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17.6.25

Diario di bordo n 129 anno III Bambino di 2 anni "ruba" la pistola al papà e uccide la mamma, la scena ripresa dalle telecamere: «Erano in giardino» ., Tra la Pianura Padana e Appennini c'è il mappamondo dell'umanità., La meravigliosa zia Angheledda a 90 anni coglie le olive in sedia a rotelle.

  e  poi questa  destra     e  non  solo vuole   come negli Usa     rendere  libere  le  armi . La  notizia    non è avvenuta in italia   , ma  può  essere  da  esempioe da   detterdente   per  coloro   che  a prescindere    dall'appartenenza      politica   volglio  la libera  circolazione delle armi  . 

da leggo.it


Bambino di 2 anni "ruba" la pistola al papà e uccide la mamma, la scena ripresa dalle telecamere: «Erano in giardino»


Una tragedia ha colpito una famiglia nello Stato brasiliano di Minas Gerais, dove un bambino di appena 2 anni ha accidentalmente ucciso la madre, di 27 anni, dopo aver preso la pistola lasciata incustodita dal padre. Tutta la dinamica degli avvenimenti è stata immortalata dalle telecamere di sicurezza dell'abitazione.
La morte della mamma
Secondo quanto riferito dalla polizia ai media locali, la famiglia si trovava in giardino quando il piccolo ha raggiunto l'arma – una pistola 9 mm legalmente registrata – appoggiata su un tavolo. Senza che i genitori se ne accorgessero, il piccolo ha puntato la pistola verso la madre e ha premuto il grilletto. Il proiettile ha colpito la donna al braccio e al torace. Trasportata d'urgenza in ospedale, è deceduta poco dopo.
Il papà indagato
Il padre, un produttore rurale, è stato ascoltato dalla polizia e sarà indagato per omessa custodia dell'arma e omicidio colposo. Dopo il primo interrogatorio, è stato rilasciato. La pistola, insieme a munizioni e caricatore, è stata sequestrata. Il bambino resterà con la famiglia, ma sarà seguito dai servizi sociali


fonte  avvenire 

Tra Pianura Padana e Appennini c'è il mappamondo dell'umanità



Da Milano a Roma, in un viaggio povero, lento e condiviso, lungo la Via Francigena, per raggiungere piazza San Pietro e consegnare una lettera al Papa. È il Cammino della Pace che ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole Penny Wirton, una rete di 65 associazioni i cui docenti volontari insegnano gratuitamente italiano ai migranti. Eraldo Affinati, scrittore e fondatore nel 2008 con la moglie Anna Luce Lenzi della prima Penny Wirton romana, racconta ogni settimana una tappa di questo cammino.
La pace non basta invocarla, bisogna costruirla: giorno per giorno, ora per ora. In questo nostro cammino verso Roma vedo le luci insieme alle ombre. La buona volontà degli esseri umani è spesso resa vana dalle storture amministrative, dai ritardi burocratici, dalla deresponsabilizzazione che scaturisce dalla mera esecuzione dei mansionari, se non dalla colpevole ignavia di chi dovrebbe sovraintendere alle operazioni. Nella Parma opulenta e sofisticata dell’Italia più florida, fiore all’occhiello del Nord produttivo e pulsante, per ciò stesso meta privilegiata dell’immigrazione proveniente dal Sud del pianeta, verifico tutto lo scarto fra i sogni e la realtà, l’esigenza concreta che nasce dalle vere necessità e l’inconcludenza dei protocolli d’intesa. Nei pressi della stazione ferroviaria il tunnel di vetro e acciaio del Ponte Europa, centro polivalente progettato dall’architetto Vittorio Guasti, costato venticinque milioni di euro, concluso nel 2012, sorta di attardata Bauhaus in mezzo alla pianura emiliana, non è mai entrato in funzione. Di volta in volta occupato da qualche disperato in cerca di riparo e liberato dalle forze dell’ordine, resta tutt’oggi ai margini del ruscello sottostante come un’opera inutilizzata, triste monumento all’ignavia delle istituzioni. E sì che ci sarebbe estremo bisogno di quegli spazi vuoti, precocemente degradati e quindi ormai da ripristinare!
Me ne rendo ben conto varcando l’ingresso del “Centro di accoglienza straordinaria provvisorio”, Strada Barghetto 9/A, alla periferia della città, a Martorano, ex magazzino di pomodori trasformato in luogo di ricovero e soccorso per immigrati adulti, per la grande maggioranza appena arrivati nel nostro Paese. Non ci sono collegamenti con il centro urbano, il che costringe i residenti a camminare sul ciglio della strada, in mezzo alla campagna, per raggiungere qualche fermata di autobus. Chi sono quegli individui in tuta da ginnastica che procedono lungo i fossi, rischiando di venire travolti dai Tir e dalle automobili? Fra poco li conoscerò. Entriamo all’interno dell’unità mentre comincia a piovere. Sulla destra ci sono una dozzina di container improvvisati: sei lettini a castello accanto ai servizi igienici. Nel grande piazzale di cemento è poggiata una tensostruttura dove gli ospiti, centinaia di uomini, quasi tutti bengalesi o pachistani, stanno facendo colazione. In fondo ai tavoli spuntano un paio di lavagne con diversi quaderni sbrindellati e un paio di penne a biro. Appena ci vedono, i migranti ci salutano mettendosi la mano sul cuore. Hanno sorrisi luminosi, occhi freschi, modi gentili: molti provengono direttamente da Lampedusa. Dovrebbero restare pochi mesi. Parlo con due responsabili di questo centro che dipende dalla Prefettura: un’indiana e una camerunense, uniche donne.
Mi si avvicina un ragazzino dall’apparente età di sedici anni. Ho lavorato una vita con gli adolescenti come lui: non mi posso sbagliare. Se fosse vero, non dovrebbe essere qui. Mi mostra gli esercizi appena fatti: io sono, tu sei, egli è; io vado, tu vai, noi andiamo. Non parla italiano, vorrebbe che lo interrogassi, come un gattino in cerca di una carezza, me lo fa capire a gesti, chissà, forse ha intuito che sono un insegnante. Sento aria di casa. Di più: avrei voglia di buttarmi in mezzo a tutti gli altri che in questo momento ci guardano. Datemi un gessetto e un’altra lavagna più grande: avanti ragazzi, impariamo nomi e verbi. Venite qui riuniti intorno a me. La classe perfetta, impossibile da trovare nella realtà: attenti, motivati, concentrati, assorti, volenterosi. Percepisco nel loro silenzio una qualità speciale, asiatica, non occidentale, cresciuta fuori dall’individualismo umanistico, e questo mi elettrizza. Nei suoi romanzi Joseph Conrad lasciò trapelare un sentimento simile: siccome li lessi da giovane, adesso è come se tornassi a riparlare con me stesso. Analfabeti nella lingua madre si mischiano a universitari; ce n’è uno, seduto più in là, che sta discutendo in inglese con Piero, il quale mi dice che nella sua patria ha conseguito un master in storia dell’arte. La comune condizione di esiliati riunisce persone molto diverse. Ci fanno vedere sul cellulare le immagini dei campi libici da cui provengono. Qui, a Martorano, sento il profumo intenso della pace e capisco le ragioni profonde del nostro cammino.
E' un’esperienza di umanità spumeggiante. Profughi di Dacca, Karachi, Peshawar, Lahore... Nomi che possiamo avere letto sui libri di Kipling, bardo dell’imperialismo britannico. Due ospiti stanno finendo la colazione all’aperto, davanti a una saracinesca arrugginita. Facciamo questo percorso innanzitutto per loro e ho l’impressione che l’abbiano inteso. Altrimenti non avrebbero scambiato con noi un po’ di sé stessi. Sarà così anche un paio di ore dopo, nei boschi di Collecchio, dove incontrerò Hamid e altri ragazzi come lui. Quante frontiere hai attraversato? Per rispondere alla domanda, prova a contarle sulle punte delle dita, come ripassando le tabelline: Camerun, Niger, Nigeria, Algeria, Libia, Tunisia, Italia, poi Svizzera, Francia, Germania, di nuovo Italia. In quale lingua sogni? Cosa vuoi fare nella vita? Il volto carico di speranza parla da solo.
Siamo stati anche in una casa famiglia per minorenni non accompagnati, pochi ragazzi dentro un appartamento in una zona di villette, con turni di cucina e riordino mensile segnati sul tabellone, il seminterrato trasformato in palestra, le stanze simili a quelle dove vivono i nostri figli: la faccia bella dell’accoglienza nei modi in cui dovrebbe essere. Come l’incontro organizzato al Centro Servizi per il Volontariato, in via Bandini 6, animato tutti i giorni da molteplici attività didattiche grazie all’iniziativa di tante persone pronte a mettersi in gioco spesso in modo assolutamente gratuito: resta incisa nei miei occhi la fila delle carrozzine coi bambini vocianti in uno dei corridoi antistante la sala dove abbiamo raccolte le parole da consegnare a Roma. Un vocabolario di democrazia e cittadinanza, misericordia e umanità in cammino, rispetto e solidarietà, equità e futuro, gratitudine e amore, istruzione e salute, commercio e opportunità, conoscenza e umiltà, sicurezza e vita migliore: pezzettini di pane da spartire gli uni con gli altri, sapendo che ciò che regali oggi ti ritornerà decuplicato domani da chi non ti aspetti e ciò che sottrai agli altri lo rubi anche a te stesso. P oi siamo andati nella piccola stazione di Vicofertile, invasa dal fogliame rigoglioso dell’incipiente primavera, a prendere il trenino per Berceto: era stato proclamato uno sciopero ferroviario, ma dopo un po’ il convoglio si presenta, annunciato dal campanello lungo i binari. Una vecchia Italia di pozzanghere secche, case cantoniere, cartelloni semicancellati, nuvole che vanno e vengono, attese e ritardi verso il groviglio degli Appennini che già s’intravedono, oltre l’autostrada della Cisa, nell’ultimo superstite azzurro di questa giornata- mappamondo.

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  da  cronaca della  sardegna  e non solo




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Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...