Le due storie (
e ce ne
sono tantissime di situazioni
del genere ) che
voglio raccontare oggi sono
tratte da http://urladalsilenzio.wordpress.com/category/sullergastolo-ostativo/
La prima
è quella di Salvatore Liga raccontata con le parole di Carmelo Musumeci.detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni
compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco. E destinato con certezza
a morire in carcere perché è stato
condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, se al suo posto non ci mette un altro. L’ultima
volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del
carcere con due stampelle sotto le ascelle.Stava sotto il sole seduto in una
panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo
sole della sua vita Poi un giorno non l’avevo più visto. In seguito avevo
saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano
trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho
saputo che era ritornato, l’avevano operato,
ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a
rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie
non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A
che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una
misura così sadica e vessatoria?Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è
una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo
e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro
aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura,
mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di
emarginazione. E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue
predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.Visto però i risultati, credo
che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
La seconda
di Mario Trudu, un pastore sardo condannato
all’ergastolo e in carcere dal 1979. Quella di Mario Trudu è una delle storie
più emblematiche, più drammatiche, che, esclusi i 10 mesi di latitanza tra ’86
e l’87, vive in carcere da 32 anni. Senza nessuna prospettiva di non morire lì
dentro. Mario Trudu è un uomo rassegnato, ma non abbastanza, forse è la rabbia
a tenerlo ancora vivo. Eppure anche lui ha chiesto la morte al posto
dell’ergastolo ostativo e ha chiesto di
essere fucilato in piazza a Spoleto (città dove sta attualmente scontando
l’ergastolo) per dare soddisfazione a tutti coloro che i delinquenti li
vogliono vedere morti, anche dopo 32 anni di carcere… Invece il Tribunale gli
ha risposto che la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento Penitenziario,
nè dalla Costituzione. Bel Paese il nostro,
ci battiamo per abolire la pena di morte negli altri Stati ma nelle
nostre prigioni ci si suicida e si muore come mosche e se sei ergastolano e non
scegli di usare la giustizia per tirarti fuori, morirai di sicuro in carcere. Ma lo Stato non vuole la parte del boia: o lo
fai da solo o muori ogni giorno in attesa della fine dei tuoi giorni.
Vi lascio a questa drammatica testimonianza di Mario Trudu
A scrivere è Mario Trudu. Nato l’undici marzo del 1950 ad
Arzana. Mi trovo in carcere dal maggio del 1979 con una condanna all’ergastolo.
Scrivendo questo testo non lo faccio pensando di poter ottenere qualcosa, ma
per informare, perché qualcuno in più venga a conoscenza della situazione in
cui si trovano le persone che sono recluse, come me, con una condanna all’ergastolo ostativo.
Siamo coloro che ogni giorno affrontiamo la nostra tragedia, la nostra vita
senza speranza, eppure, lottiamo e combattiamo per una vita migliore. Mi preme
dire a coloro che si trovano nella mia medesima situazione, e verso coloro che
eventualmente vi si troveranno in futuro, che bisogna fare qualcosa.
Troppo spesso si sente parlare di certezza della pena, ma
occorrerebbe parlare di certezza della morte, perché in Italia chi è condannato
alla pena dell’ergastolo ostativo può essere certo che la propria morte avverrà
in carcere. Spesso si sente nei salotti televisivi qualche politico che batte i
pugni sul tavolo inneggiando alla certezza della pena. A questi vorrei
gridargli in faccia che la mia pena è talmente certa da giungere fino alla
morte. Solo certe menti malate e distorte possono riuscire a superare
l’insuperabile. Non si può introdurre come è stato fatto nel 1992 la norma dell’art.
4 bis O.P. (che nega i benefici penitenziari se non metti un altro in cella al
posto tuo) e renderla retroattiva, applicarla cioè a reati commessi diversi
lustri prima. Lo stesso vale per l’art. 58 ter O.P.(persone che collaborano con
la giustizia), uno scempio per uno stato
che si definisce di diritto. Da quando nell’Ordinamento Penitenziario è stato
introdotto questo articolo, se vuoi ottenere i benefici penitenziari, sei
obbligato a “pentirti”, lasciando in questo modo che si dimentichi che rieducarsi
(se errori ci sono stati in passato) non significa accusare altri, ma cambiare
dentro di sé. Il pentimento che pretendono loro è l’umiliazione. Per loro
collaborazione significa perdita di dignità, fuoriuscire dalla sfera umana.
Come può collaborare chi ha è stato vittima di processi compiuti con la roncola
nei cosiddetti periodi di “emergenza” in cui contava solo la parola dell’accusa
e dove i testimoni della difesa venivano sistematicamente arrestati e
processati anche loro? L’Italia, dagli anni ottanta ad oggi, pare essere un
paese in emergenza perenne.
Si può negare ad un condannato all’ergastolo, dopo che ha scontato già trent’anni di
carcerazione, la possibilità di ottenere un permesso? Il due settembre del 2009
il Tribunale di Sorveglianza d Perugia, a una mia richiesta di tramutare la mia
condanna all’ergastolo in pena di morte (da consumarsi con fucilazione in
piazza Duomo a Spoleto) ha risposto così: “Poiché la pena di morte non è
prevista dall’Ordinamento né ammessa dalla costituzione, si dichiara
inammissibile l’istanza in oggetto”. All’ergastolano, viene dunque proibito
anche di scegliere di morire perché si vuole che affronti la vendetta dello
Stato fino all’ultimo dei suoi giorni.
Io ho sempre creduto che gli unici che avrebbero potuto pretendere
vendetta nei miei confronti fossero la famiglia Gazzotti, l’uomo che ho
sequestrato e che a causa di quella mia azione quel povero uomo morì. Solo loro
credo che possano fare e dire tutto ciò che vogliono nei miei confronti, ne
hanno tutti i diritti. Sicuramente trent’anni di carcere formano un altro uomo,
perché oltre ai valori ed abitudini che già possiedi, ne assorbi altri e
rielaborandoli ne ricavi una ricchezza. La pena dell’ergastolo per chi la vive
come me, è crudele e più disumana della pena di morte, perchè quest’ultima dura
un istante ed ha bisogno di un attimo di coraggio, mentre la pena
dell’ergastolo ha bisogno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza di un
individuo, un’esistenza disumana che rende l’uomo “schiavo a vita”.
Occorre prendere coscienza che l’ergastolano ha una vita
uguale al nulla e anche volendo spingere la fantasia verso previsioni
future, resta tutto più cupo del nulla.
Si parla spesso del problema delle carceri, ma non cambia mai nulla (o forse
qualcosa cambia in peggio e il problema del sovraffollamento delle carceri lo
dimostra). I suicidi nelle carceri sono proporzionalmente in numero maggiore di
diciassette volte rispetto a quelli che avvengono nel “mondo esterno”. I
“signori” politici dovrebbero pensare veramente per un attimo al disgraziato
detenuto che non può morire in carcere per vecchiaia. Parlo dei politici perché
la responsabilità è loro, perché se la legge del 4 bis non viene cambiata siano
consapevoli che noi ergastolani ostativi dal carcere non potremo uscire mai:
che diano risposta a questa domanda questi “signori”!.
Sto sognando, lo so! Purtroppo un ergastolano può solo
sognare.
Fino ad oggi la mia trentennale carcerazione è stata
interrotta da soli dieci mesi di latitanza ( periodo che va da giugno del 1986
ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai nei termini per poter usufruire dei
benefici penitenziari e da allora ho iniziato a presentare diverse richieste
per poterli ottenere, ma sono state respinte sistematicamente tutte fino a
quando nel2004 mivenne concesso un permesso con l’art- 30 O.p. (otto ore
libero, senza scorta) per partecipare alla presentazione di un CD-ROM sulle
fontane di Spoleto, realizzato in
carcere da noi alunni del quarto anno dellIistituto d’arte. Trascorsi quelle
ore di permesso a Spoleto insieme ai miei familiari venuti appositamente dalla
Sardegna, ed in compagnia di alcuni
professori. Nel novembre del2005 mifu concesso un altro permesso, questa volta
di sette ore, per la presentazione di una rivista sui vecchi palazzi di
Spoleto, che avevamo prodotto in
carcere. Trascorsi quelle ore a Perugia sempre con i miei familiari. A questo
punto mi ero convinto che il fattore di pericolosità sociale attribuitomi fosse
oramai decaduto e di conseguenza mi illusi che, di tanto in tanto, mi sarebbe
stato concesso qualche permesso utile a curare gli affetti familiari. Purtroppo
non fu così, perché dopo quell’ultimo permesso tutte le mie richieste furono
respinte. Inizia a questo punto a chiedere con insistenza un trasferimento in
un carcere della mia regione di appartenenza, affinché i miei familiari
potessero avere meno disagi ad ogni nostro incontro, ma nulla da fare: la prima
richiesta fu rifiutata e le successive non ebbero mai risposta. Ho presentato a
più riprese richieste di permesso necessità per poter andare a far visita a mia
sorella Raffaella che non vedo dal 2004 e che non si trova in condizioni per
poter affrontare lunghi viaggi, ma anche queste vengono negate motivando che
lei non si trova in pericolo di vita. Sono contento che mia sorella non sia in
pericolo di vita. Sono state tante le mie richieste per un avvicinamento a
colloquio al carcere di Nuoro, dove mi sarebbe stato possibile incontrare mia
sorella, l’ultima l’ho presentata il due maggio 2011. Ma non mi hanno ancora
risposto.
Mario Trudu
con queste due storie spero di promuovere ( sperando che non degeneri in scazzi e discorsi forcali che poi come spesso accade allontanino dall'argomento in questione )un dibattito riflessione sulla condizione carceraria che a causa dell'inerzia ( paura d'impopolarità perdita di voti da familiari dell vittime ) pr non dire peggio di nostri governanti legislatori porta a quei processi di disumanizzazione, disperazione e di suicidi.
Concludo , rispondendo in anticipo alle eventuali repliche prevedibili quanto scontate d'eventuali forcaioli , che qui non voglio tutti liberi o tutti assolti , perchè chi è colpevole è giusto che paghi sconti la sua pena , ma che tale condanna non sia vendicativa e solo punitiva , ma serva al rieducamento e alla reintegrare il condannato nella società Infatti s'è davvero questo ( anzi mglio dovrebb ma in realtà non lo è ) è lo scopo della reclusione, oltre alla pena di morte andrebbe abolito anche il carcere a vita,perché non è vita quella che trascorre in celle dove in pochi metri quadrati sono ammassate troppe persone che trascorrono le loro giornate nell’inedia, con conseguente degrado delle proprie capacità intellettuali, emotive e sentimentali, dimenticate non solo da Dio e dagli uomini, ma anche dalla speranza di poter uscire un giorno da quelle mura potersi rifar una vita .
<>, sostiene il discusso Umberto Garimberti ,<< dopo la condanna di reclusione, dei carcerati più nessuno si occupa, e alle loro richieste, anche modeste, dettate dall’assenza di speranza e quindi dalla disperazione, si risponde con un linguaggio burocratico, dietro il quale si fatica a pensare che ci sia un uomo che abbia ancora qualche tratto di umanità? >>
Ovviamente non tutte le prigioni versano in questa situazione. In alcune i carcerati possono studiare e anche laurearsi, in altre apprendono un lavoro che un domani possono esercitare, ma troppi sono ancora i luoghi di reclusione in cui tutto questo non accade, e i giorni trascorrono nell’inedia, nel degrado, nella disperazione che, quando si fa troppo acuta, conduce al gesto estremo come a una liberazione. Non ho alcuna difficoltà a chiamare questi suicidi “delitti”, determinati non dalla ferocia della legge, ma dall’ignavia, dall’inerzia dei legislatori, la cui indifferenza per queste situazioni, più crudele della ferocia,non li esonera dalla colpa di creare condizioni di vita tali da rendere la vita stessa impossibile.
Ma ora basta altrimenti finisce tutto io . Adesso tocca a voi
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