda circostanza, dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’attacco era stato sferrato dagli ex alleati tedeschi della Luftwaffe tra La Maddalena e l’Asinara).L’epilogo. Ciò che invece i pochi minuti di video dell’istituto Luce non possono rivelare è quel che succederà in seguito. Sempre nel 1950, il governo di Roma prende accordi col ministero della Difesa spagnolo per la cessione dell’incrociatore alla regia marina iberica. All’origine della vendita, l’idea di Madrid di trasformare l’unità navale italiana in una portaerei. Il Trieste è così portato in un porto spagnolo. Ma il progetto viene poi abbandonato. Sei anni più tardi, la demolizione.
L’ex assicuratore Giuseppe Pala ha 81 anni e non lavora da tempo. Ma la sua memoria è intatta come quando si occupava di contratti e polizze. «E certo non dimentico le tremende scene del Trieste bombardato alla Sciumara, ce le ho qui in testa da quando ero un bambino di 10 anni», dice.È uno dei testimoni che si sono fatti avanti per sottolinerare «come in tv non si faccia altro che presentare quello della Concordia come un primo caso per l’Italia», e invece «già nel 1950, quando di anni ne avevo 17 ed eravamo tornati da un bel pezzo a Palau dopo essere rimasti sfollati a Sant’Antonio, ho potuto vedere all’opera le squadre della Marina e i palombari che recuperavano il relitto facendolo tornare a galla e lo predisponevano per il traino sino alla Spezia».«Da ragazzo, in barca, andavo nel punto dove l’incrociatore è affondato – continua – Il Trieste si era adagiato su una fiancata, in alcuni punti con i remi riuscivamo a toccare la parte più vicina alla superficie. Ma non ci avvicinavamo spesso perché ovunqueo c’era catrame: quando è stato colpito aveva i serbatoi pieni». Il lavoro per riportare la nave in assetto, rammenta, era durato molto. «E tutti, da terra, a Palau, lo seguivamo con attenzione – aggiunge – Sino a quando abbiamo visto che venivano usati i cassoni d’aria e altri sistemi sofisticati per sostenerla».«Così un giorno del 1950 abbiamo visto partirea la squadra: l’incrociatore era trainato con cavi d’acciaio da due rimorchiatori davanti mentre un terzo stava dietro – conclude il racconto Pala - Poi ho saputo che alla Spezia avevano raddrizzato lo scafo e che il relittto era stato venduto. Da allora è passato tanto tempo, ma io ricordo tutto benissimo e mi è sembrato giusto non dimenticare gli uomini che per primi si sono impegnati in una missione tanto difficile». 







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