elaborare il lutto aiutando gli altri ed amare la propria terra senza paura di allontanarsi

Perde la figlia e si dedica al ricamo, la storia di Lucia: «Così ho donato 40 mila euro al Cro»
L’iniziativa di una pensionata che ha raccolto i fondi per il centro oncologico di Aviano con i ricavati dei suoi lavori. «L’ho fatto in ricordo di mia figlia, scomparsa a 37 anni»
di Piero Cargnelutti



Con quelle mani segnate dall’ago e dal filo, in 12 anni di ricami solitari ha raccolto la ragguardevole cifra di 40 mila euro che ha donato al Cro di Aviano per la ricerca contro il cancro.
La storia è quella di Lucia Feregotto, 74enne di Gemona, che dal 2004 realizza merletti, pupazzi e creazioni artigianali in stoffa che vende nei mercatini o nell’ambito di diversi festeggiamenti, per raccogliere fondi che poi ha sempre messo a disposizione del Cro, con tanto di documentazione.
Quest’anno, con la vendita delle sue ultime creazioni, ha ricavato ulteriori proventi che le hanno consentito di raggiungere la cifra complessiva di 40 mila euro, e lunedì prossimo, in occasione dei festeggiamenti del primo maggio a Campagnola, consegnerà ufficialmente ai rappresentanti del Centro di Aviano, che hanno accettato di intervenire personalmente, il contributo con il quale raggiungerà quella fatidica cifra nel corso di un incontro che sarà realizzato grazie alla collaborazione del comitato di borgo.
Quella di Lucia è una storia che ha inizio in un momento difficile, ovvero la perdita improvvisa per una malattia incurabile della figlia Milly, mancata all’età di 37 anni. «Quando andai in pensione – racconta Lucia Feregotto –, poiché avevo più tempo a disposizione, cominciai a dedicarmi al cucito e alla creazione di abbellimenti in stoffa. Mia figlia Milly mi diceva spesso che quelle che realizzavo erano belle creazioni che meritavano di essere vendute, io le rispondevo che lo facevo per passione, e non mi interessava guadagnarci perché fortunatamente riuscivo a vivere con la mia pensione. Allora Milly si prese l’impegno di organizzare la mia prima bancarella, ma poi mancò improvvisamente».
Era il 2 settembre 2004 quando la figlia fu colpita da una malattia che se la portò via in una notte. Lucia reagì a quel duro colpo, portando a termine quello che Milly aveva cominciato, e decidendo di destinare tutto il ricavato alla ricerca contro il cancro. Cominciò quell’autunno alla sagra della Beata Vergine della Salute di Maniaglia e poi continuò tra mercatini e festeggiamenti vari, dove poteva organizzare il suo banchetto colorato: nel corso degli anni, tante persone l’hanno aiutata portandole stoffe e materiali che lei riciclava creando merletti e ricami e lavorando a mano sino a mezzanotte, dopo essersi assicurata che la sua abitazione fosse in ordine come fa un’ottima donna di casa.
In questi anni, neppure i cinque interventi in anestesia che ha subito l’hanno fermata: per lei la cosa importante era che ci fosse il nome di Milly in quella busta che ogni anno andava a consegnare di persona al Cro. «Ho sempre donato sino all’ultimo centesimo raccolto – dice Lucia – e non ho mai tenuto niente per me. Di certo non avrei mai pensato di arrivare a questa cifra. Ora
che ho raggiunto 40 mila euro continuerò a cucire, ma non so se riuscirò a partecipare a molti mercatini in futuro: sono tornata tante volte a casa con la gonna bagnata dalla pioggia e la mia età non se riuscirò a partecipare a molti mercatini in futuro: sono tornata tante volte a casa con la gonna bagnata dalla pioggia e la mia età non mi permette di affrontare facilmente le intemperie».




Il lontano Perù dei bimbi tra Lima e l’Amazzonia

La storia di Martina Uda, architetto che lavora a progetti di cooperazione Costruisce scuole per le bidonville e i villaggi dei nativi che abitano la foresta 
 di Enrico Carta






ORISTANO. L’altra parte del mondo non è solo un luogo geografico. Non è fatta solo di alberi diversi, di città che hanno nomi dal suono magari un po’ strano. L’altra parte del mondo è fatta di volti, modi di vivere, persone. È lontana, ma non per chi la vuole scoprire e fare propria. Non è solo lo spirito di avventura, ma anche la voglia di conoscenza e di mettersi in gioco ad aver spinto Martina Uda sino al Perù dell’immensa capitale Lima e delle vastissime propaggini della foresta amazzonica.
Architetto di 30 anni di Santa Giusta, ha fatto le valigie qualche tempo fa quando ancora era studentessa. «Dopo l’esperienza universitaria di Cagliari, ho proseguito gli studi con un master preso tra Alghero e la Cina. A quel punto ero pronta per il lavoro, però avevo il desiderio di fare un’esperienza nell’ambito della cooperazione». Facile? No, per niente. Il settore è povero e per un anno le risposte non sono arrivate. L’occasione però passa e chi la sa attendere viene ripagato. «Attraverso il servizio civile sono stata inserita nell’associazione peruviana Semillas fondata da Marta Maccaglia e a quel punto ho fatto i bagagli».
Era l’ottobre del 2015 e il Perù è diventata la terra di Martina Uda per undici mesi divisi a metà tra Lima e l’Amazzonia. «Il mio lavoro – racconta – si è svolto in due diverse fasi. La prima nel sobborgo di Huaycon, una bidonville simile alle più conosciute favelas brasiliane, ma con una densità di popolazione inferiore». È allora che, anche nel lontano Perù, spunta fuori l’architetto: «Mi sono occupata di attività di doposcuola con i bambini e tra queste c’erano proprio laboratori di architettura, naturalmente adattata allo spirito dei piccoli alunni e orientata allo sfruttamento delle potenzialità che anche una periferia di una città come Lima offre loro».
La compagnia di quattro donne si è poi spostata verso la foresta, quella terra mitica che porta il nome di Amazzonia e che rimanda indietro sino alle storie dei primi colonizzatori e all’instancabile amore per la propria terra dei nativi. «Lì il nostro lavoro è cambiato – spiega Martina Uda – perché le scuole in molti villaggi da loro abitati proprio non esistevano. Per progettarle e costruirle servono soldi e a questo, io e le mie compagne, ci siamo dedicate a lungo». Poi è iniziata la fase di costruzione, mai banale come si potrebbe pensare osservando tutto ciò con gli occhi da europei benestanti. «Il primo passo – prosegue – è quello di analizzare il luogo, studiarne le esigenze e capire se la nostra iniziativa è accolta con favore. Una volta superata questa fase si parte: loro prestano la manodopera per abbattere i costi di realizzazione e noi mettiamo a disposizione le nostre conoscenze. L’associazione ha costruito quattro scuole – racconta–. Io mi sono occupata della costruzione di una scuola elementare iniziata ad agosto del 2016. Si chiama Jerusalem de Minaro e ospita duecento bambini, una sala mensa e un locale per assemblee. È fatta
principalmente di legno ed è stata editifacata con un mix di tecniche moderne e tradizionali». Ora Martina Uda è pronta per il nuovo viaggio, quello che porta alla conclusione dell’opera. Ci si può chiedere perché e la risposta è di una semplicità imbarazzante: «Lascio il futuro lì. A loro».
«Amo la mia terra ma non ho paura di allontanarmi»
Si pensa che chi abbia la valigia sempre pronta abbia un legame non strettissimo con la propria terra, invece quella è una valutazione frettolosa. «Non mi spaventa affatto allontanarmi – afferma
Si pensa che chi abbia la valigia sempre pronta abbia un legame non strettissimo con la propria terra, invece quella è una valutazione frettolosa. «Non mi spaventa affatto allontanarmi – afferma Martina Uda – e infatti nell’attesa di concludere il progetto in Perù, cosa che avverrà in questi giorni, ho vissuto a Genova col mio ragazzo dove ho continuato a svolgere la libera professione. Eppure l’idea di avere un giorno la Sardegna come base per tutto ciò, è sempre presente». È un po’ come avere un’anima divisa in due: «Adoro le cose che faccio dall’altra parte del mondo però gli affetti sono qui in Sardegna, il cui maggior problema è la mancanza di coesione e di fare rete. Percepisco che ci sono tanti aspetti che le persone invidiano a noi sardi come il nostro stile di vita però siamo poco uniti e il campo lavorativo non fa eccezione. La strada che dobbiamo percorrere è quella del lavoro in studi associati, del co-working utilizzando il termine inglese». E intanto il Perù si riaffaccia nell’orizzonte di Martina Uda e dell’associazioneSemillas che sta portando avanti una raccolta fondi per regalare ai bimbi della scuola amazzonica un parco giochi in bambù. il progetto si chiama Parquebambu che ha anche una pagina Facebook, mentre l’aiuto all’associazione si può dare attraverso la pagina internet www.semillasperu.com










mi permette di affrontare facilmente le intemperie».

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