da repubblica del 26 aprile 2017
Processo Pietrantonio a Roma, Paduano: "Chiedo scusa ma non chiedo sconti di pena"
L'ex fidanzato e killer di Sara in aula per la prima volta. Presenti la madre e il padre della studentessa 22enne uccisa, il 29 maggio, lungo la Magliana
di GIUSEPPE SCARPA
"Chiedo scusa anche se so che non sarò perdonato. Ci tenevo a farlo di persona. Non chiedo sconti di pena". È venuto a processo, per la prima volta, a quasi un anno dall'omicidio. Ha detto questo Vincenzo Paduano, ex fidanzato e killer di Sara Di Pietrantonio. In aula c'erano la madre e il padre della studentessa 22enne uccisa, il 29 maggio, lungo una strada di periferia a Roma, dopo esser stata strangolata e poi data alle fiamme.
Gli avvocati del 27enne, che hanno discusso oggi, hanno spiegato che il "loro assistito ha confessato l'omicidio" hanno chiesto al giudice di valutare "le attenuanti generiche, senza le aggravanti (come la premeditazione e le attenuanti generiche, ndr)". I legali hanno poi proseguito dicendo che "Vincenzo non ha mai stalkizzato Sara" e che non sussiste "il reato di distruzione di cadavere, il corpo aveva solo delle ustioni".
Nella precedente udienza il pm Maria Gabriella Fazi aveva chiesto "l'ergastolo per Vincenzo Paduano". Da un lato ci sono i messaggi che minacciano vendette inviati all'ex per la nuova relazione sentimentale con un altro ragazzo, dall'altro le prove che Paduano, vigilantes di 27 anni, la seguisse ossessivamente, da almeno una settimana, e senza mai farsi vedere.
Con questo pacchetto di prove il pm Fazi aveva argomentato la sua richiesta di fronte al gup. Il pm aveva chieato che Paduano venisse condannato per tutti i reati di cui è accusato: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione dai futili e abbietti motivi, dagli atti persecutori, e ancora stalking, incendio e occultamento di cadavere.
Per sette giorni Paduano si è nascosto e ha pedinato Sara. Gli investigatori hanno ricavato questo dato dal Gps. Il navigatore installato nell'auto del 28enne che era già servito per inchiodare il ragazzo il giorno del delitto.
Il Gps in sostanza aveva in memoria i percorsi compiuti da Paduano una settimana prima dell'omicidio. In giorni diversi Vincenzo sarebbe andato sotto casa di Sara, poi sotto quella del nuovo fidanzato della studentessa (Alessandro Giorgi), da un'amica dell'ex e ancora fuori dalla palestra e dall'Università frequentata dalla ragazza. Un'ossessione che si unisce alle minacce rivolte alla 22enne per averlo lasciato (da diversi mesi) ed aver iniziato una nuova relazione: "Ti rovino la vita a te e a lui (Giorgi, ndr), tu devi soffrire come stai facendo soffrire me", le diceva il 21 maggio. E ancora c'è il tentativo di incendiare l'auto di Alessandro, con una Molotov, alle 5 del mattino del 28 maggio. Ovvero 24 ore prima dell'assassinio.
E infine la stessa dinamica del delitto. Lui che esce dal suo posto di lavoro (vigilantes in orario notturno) lascia sulla sua scrivania il cellulare, individua Sara sotto casa di Alessandro poi anticipa con
la sua auto la strada che l'ex compie per rientrare a casa. In un tratto di via della Magliana, una strada periferica buia ed isolata, si apposta con la sua auto. A quel punto passa Sara a bordo della sua Toyota Aygo, la sperona, la fa scendere dalla macchina, una breve discussione, poi la strangola (5-minuti al massimo) e infine cerca di disfarsi del cadavere dandole fuoco con una tanica di benzina acquistata precedentemente. La sentenza è fissata per il 5 maggio.
Questa storia d'amore ce la racconta Arianna
La storia, incredibile, è quella mia e di Riccardo, mio marito. Ci siamo fidanzati che avevo io 13 e lui 16. Io sono stata la prima ragazza che ha baciato. Siamo stati insieme un mese. Era dicembre e quell'anno abbiamo fatto una festa di capodanno a casa sua. Io ero giovane e scema e mentre lui mi cercava in giro per la sua villa, mi ero chiusa in uno sgabuzzino con il suo migliore amico.
Questa storia d'amore ce la racconta Arianna
La storia, incredibile, è quella mia e di Riccardo, mio marito. Ci siamo fidanzati che avevo io 13 e lui 16. Io sono stata la prima ragazza che ha baciato. Siamo stati insieme un mese. Era dicembre e quell'anno abbiamo fatto una festa di capodanno a casa sua. Io ero giovane e scema e mentre lui mi cercava in giro per la sua villa, mi ero chiusa in uno sgabuzzino con il suo migliore amico.Sentivo lui da fuori che mi chiamava ma era troppo timido e debole per andare oltre e io troppo giovane e superficiale per capire che lo stavo ferendo. Arrivó l'anno nuovo, la festa finì e così la nostra storia. Cosi come era entrato nella mia vita, in punta di piedi se ne uscì. Passarano gli anni. Di lui persi completamente le tracce. Dopo il liceo abbandonai la cittá natale per seguire all'estero il mio sogno di diventare hostess di volo. A casa in 10 anni sarò tornata 4 volte a esagerare.Sapevo tramite amici che da tanto tempo stava con un'altra donna. Non riuscii mai a dimenticarlo del tutto, sentivo sempre che qualcosa, ancora a livello embrionale, era stato strappato. L'anno scorso, a dicembre, lo stesso mese in cui 19 anni prima ci demmo il primo bacio adolescente fuori da una discoteca, scesi a Tortona, a casa dei miei, dall'Inghilterra, dove abito da anni. E lì, per caso, sotto la luce del lampione di un parco che attraverso a piedi per raggiungere l'abitazione dei miei genitori, lo incontro. Non lo vedo da 19 anni. Vorrei abbracciarlo ma ci limitiamo alle solite cose. Come stai, dove vivi. Ogni tanto ti seguo su fb. Ci salutiamo. Vorrei abbracciarlo.Mentre proseguo per andare a casa dei miei genitori, vorrei correre indietro e tornare da lui. Lo faccio. Ma non c é piu. La luce fredda del lampione che prima proiettava ragnatele di luce tra I suoi capelli, adesso riflette cerchi asettici sull'asfalto bagnato. Da lì breve parto per l'India. Una notte lo sogno. Riprendiamo a scriverci. Lui da un paio di anni non sta con nessuna dopo una storia durata 13 anni. Io mi sto lasciando col fidanzato.Torno a casa, in Inghilterra. E continuiamo a sentirci. Ci vedremo un mese piu tardi, quando scendo ancora in Italia per il mio compleanno. Torniamo insieme e dopo nemmeno un anno (4 giorni fa ) ci sposiamo, nella mia India dove attualmente vivo e lavoro come scrittrice. Pazzi d'amore e di entusiasmo. Scalzi. Da soli. Senza parenti né amici, senza banchetti e feste inutili e costose. Beviamo insieme una birra sulla spiaggia di Bombay per festeggiare in nome dell'amore. Che esiste ed è forte.
Arianna Bruno
Il segreto di una bambina
Grazie alla lettera di Flavia Ferroni, Bruxelles
Flavia Ferroni, sorella di Marco |
Da Flavia imparo oggi la parola ‘sibling’, indica in inglese una condizione che voglio condividere con voi. Fratelli, sorelle. La sua storia è iscritta nelle storie di ogni famiglia, anche nella mia. Mi ha riportato alla mente mio padre, suo fratello Carlo, sua sorella Laura e la loro infanzia di “fratelli di”. Abbiatene cura. State attenti. Abbiate pazienza. Mia nonna, il suo sguardo. E’ qualcosa che passa di generazione, resta scritta nella carne dei figli e dei nipoti, nelle mani e negli occhi. Sentite come la racconta Flavia.“Ho 42 anni, sono di Roma, vivo con mio marito e tre figli a Bruxelles dove dirigo un team in una multinazionale farmaceutica.
E sono la sorella di Marco. Quando Marco è venuto alla luce, con parto cesareo, aveva il cordone ombelicale stretto intorno al collo. Era il 1970 e allora non si facevano le ecografie"."A tre anni la prima diagnosi: 'Ritardo psicomotorio di natura indeterminata'. Il colpo più difficile da incassare per i miei genitori fu quella parola: indeterminata. Poi nacqui io e mi arruolai dal primo giorno nell’avventura di famiglia: al centro di ogni cosa la gestione del “problema di Marco”. Quando mi capita di incontrare una famiglia con un ragazzo disabile il mio sguardo cerca istantaneamente suo fratello o sua sorella. In quel bambino “normale” rivedo me stessa da piccola, mi si bagnano gli occhi e sento come se una cicatrice profonda ricominciasse a sanguinare"."In Italia i temi dell’handicap ruotano intorno alla “malattia”, ai disagi della persona affetta e al calvario dei suoi genitori. Si parla poco dei fratelli e delle sorelle. Ma ho scoperto che sono nate di recente delle associazioni che danno voce ai “sibling” delle persone disabili. Sibling è un termine inglese che indica la condizione di fratello o sorella, indipendentemente dal genere. E’ sorprendente scoprire quante affinità abbiano le nostre storie, riconoscere le stesse esperienze che hanno condizionato il nostro modo di essere, inciso le nostre vite"."Vivere la diversità sin da piccoli allena la sensibilità, sviluppa l’intelligenza del cuore, abitua a mettersi al servizio e a lavorare duro. Da bambini abbiamo imparato ad assumerci molto presto grandi responsabilità. Sorvegliavamo i nostri fratelli quando mamma e papà erano impegnati, passavamo con loro ore nelle sale d’attesa di ospedali. Abbiamo sostenuto genitori spesso provati dall’angoscia e dalla stanchezza, assistito a scene drammatiche che non potevamo raccontare ai nostri coetanei. C’eravamo anche noi sotto i riflettori, sebbene non fossimo i protagonisti, tutte le volte che in piazza, in spiaggia, al ristorante avremmo voluto toglierci di dosso sguardi curiosi, allarmati o schifati e disperderci nella massa normale"."Tutte queste cose le confidavo ai miei diari segreti. Anche il mio desiderio infinito di coccole. In pubblico non chiedevo niente, neanche ai miei genitori. Ci mancherebbe. Come potevo lamentarmi, io che avevo la fortuna di essere nata normale?"."Cari “sibling” come me, di qualsiasi età, facciamo sentire la nostra voce. Prima di tutto per noi stessi, per accettarci e volerci più bene. Non è una colpa, non ameremo di meno nostro fratello. Facciamolo per gli altri che verranno. Contribuiremo a preparare un mondo più accogliente, anche per loro”.
Fb e la storia di Ilaria e Dzulfikar: la sposa italiana più famosa di Indonesia
L'arrivo della ragazza nell'arcipelago è un caso nazionale, con foto e interviste su tutti i media. Per sposarsi dovrà presentare un documento ottenuto dal consolato italiano alle autorità di Giakarta. Il giovane del quale si è innamorata tramite social network vive in un piccolo villaggio di nome Tragung di RAIMONDO BULTRINI
DI LEI si conoscono soltanto il volto e il nome di battesimo - Ilaria - ma è certamente l'italiana più famosa in Indonesia dopo che la sua love story nata su Facebook è diventata un caso nazionale, con tanto di foto e interviste su tutti i media dell'arcipelago islamico.
A far colpo sull'opinione pubblica dev'essere stata la sua dichiarazione alla stampa di aver lavorato sodo due anni come cameriera in un ristorante italiano per potersi pagare il viaggio, visitare - se tutto va bene, sposare coronando il suo sogno - l'uomo del quale si è innamorata chattando e scambiandosi selfie sul popolare social network
.
Il suo papabile marito si chiama Dzulfikar, e di lui si sa che vive nella provincia di Batang, a Giava centrale, in un piccolo villaggio di nome Tragung dove non è passata inosservata la presenza di una giovane straniera da sola, ospite di una famiglia locale. Quando il 18 aprile scorso Ilaria è arrivata con la sua valigia e l'aria spaesata, qualche vicino zelante e curioso ha infatti subito chiamato la polizia e in poco tempo si sono presentati a casa di lui quattro uomini in uniforme guidati dal vicecapo della polizia di Batang.
"L'abbiamo interrogata - ha detto il funzionario - per determinare lo scopo della sua visita in Indonesia", e presto la situazione si è chiarita, dopo che Ilaria ha detto loro di aver ricevuto il consenso dei suoi genitori in Italia per l'eventuale matrimonio, e Dzulfikar ha confermato che vorrebbe celebrarlo al più presto.
I media non riferiscono la religione del promesso sposo, ma dal nome è molto probabile che si tratti di un musulmano e dunque Ilaria dovrà convertirsi all'Islam per rendere l'unione legale sotto tutti i punti di vista, nonostante i recenti alleggerimenti della legge per le unioni miste, che adesso permette la divisione dei beni, comprese terre e case comprate anche dopo il matrimonio.
L'alternativa è la conversione eventuale di Dzulfikar alla religione della sposa che, secondo gli ordinamenti attuali, può appartenere solo a una delle sei religioni ammesse, tra le quali cristianesimo, cattolicesimo, ebraismo, induismo e buddhismo. Di certo sarebbe stato quasi impossibile un matrimonio su suolo indonesiano nel caso inverso di una donna musulmana decisa a sposare un uomo di altre fedi. In entrambi i casi i figli delle coppie miste devono essere allevati come musulmani.
Davanti a qualunque altare dovesse comunque finire l'avventura sentimentale cominciata su Facebook tra Ilaria e Dzulfikar, l'unica cosa certa è che la giovane italiana dovrà dimostrare alle autorità di Giakarta che nulla osta al matrimonio, presentando un documento ottenuto dalle autorità consolari italiane.
Ultimo dettaglio forse non secondario, bisognerà aspettare almeno qualche giorno prima che la ragazza giunta dall'altra parte del mondo si abitui all'idea di trasferirsi davvero in un piccolo villaggio immerso nel verde di una delle zone vulcaniche più attive dell'arcipelago dove pochi parlano perfino inglese. Per ora la sua storia da prima pagina continua a far titolo col racconto del sacrificio fatto lavorando due anni per giungere lì. Un dettaglio che ha riempito d'orgoglio la nazione.
Insegnare ai bambini l'arte del silenzio nella Giornata di sensibilizzazione al rumoreL'iniziativa nelle scuole di tutto il mondo per 'proteggere' le nostre orecchie dall'inquinamento acustico
E sono la sorella di Marco. Quando Marco è venuto alla luce, con parto cesareo, aveva il cordone ombelicale stretto intorno al collo. Era il 1970 e allora non si facevano le ecografie"."A tre anni la prima diagnosi: 'Ritardo psicomotorio di natura indeterminata'. Il colpo più difficile da incassare per i miei genitori fu quella parola: indeterminata. Poi nacqui io e mi arruolai dal primo giorno nell’avventura di famiglia: al centro di ogni cosa la gestione del “problema di Marco”. Quando mi capita di incontrare una famiglia con un ragazzo disabile il mio sguardo cerca istantaneamente suo fratello o sua sorella. In quel bambino “normale” rivedo me stessa da piccola, mi si bagnano gli occhi e sento come se una cicatrice profonda ricominciasse a sanguinare"."In Italia i temi dell’handicap ruotano intorno alla “malattia”, ai disagi della persona affetta e al calvario dei suoi genitori. Si parla poco dei fratelli e delle sorelle. Ma ho scoperto che sono nate di recente delle associazioni che danno voce ai “sibling” delle persone disabili. Sibling è un termine inglese che indica la condizione di fratello o sorella, indipendentemente dal genere. E’ sorprendente scoprire quante affinità abbiano le nostre storie, riconoscere le stesse esperienze che hanno condizionato il nostro modo di essere, inciso le nostre vite"."Vivere la diversità sin da piccoli allena la sensibilità, sviluppa l’intelligenza del cuore, abitua a mettersi al servizio e a lavorare duro. Da bambini abbiamo imparato ad assumerci molto presto grandi responsabilità. Sorvegliavamo i nostri fratelli quando mamma e papà erano impegnati, passavamo con loro ore nelle sale d’attesa di ospedali. Abbiamo sostenuto genitori spesso provati dall’angoscia e dalla stanchezza, assistito a scene drammatiche che non potevamo raccontare ai nostri coetanei. C’eravamo anche noi sotto i riflettori, sebbene non fossimo i protagonisti, tutte le volte che in piazza, in spiaggia, al ristorante avremmo voluto toglierci di dosso sguardi curiosi, allarmati o schifati e disperderci nella massa normale"."Tutte queste cose le confidavo ai miei diari segreti. Anche il mio desiderio infinito di coccole. In pubblico non chiedevo niente, neanche ai miei genitori. Ci mancherebbe. Come potevo lamentarmi, io che avevo la fortuna di essere nata normale?"."Cari “sibling” come me, di qualsiasi età, facciamo sentire la nostra voce. Prima di tutto per noi stessi, per accettarci e volerci più bene. Non è una colpa, non ameremo di meno nostro fratello. Facciamolo per gli altri che verranno. Contribuiremo a preparare un mondo più accogliente, anche per loro”.
Fb e la storia di Ilaria e Dzulfikar: la sposa italiana più famosa di Indonesia
L'arrivo della ragazza nell'arcipelago è un caso nazionale, con foto e interviste su tutti i media. Per sposarsi dovrà presentare un documento ottenuto dal consolato italiano alle autorità di Giakarta. Il giovane del quale si è innamorata tramite social network vive in un piccolo villaggio di nome Tragung di RAIMONDO BULTRINI
DI LEI si conoscono soltanto il volto e il nome di battesimo - Ilaria - ma è certamente l'italiana più famosa in Indonesia dopo che la sua love story nata su Facebook è diventata un caso nazionale, con tanto di foto e interviste su tutti i media dell'arcipelago islamico.
A far colpo sull'opinione pubblica dev'essere stata la sua dichiarazione alla stampa di aver lavorato sodo due anni come cameriera in un ristorante italiano per potersi pagare il viaggio, visitare - se tutto va bene, sposare coronando il suo sogno - l'uomo del quale si è innamorata chattando e scambiandosi selfie sul popolare social network
.
Il suo papabile marito si chiama Dzulfikar, e di lui si sa che vive nella provincia di Batang, a Giava centrale, in un piccolo villaggio di nome Tragung dove non è passata inosservata la presenza di una giovane straniera da sola, ospite di una famiglia locale. Quando il 18 aprile scorso Ilaria è arrivata con la sua valigia e l'aria spaesata, qualche vicino zelante e curioso ha infatti subito chiamato la polizia e in poco tempo si sono presentati a casa di lui quattro uomini in uniforme guidati dal vicecapo della polizia di Batang.
"L'abbiamo interrogata - ha detto il funzionario - per determinare lo scopo della sua visita in Indonesia", e presto la situazione si è chiarita, dopo che Ilaria ha detto loro di aver ricevuto il consenso dei suoi genitori in Italia per l'eventuale matrimonio, e Dzulfikar ha confermato che vorrebbe celebrarlo al più presto.
I media non riferiscono la religione del promesso sposo, ma dal nome è molto probabile che si tratti di un musulmano e dunque Ilaria dovrà convertirsi all'Islam per rendere l'unione legale sotto tutti i punti di vista, nonostante i recenti alleggerimenti della legge per le unioni miste, che adesso permette la divisione dei beni, comprese terre e case comprate anche dopo il matrimonio.
L'alternativa è la conversione eventuale di Dzulfikar alla religione della sposa che, secondo gli ordinamenti attuali, può appartenere solo a una delle sei religioni ammesse, tra le quali cristianesimo, cattolicesimo, ebraismo, induismo e buddhismo. Di certo sarebbe stato quasi impossibile un matrimonio su suolo indonesiano nel caso inverso di una donna musulmana decisa a sposare un uomo di altre fedi. In entrambi i casi i figli delle coppie miste devono essere allevati come musulmani.
Davanti a qualunque altare dovesse comunque finire l'avventura sentimentale cominciata su Facebook tra Ilaria e Dzulfikar, l'unica cosa certa è che la giovane italiana dovrà dimostrare alle autorità di Giakarta che nulla osta al matrimonio, presentando un documento ottenuto dalle autorità consolari italiane.
Ultimo dettaglio forse non secondario, bisognerà aspettare almeno qualche giorno prima che la ragazza giunta dall'altra parte del mondo si abitui all'idea di trasferirsi davvero in un piccolo villaggio immerso nel verde di una delle zone vulcaniche più attive dell'arcipelago dove pochi parlano perfino inglese. Per ora la sua storia da prima pagina continua a far titolo col racconto del sacrificio fatto lavorando due anni per giungere lì. Un dettaglio che ha riempito d'orgoglio la nazione.
Insegnare ai bambini l'arte del silenzio nella Giornata di sensibilizzazione al rumoreL'iniziativa nelle scuole di tutto il mondo per 'proteggere' le nostre orecchie dall'inquinamento acustico
di VALERIA PINI
QUALCHE minuto di silenzio. Un disegno o l'idezione di una campagna pubblicitaria per combattere il troppo rumore. Insegnare ai ragazzi a proteggere l'udito in occasione della ventiduesima giornata di sensibilizzazione sul rumore per proteggersi fin da piccoli dall'inquinamento acustico.
L'International noise awareness day (Inad) è un evento nato nel 1995 e ideato dal Centre for Hearing and Communication negli Stati Uniti. L'obiettivo è quello di promuovere la consapevolezza dei pericoli dell'esposizione a lungo termine ai troppi decibel e contrastare gli effetti sulla salute dei cittadini.
Traffico, trasporto pubblico, conversazioni o musica di sottofondo possono dare fastidio sul lungo periodo. Un terzo della popolazione mondiale convive con un eccesso di rumore. Un problema che costituisce un rischio soprattutto per chi vive in grandi città. Ci si abitua lentamente all'eccesso di decibel, ma con il tempo è il nostro udito a rimetterci. Accanto ai disturbi uditivi possono insorgere anche insonnia, difficoltà di concentrazione, mal di testa o disturbi dell'umore.
Su iniziativa delle Società nazionali di acustica, la giornata per la sensibilizzazione al rumore coinvolge ogni anno le scuole italiane e quelle di molti altri paesi. A coordinare l'iniziativa l'European acoustics association (Eaa). Il tema dell'edizione di quest'anno è 'Sounds of my place', che punta a sensibilizzare i bambini e i ragazzi all’ascolto dei suoni che caratterizzano i paesaggi della propria vita. Per affrontare il tema dell'esposizione al rumore, i rischi e le possibili soluzioni.
Gli alunni delle scuole parteciperanno a incontri sul tema e riceveranno materiale informativo. Verranno inoltre premiati gli elaborati realizzati dagli allievi delle scuole italiane per il concorso Inad in Europe 2017.
Sono proprio i ragazzi i più esposti a questo problema, spesso abituati ad ascoltare in cuffia musica a volume troppo alto. Ma l'eccesso di decibel può disturbare anche nei posti di lavoro. L'Oms raccomanda che il livello massimo di rumore non superi gli 85 decibel.
Nel corso delle iniziative sparse sul territorio, adulti e ragazzi impareranno a misurare e valutare il rumore nei diversi spazi interni ed esterni agli edifici scolastici. Potranno progettare le soluzioni mitigative e il miglioramento del clima acustico. E magari, scrivere o disegnare campagne pubblicitarie sul rumore.
Potranno inoltre conoscere, definire e osservare una “dieta quieta”, osservare un minuto di silenzio e creare collegamenti fra scuole di città e nazioni diverse per condividere le esperienze didattiche sul tema. Per maggiori informazioni.
Coppia con figlio nel nulla d'Alaska: come vivere felici fuori dal mondo
La famiglia Atchley vive isolata in Alaska lungo le sponde del fiume Nowitna, a 400 km da altri abitanti del luogo. Tutti i reportage fotografici di R2
di VITTORIO ZUCCONI - foto di ED GOLD*
Il padre di famiglia David con suo figlio Sky, 13 anni.
Nel cuore vuoto del nulla più nulla, a duecento chilometri di distanza dal vicino più vicino, vive da diciotto anni una famiglia di tre persone, madre, padre e figlio, in compagnia di orsi, salmoni e dell'immensa solitudine dell'Alaska. Raccontare con le misure della nostra vita quotidiana l'esistenza di David Atchley, della moglie Romey e del loro figlio unico, Sky, è impossibile per noi prigionieri di condomini o di villette, per noi che calcoliamo il tempo in minuti e precipitiamo nel panico se si blocca l'ascensore.
Quello degli Atchley, che per la prima volta un fotografo, Ed Gold, ha raggiunto sulle rive del fiume Nowitna, un ruscello di appena 400 chilometri affluente del gigante Yukon, è un altro pianeta ai confini del Pianeta Terra, un luogo dove fare la spesa significa accumulare i mille barattoli di salsa di pomodoro, conserve di verdura e frutta, sacchi di riso e pasta che devono durare per gli undici mesi nei quale la famiglia si separa dal mondo, E fare la casalinga, per Romey, consiste a volte, se il marito è lontano, nell'abbattere uno dei giganteschi orsi bruni che si aggirano attorno alla baita di legno, scuoiarlo e tagliarne la pelliccia per farne gli indumenti e i copricapo con i quali proteggersi nell'inverno che può raggiungere i 50 (cinquanta) gradi centigradi sotto lo zero.
Gli Atchley non danno spiegazioni e non si sentono in dovere di darle, a chi domandi come una coppia di ventisei anni, un uomo e una donna nati e cresciuti nel Midwest americano possa decidere di abbandonare quella che ad altri sembra un'esistenza normale per sprofondare nell'abisso bianco di una frontiera, soltanto per drop out, per chiamarsi fuori dal resto del mondo. Lo hanno fatto per impulso, per il rifiuto non della modernità, che utlizzano al massimo possibile con pannelli solari per sfruttare i mesi di sole 22 ore al giorno e caricare il loro telefono satellitare, ma per provare sensazioni che nessuno degli altri terrestri con supermercato, strade o riscaldamento centrale proverà mai.
Se capriccio fu, dopo diciotto anni è ormai scelta di vita. Il figlio, Sky, che ha appena compiuto tredici anni ed è entrato ufficialmente nel territorio dell'irrequietezza adolescenziale, dice, almeno in presenza dei genitori, che non saprebbe immaginare un'esistenza diversa e studiare a casa con la madre gli piace più dell'idea di frequentare una scuola. Quando la deve visitare, una volta all'anno durante il mese dell'inverno senza luce nel quale i pannelli solari sono inutili e migrano in città, per certificare i suoi progressi scolastici, rabbrividisce, anche se qualche cosa si insinua nel suo essere rustico. C'è una ragazzina che ha visto una volta e che lui "immagina" sia sua amica.
L'unica autostrada che può portare gli Atchley verso gli insediamenti umani e il villaggio più vicino è il fiume, percorso con la slitta a motore quando il ghiaccio è solido o con la canoa dopo il disgelo, negoziando le rapide. Le provviste, per integrare lo scatolame e i sacchi accastati in casa, sono i pesci contesi agli orsi e le poche varietà di bacche offerte dai cespugli nelle foreste. D'inverno, a turno, e mai insieme per non correre il rischio di lasciare Sky orfano a casa, Romey e David escono con gli sci, le ciaspole e il fucile, per procurare carne da consumare fresca o da affumicare. Non sono survivalist, come i fanatici che si organizzano per sopravvivere all'apocalisse prossima ventura e per vivere soltanto di quello che la terra offre, ma "minimalisti". Vivono spendendo dodici mila dollari all'anno, che non è neppure pochissimo, e una volta all'anno si sottopongono a un check-up medico completo, l'unica condizione posta dalla moglie per segui- re David nell'avventura.
E se sono certamente soli, a tre ore di aereo dalla città di Anchorage, non sono i soli a essere tentati dalla fuga dal mondo e dall'esistenza ai limiti della Terra, dove neppure i nativi Inuit hanno saggiamente mai voluto insediarsi. Anche ora che i terreni del
quarantanovesimo stato americano non sono più regalati a chi si insedia, come era fino a 30 anni or sono, e il "dividendo del petrolio" pagato a ogni residente si è ridotto a 900 dollari all'anno, migliaia di nuovi pionieri tentano l'esperimento del primitivismo in condizioni estreme..
Ci sono canali televisivi che ne seguono le giornate e le fatiche. E ci sono le statistiche delle polizie locali che registrano ogni anno la sparizione di tremila avventurosi, inghiottiti dalla natura implacabile e dagli orsi
Molti si arrendono, ripiegando sul compromesso di vivere a metà, con un piede ad Anchorage, una città come un'altra, banale e bruttina, ma comoda. Non gli Atchley, che si fanno fotografare felici e indaffarati, in pose da "Crocodile Dundee" surgelati, che temono soltanto un attacco di appendicite al figlio - uno degli incubi della mamma - e uno strato di ghiaccio ingannevolmente sottile sul fiume d'inverno, che li inghiotta
. Parlano molto fra di loro, "perché non c'è altro da fare" dice Sky il ragazzo, sgranano gli occhi davanti alle aurore boreali, vedono stelle in cieli che noi umani neppure ricordiamo e si concedono un solo videogame, per il ragazzo, quando il sole perenne d'estate ha prodotto abbbastanza corrente elettrica. Non pagano un centesimo di tasse nè allo Stato dell'Alaska nè al governo di Washington, che li ignora, come loro ignorano il governo. Non si troverebbe comunque un ispettore del Fisco disposto a sfidare 50 gradi sotto zero e orsi Kodjak per condurre un accertamento.
*Ed Gold, autore di queste foto, è nato a Londra ed è cresciuto in Essex e a Istanbul prima di trasferirsi in Galles dove ha imparato ad amare la natura e la fotografi
a
Nessun commento:
Posta un commento