30.10.11



Le due   storie (  e  ce  ne  sono tantissime  di situazioni del  genere )  che  voglio raccontare   oggi   sono tratte  da    http://urladalsilenzio.wordpress.com/category/sullergastolo-ostativo/ 

La  prima 
  è quella  di  Salvatore Liga raccontata con le parole di Carmelo Musumeci.detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco. E destinato con certezza a  morire in carcere perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio,  se al suo posto non ci mette un altro. L’ultima volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del carcere con due stampelle sotto le ascelle.Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita Poi un giorno non l’avevo più visto. In seguito avevo saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano operato,  ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria?Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di emarginazione. E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.Visto però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
La   seconda  
 di  Mario Trudu, un pastore sardo condannato all’ergastolo e in carcere dal 1979. Quella di Mario Trudu è una delle storie più emblematiche, più drammatiche, che, esclusi i 10 mesi di latitanza tra ’86 e l’87, vive in carcere da 32 anni. Senza nessuna prospettiva di non morire lì dentro. Mario Trudu è un uomo rassegnato, ma non abbastanza, forse è la rabbia a tenerlo ancora vivo. Eppure anche lui ha chiesto la morte al posto dell’ergastolo  ostativo e ha chiesto di essere fucilato in piazza a Spoleto (città dove sta attualmente scontando l’ergastolo) per dare soddisfazione a tutti coloro che i delinquenti li vogliono vedere morti, anche dopo 32 anni di carcere… Invece il Tribunale gli ha risposto che la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento Penitenziario, nè dalla Costituzione. Bel Paese il nostro,  ci battiamo per abolire la pena di morte negli altri Stati ma nelle nostre prigioni ci si suicida e si muore come mosche e se sei ergastolano e non scegli di usare la giustizia per tirarti fuori, morirai di sicuro  in carcere. Ma  lo Stato non vuole la parte del boia: o lo fai da solo o muori ogni giorno in attesa della fine dei tuoi giorni. 
Vi lascio a questa drammatica testimonianza di Mario Trudu
A scrivere è Mario Trudu. Nato l’undici marzo del 1950 ad Arzana. Mi trovo in carcere dal maggio del 1979 con una condanna all’ergastolo. Scrivendo questo testo non lo faccio pensando di poter ottenere qualcosa, ma per informare, perché qualcuno in più venga a conoscenza della situazione in cui si trovano le persone che sono recluse, come me,  con una condanna all’ergastolo ostativo. Siamo coloro che ogni giorno affrontiamo la nostra tragedia, la nostra vita senza speranza, eppure, lottiamo e combattiamo per una vita migliore. Mi preme dire a coloro che si trovano nella mia medesima situazione, e verso coloro che eventualmente vi si troveranno in futuro, che bisogna fare qualcosa.
Troppo spesso si sente parlare di certezza della pena, ma occorrerebbe parlare di certezza della morte, perché in Italia chi è condannato alla pena dell’ergastolo ostativo può essere certo che la propria morte avverrà in carcere. Spesso si sente nei salotti televisivi qualche politico che batte i pugni sul tavolo inneggiando alla certezza della pena. A questi vorrei gridargli in faccia che la mia pena è talmente certa da giungere fino alla morte. Solo certe menti malate e distorte possono riuscire a superare l’insuperabile. Non si può introdurre come è stato fatto nel 1992 la norma dell’art. 4 bis O.P. (che nega i benefici penitenziari se non metti un altro in cella al posto tuo) e renderla retroattiva, applicarla cioè a reati commessi diversi lustri prima. Lo stesso vale per l’art. 58 ter O.P.(persone che collaborano con la giustizia),  uno scempio per uno stato che si definisce di diritto. Da quando nell’Ordinamento Penitenziario è stato introdotto questo articolo, se vuoi ottenere i benefici penitenziari, sei obbligato a “pentirti”, lasciando in questo modo che si dimentichi che rieducarsi (se errori ci sono stati in passato) non significa accusare altri, ma cambiare dentro di sé. Il pentimento che pretendono loro è l’umiliazione. Per loro collaborazione significa perdita di dignità, fuoriuscire dalla sfera umana. Come può collaborare chi ha è stato vittima di processi compiuti con la roncola nei cosiddetti periodi di “emergenza” in cui contava solo la parola dell’accusa e dove i testimoni della difesa venivano sistematicamente arrestati e processati anche loro? L’Italia, dagli anni ottanta ad oggi, pare essere un paese in emergenza perenne.
Si può negare ad un condannato all’ergastolo,  dopo che ha scontato già trent’anni di carcerazione, la possibilità di ottenere un permesso? Il due settembre del 2009 il Tribunale di Sorveglianza d Perugia, a una mia richiesta di tramutare la mia condanna all’ergastolo in pena di morte (da consumarsi con fucilazione in piazza Duomo a Spoleto) ha risposto così: “Poiché la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento né ammessa dalla costituzione, si dichiara inammissibile l’istanza in oggetto”. All’ergastolano, viene dunque proibito anche di scegliere di morire perché si vuole che affronti la vendetta dello Stato fino all’ultimo dei suoi giorni.
Io ho sempre creduto che gli unici che avrebbero potuto pretendere vendetta nei miei confronti fossero la famiglia Gazzotti, l’uomo che ho sequestrato e che a causa di quella mia azione quel povero uomo morì. Solo loro credo che possano fare e dire tutto ciò che vogliono nei miei confronti, ne hanno tutti i diritti. Sicuramente trent’anni di carcere formano un altro uomo, perché oltre ai valori ed abitudini che già possiedi, ne assorbi altri e rielaborandoli ne ricavi una ricchezza. La pena dell’ergastolo per chi la vive come me, è crudele e più disumana della pena di morte, perchè quest’ultima dura un istante ed ha bisogno di un attimo di coraggio, mentre la pena dell’ergastolo ha bisogno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza di un individuo, un’esistenza disumana che rende l’uomo “schiavo a vita”.
Occorre prendere coscienza che l’ergastolano ha una vita uguale al nulla e anche volendo spingere la fantasia verso previsioni future,  resta tutto più cupo del nulla. Si parla spesso del problema delle carceri, ma non cambia mai nulla (o forse qualcosa cambia in peggio e il problema del sovraffollamento delle carceri lo dimostra). I suicidi nelle carceri sono proporzionalmente in numero maggiore di diciassette volte rispetto a quelli che avvengono nel “mondo esterno”. I “signori” politici dovrebbero pensare veramente per un attimo al disgraziato detenuto che non può morire in carcere per vecchiaia. Parlo dei politici perché la responsabilità è loro, perché se la legge del 4 bis non viene cambiata siano consapevoli che noi ergastolani ostativi dal carcere non potremo uscire mai: che diano risposta a questa domanda questi “signori”!.
Sto sognando, lo so! Purtroppo un ergastolano può solo sognare.
Fino ad oggi la mia trentennale carcerazione è stata interrotta da soli dieci mesi di latitanza ( periodo che va da giugno del 1986 ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai nei termini per poter usufruire dei benefici penitenziari e da allora ho iniziato a presentare diverse richieste per poterli ottenere, ma sono state respinte sistematicamente tutte fino a quando nel2004 mivenne concesso un permesso con l’art- 30 O.p. (otto ore libero, senza scorta) per partecipare alla presentazione di un CD-ROM sulle fontane di Spoleto,  realizzato in carcere da noi alunni del quarto anno dellIistituto d’arte. Trascorsi quelle ore di permesso a Spoleto insieme ai miei familiari venuti appositamente dalla Sardegna,  ed in compagnia di alcuni professori. Nel novembre del2005 mifu concesso un altro permesso, questa volta di sette ore, per la presentazione di una rivista sui vecchi palazzi di Spoleto,  che avevamo prodotto in carcere. Trascorsi quelle ore a Perugia sempre con i miei familiari. A questo punto mi ero convinto che il fattore di pericolosità sociale attribuitomi fosse oramai decaduto e di conseguenza mi illusi che, di tanto in tanto, mi sarebbe stato concesso qualche permesso utile a curare gli affetti familiari. Purtroppo non fu così, perché dopo quell’ultimo permesso tutte le mie richieste furono respinte. Inizia a questo punto a chiedere con insistenza un trasferimento in un carcere della mia regione di appartenenza, affinché i miei familiari potessero avere meno disagi ad ogni nostro incontro, ma nulla da fare: la prima richiesta fu rifiutata e le successive non ebbero mai risposta. Ho presentato a più riprese richieste di permesso necessità per poter andare a far visita a mia sorella Raffaella che non vedo dal 2004 e che non si trova in condizioni per poter affrontare lunghi viaggi, ma anche queste vengono negate motivando che lei non si trova in pericolo di vita. Sono contento che mia sorella non sia in pericolo di vita. Sono state tante le mie richieste per un avvicinamento a colloquio al carcere di Nuoro, dove mi sarebbe stato possibile incontrare mia sorella, l’ultima l’ho presentata il due maggio 2011. Ma non mi hanno ancora risposto.

                              Mario Trudu



con  queste  due storie   spero  di promuovere ( sperando  che non degeneri in scazzi e discorsi forcali  che poi  come spesso  accade  allontanino  dall'argomento in questione )un dibattito riflessione  sulla  condizione  carceraria che a causa   dell'inerzia ( paura  d'impopolarità   perdita  di voti  da  familiari  dell  vittime  ) pr  non dire peggio   di nostri  governanti  legislatori  porta  a quei processi  di  disumanizzazione, disperazione   e di suicidi.
Concludo  , rispondendo  in anticipo alle  eventuali  repliche prevedibili  quanto scontate  d'eventuali forcaioli ,  che qui  non voglio  tutti liberi  o  tutti assolti ,  perchè  chi  è colpevole  è  giusto che paghi   sconti la  sua pena , ma  che  tale  condanna    non sia  vendicativa  e solo punitiva , ma serva  al rieducamento e alla reintegrare  il condannato nella  società  Infatti s'è davvero questo (  anzi mglio dovrebb ma  in realtà non lo  è  ) è lo scopo della reclusione, oltre alla pena di morte andrebbe abolito anche il carcere a vita,perché non è vita quella che trascorre in celle dove in pochi metri quadrati sono ammassate troppe persone che trascorrono le loro giornate nell’inedia, con conseguente degrado delle proprie capacità intellettuali, emotive e sentimentali, dimenticate non solo da Dio e dagli uomini, ma anche dalla speranza di poter uscire un giorno da quelle mura  potersi rifar  una vita  . 
<>, sostiene  il discusso Umberto  Garimberti ,<< dopo la condanna di reclusione, dei carcerati più nessuno si occupa, e alle loro richieste, anche modeste, dettate dall’assenza di speranza e quindi dalla disperazione, si risponde  con un linguaggio burocratico, dietro il quale si fatica a pensare che ci sia un uomo che abbia ancora qualche tratto di umanità? >>
Ovviamente non tutte le prigioni versano in questa situazione. In alcune i carcerati possono studiare e anche laurearsi, in altre apprendono un lavoro che un domani possono esercitare, ma troppi sono ancora i luoghi di reclusione in cui tutto questo non accade, e i giorni trascorrono nell’inedia, nel degrado, nella disperazione che, quando si fa troppo acuta, conduce al gesto estremo come a una liberazione. Non ho alcuna difficoltà a chiamare questi suicidi “delitti”, determinati non dalla ferocia della legge, ma dall’ignavia, dall’inerzia dei legislatori, la cui indifferenza per queste situazioni, più crudele della ferocia,non li esonera dalla colpa di creare condizioni di vita tali da rendere la vita stessa impossibile. 
 Ma  ora  basta  altrimenti finisce  tutto io  . Adesso  tocca  a voi 

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