Il naturalista che salva l'ululone appenninico: "Sono così pochi che li riconosco tutti"

CASTEL DI TORA (Rieti) 
 I piedi nella pozza (immersi dopo essersi accertato che non avrebbe calpestato nulla di vivo), Andrea Pieroni draga il fondo fangoso con il retino e con le mani. Le sue dita guizzano fuori dall'acqua e si intravvede un rospetto dal ventre giallo acceso, con macchioline nere: sta immobile, convinto che il suo predatore sarà messo in guardia da quella pancia dal colore così brillante, che indica tossicità. Il viso del responsabile del
servizio naturalistico della Riserva Monti Navegna e Cervia si illumina: "Ma sei tu! Non ti vedevo da un anno, pensavo fossi morto!". Uno degli esemplari più vecchi tra gli ululoni appenninici (Bombina pachypus), che dal 2006 Pieroni monitora e cataloga con una passione che va ben oltre i suoi compiti, viene controllato meticolosamente. "È un po' magro - osserva il naturalista - probabilmente ha appena ricominciato a muoversi dopo la fase di ibernazione, quando se ne stanno sotto il fango, ma sembra in buona salute. Lui ha circa 12 anni, ma possono arrivare anche a 16". Le macchioline nere sulla pancia dell'anfibio vengono confrontate con quelle di foto precedenti per una verifica ulteriore, poi viene messo in un barattolo, fotografato di nuovo e misurato. I dati, compresa la temperatura dell'acqua nella pozza in cui è stato trovato, sono annotati insieme a quelli degli altri esemplari che Pieroni pesca e poi rilascia. "Non è un bene che io li riconosca anche senza guardare le cartelle per il confronto - si rabbuia - vuol dire che sono pochi, sempre gli stessi".
 L'animaletto che l'Italia rischia di perdere. Gli ululoni sono pochi non soltanto qui, in questo angolo di paradiso dell'Appennino laziale, ma in tutta Italia. Il piccolo rospo (non supera i 5 cm) esclusivo della penisola italiana è l'emblema della nostra perdita di biodiversità e della minaccia che incombe sugli anfibi, che sono in tutto il mondo tra le specie più a rischio. Per restare all'Europa, il 59% di anfibi è in diminuzione e per il 23% la situazione è talmente grave da doverli annoverare nella Lista Rossa Europea. L'ululone appenninico rientra appunto in questo triste 23%: "Ha subìto negli ultimi anni un rapido declino tuttora in corso - spiega Pieroni - a causa della trasformazione del suo habitat. Vive e si riproduce in ambienti montani
o collinari e la sua sopravvivenza è strettamente legata alla presenza di pozze d'acqua anche temporanee, o di piccoli bacini artificiali come vecchi lavatoi in pietra usati in pastorizia. La distruzione degli ambienti adatti alla riproduzione, l'abbandono delle tradizioni agricole di un tempo e l'eccessivo sfruttamento dell'acqua minacciano l'ululone. In più, il clima sempre più caldo fa evaporare le pozze rapidamente e la cattura per il commercio illecito dei collezionisti, soprattutto verso la Germania, non si ferma".

Specie endemica della penisola (vive dalla Liguria alla Calabria) il piccolo rospo è ora a rischio di estinzione. Un progetto della Riserva Monti Navegna e Cervia, Università Roma Tre e Fondazione Bioparco di Roma alleva le uova in cattività e poi libera gli ululoni di 1 anno nelle pozze controllate dalla Riserva. Il naturalista Andrea Pieroni: "Distruzione del suo habitat e cambio climatico minacciano la sua sopravvivenza"

La sopravvivenza appesa a un filo (d'erba). Pieroni continua la sua osservazione delle pozze, che l'ufficio tecnico della Riserva Monti Navegna e Cervia, dove restano circa un centinaio di ululoni, ha recintato per evitare che cinghiali e altri animali entrino nell'acqua bassa. Con pazienza certosina osserva i germogli dei giunchi e delle erbe acquatiche alle quali sono attaccate le uova di ululone e le conta. "Rispetto ad altri anfibi l'ululone depone poche uova - dice - poche si schiudono e la mortalità dei girini e dei metamorfosati è altissima, circa il 92%". Con un altro filo d'erba recupera un grappoletto gelatinoso dal fondo e lo posa su uno stelo: "Perché le uova si schiudano devono essere a mezz'acqua, non posate sul fango. Provo a rimetterle qui, ma chissà...". Il suo non è fatalismo, è la praticità che, dopo anni di monitoraggio e tentativi di salvaguardare i nuovi nati, ha portato a cambiare strategia. Dal 2012, infatti, un progetto tra la Riserva, l'Università di Roma Tre e il Bioparco di Roma per aumentare la popolazione abbina alle attività sul campo quelle di laboratorio: dalle pozze si prelevano le uova, che vengono allevate nei laboratori del Bioparco, poi gli ululoni metamorfosati (cioè non più girini né adulti, a un anno di vita) sono rilasciati nelle pozze e monitorati.Uova al Bioparco, adolescenza nella riserva. "Il progetto sta dando risultati - dice il naturalista mentre controlla palmo a palmo anche l'abbeveratoio, che si trova un po' più a monte - ma mi preoccupa il cambiamento del clima: l'acqua è molto diminuita e non basta che, come abbiamo fatto, in agosto si sia arrivati a rifornire le pozze". Pieroni si blocca di colpo: "Ecco, hai sentito il verso?". Naturalmente soltanto lui ha l'orecchio allenato per percepire in mezzo al cinguettio degli uccelli un "uh uh", assai forte, considerato che è prodotto da un animaletto di pochi centimetri, e tanto particolare da aver dato il nome all'anfibio. È un buon segnale, vuol dire che i maschi stanno lanciando richiami alle femmine, che però oggi non si fanno trovare: alla fine si riesce a fotografarne soltanto due.
Il naturalista si infila in un pozzetto lungo strada, ammira una biscetta d'acqua e dopo aver passato palmo a palmo il tombino emerge con un altro ululone in mano. "Meno male che l'ho trovato - dice mettendolo nel barattolo che gli si porge - questo sarebbe finito dall'altro lato della strada e chissà se sarebbe riuscito a ritrovare la via delle pozze". Nel suo sollievo è palese la preoccupazione di chi sa che con una popolazione così ridotta perdere anche un solo esemplare è una tragedia. "Oggi ne abbiamo trovati pochi, ma è ancora presto, date le temperature - conclude - e poi ci vorrebbero più fondi e più personale. Se vengo da solo riesco a catalogarne meno, mi è prezioso qualcuno che prenda nota mentre li osservo".

Però la Riserva dei Monti Navegna e Cervia crede nel progetto ed è già molto: "Dopo anni di collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre e la Fondazione Bioparco di Roma,- conferma il presidente della Riserva, Giuseppe Ricci  - ora c'è l’accordo con l’Università Agraria di Vallecupola, che ci ha concesso il terreno per ampliare un’area in cui intendiamo realizzare piccoli siti umidi adatti alla vita dell’ululone appenninico; in questo modo potremo proseguire con il ripopolamento di questa specie e allo stesso tempo dare una possibilità di colonizzazione di nuovi habitat alle popolazioni esistenti". E magari quando Andrea Pieroni ne tirerà qualcuno fuori dal fango potrà gioire di non riconoscerlo a prima vista. 

 



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