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«Il blocco del patrimonio della Chiesa comporterebbe l’impossibilità di assolvere alle attività caritatevoli». Così il presidente della Corte d’appello di Catania, Alfio Scuto, ha motivato l’accogliemento della richiesta di inibitoria dell’esecutività della sentenza che condannava al pagamento di 600mila euro la Curia etnea per la morte del devoto Roberto Calì, avvenuta il 6 febbraio 2004 in via Sangiuliano, nel corso delle festività agatine
«Il blocco del patrimonio della Chiesa e delle risorse monetarie comporterebbe l’impossibilità di assolvere alle attività caritatevoli in favore di migliaia di cittadini che giornalmente vengono assistiti». Lo scrive il presidente della Corte d’appello di Catania, Alfio Scuto, nell’ordinanza che sospende provvisoriamente l’esecutività della sentenza del Tribunale civile che il 30 maggio scorso aveva condannato, tra gli altri, l’Arcidiocesi a risarcire 600mila euro per la morte del devoto di S. Agata, Roberto Calì, travolto dai fedeli in corsa sulla salita di Sangiuliano, nel 2004.
Il provvedimento – pubblicato sul quotidiano La Sicilia – sarebbe dovuto essere immediatamente esecutivo, ma i legali dell’ Arcidiocesi hanno presentato, il 3 luglio scorso, una richiesta di inibitoria dell’esecutività della sentenza, in attesa dell’udienza dell’ inibitoria. Il presidente della Corte d’ appello Alfio Scuto, ha accolto la loro richiesta congelando tutto.
«Ci è sembrato – hanno dichiarato all’agenzia di stampa Ansa gli avvocati dei familiari di Calì, Simone Marchese e Salvatore Ragusa – un provvedimento un po’ eccessivo. Non mettiamo in dubbio l’ attività caritatevole della Chiesa, ma la stessa Arcidiocesi non si è posta minimamente il problema di due bambini in tenera età rimasti senza il padre. Ci saremmo aspettati un comportamento da parte della Curia più caritatevole nei confronti dei devoti tutti».
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