da la stampa del 13/07/2014
A come Anello
FEDERICO TADDIA
«Solitamente amo suonare “fette” di frassino: il frassino infatti ha in sé l’intensità minimal di un abete, ma allo stesso tempo ha la pienezza di un noce». Ha l’orecchio del liutaio, il fiuto del boscaiolo e le visioni dell’artista BartholomäusTraubeck, musicista tedesco nato a Monaco 37 anni fa, che è andato a scovare inesplorate melodie nel silenzio di una pianta che cresce.
Trasformando un giradischi in uno strumento in grado di leggere, come se fossero tracce di un vinile, gli anelli dei tronchi degli alberi. «Ricordo un esperimento che consisteva nel “microfonare” i rami per ascoltare i rumori che questi facevano durante l’assunzione dell’acqua all’interno delle loro cellule: logicamente questo processo non è udibile, ma credo che questo sia il suono reale di un albero. Quello che io tento di fare è interpretare e liberare la musica “intrappolata” dentro alla corteccia». Ispirato da una copertina di un album dei «Jurassic 5», nella quale una puntina da giradischi era appoggiata sopra ad un ceppo, Bartholomäus ha fatto ricorso alla tecnologia per concretizzare quell’immagine: nel suo grammofono 2.0 al posto della puntina c’è quindi una microcamera, che trasmette l’immagine degli anelli ad un software in grado di analizzarli. La profondità, la lunghezza, lo spessore e le sporcature dei solchi vengono trasformati in dati, a loro volta convertiti in note tramite un campionatore. «Più le venature sono disuguali, più differenti sono i suoni in uscita: ci sono delle variazioni notevoli anche prendendo alberi della stessa specie ma ovviamente le varietà si accentuano se prendiamo specie diverse».
Abete Rosso, frassino, quercia, acero, ontano, noce e faggio sono i legni più utilizzati sui suoi piatti dal dj tedesco, che in suggestive performance live traduce il Dna dei tronchi in electrosound. «Spesso il pubblico ha bisogno di capire cosa sta per vedere, per sentirsi davvero coinvolto e comprendere il senso del mio giradischi. Le reazioni più belle, però, sono proprio quelle di chi prima ascolta e poi scopre com’è stata composta la musica. Quasi nessuno crede che una macchina possa generare quelle atmosfere partendo da input scritti dalla più geniale delle compositrici: la Natura».
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