Un brano su un amore finito. Tema ricorrente nelle canzoni, un topos abusato. Chissà perché, lì per lì mi irritò, e lo dimenticai, come altri pezzi di quel controverso lavoro, per poi ritrovarlo, in questi giorni, intatto e concreto, lucido e acuto, in contrasto col mio animo rasserenato.
In fondo, salvo alcuni eccessi retorici, era un brano che poteva figurare anche in Zerofobia, a partire dall'apertura larga: chitarre straziate e impietose, dall'andamento a risacca, tutto in minore, un lungo mare di disperazione. Le inutili domande, sulla scorta del Cocciante di Quando finisce un amore, ma prive della sua rabbia. Rabbia ce n'era anche qui, molta. Ma, mentre il cantautore italo-francese la gettava tutta sulla partner, Renato la volgeva più che altro verso sé stesso e quel suo essere inadeguato, pur se "unico". Alla fine... "CHIEDI DI PIU'", non accontentarti, superami, non sono io il tuo mondo, anche se, ripensandoti, io bagnerò il cuscino di lacrime appassionate, e forse vorrei averti qui solo per picchiarti, e morderti, e poi abbracciarti ancora, ma il mio destino mi ha già portato lontano, verso una nuova e dannata mèta che so già essere una fata morgana. E non smetterò di pensarti, e non ti avrò.
Lo ascolto in questi giorni, all'apparenza radiosi, perché è un brano umile. Perché mi riconcilia col fallimento e il limite. Perché m'aiuta a non soffermarmi narcisisticamente sul mio dolore. Perché, se non esisto solo io, non esiste nemmeno solo il partner, ma il mondo intero. E' quasi francescano, cazzo.
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