Una lettera chiusa in una bottiglia racconta la storia di Franco Cesana 13 anni il più giovane partigiano nella lotta di Liberazione

In  risposta ad  Ignazio  la  Russa  ed  ai  suoi seguaci  che  dicono  chhe  la  costituzione  italiana   è  antifascista   :    “I giovani non sanno abbastanza per essere prudenti, e quindi tentano l'impossibile e lo ottengono, generazione dopo generazione”

                                                            Pearl S. Buck



ed è  proprio     partendo  da     questa  citazione    che   riprendo   la  storia   riporta  dalla  News Letters  di     Mario  Calabresi  


Alle otto di mattina del 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che coordinava le operazioni militari delle formazioni partigiane, manda ai milanesi un messaggio che passerà alla storia. La voce di Sandro Pertini, che nel 1978 diventerà Presidente della Repubblica, incita dalla radio all’insurrezione generale contro i nazifascisti. Quel giorno Milano viene liberata e quella sera Benito Mussolini fugge dalla città, travestito da soldato tedesco, ma due giorni dopo viene catturato dalla 52esima Brigata Garibaldi all’uscita di Musso, a un chilometro da Dongo, sul Lago di Como, dove sarà processato e fucilato il 28 aprile.

La copertina del podcast "Hai presente il 25 aprile?" prodotto da Chora Media. È possibile ascoltarlo gratuitamente online da questa mattina cliccando qui


Perché proprio la data del 25 aprile è stata scelta come Anniversario della Liberazione? Cosa è successo nelle settimane precedenti? Chi erano e quanti erano i partigiani? C’erano anche donne tra loro? Cosa era successo nei due lunghi inverni di occupazione nazista? A tutte queste domande, che sono   di  Altre/Storie di Mario Calabresi  ma, immagino, anche di molti di voi,  << ho cercato di dare risposte interrogando Chiara Colombini, ricercatrice presso l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e autrice del libro “Anche i partigiani però…” e Paolo Pezzino, che ha insegnato Storia contemporanea a Pisa, è uno studioso delle stragi nazifasciste e presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ne è nato un podcast realizzato proprio in collaborazione con l’Istituto Parri, che con lo stesso formato del precedente “Hai presente la Marcia su Roma?” dà vita a una collana di divulgazione storica di Chora Media, curata da Davide Savelli. L’idea è quella di cercare risposte competenti ma comprensibili a tutti, capaci di fare memoria e di combattere oblio e qualunquismo. >>

 Ed   è  per  questo  che  riporto    dalla  stessa  fonte      la storia del più giovane partigiano italiano, Franco Cesana  (  foto  a  sinistra   )  , che a soli dodici anni scappò di casa, dopo aver detto che usciva a prendere il latte, per raggiungere il fratello e unirsi alla Resistenza. Solo due mesi dopo, a giugno del 1944, la mamma ricevette una meravigliosa lettera in cui Franco le raccontava la sua avventura. È una storia dolorosa e commovente, che ho scoperto grazie alla storica Liliana Picciotto che da anni alimenta il portale Resistenti ebrei d'Italia nel quale raccoglie testimonianze sul contributo ebraico alla Resistenza.
Liliana Picciotto, che è responsabile per la ricerca storica del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), ha appena presentato una nuova parte della sua ricerca, fatta di storie e podcast, da cui condivido una parte del racconto su Franco Cesana, che era nato a Mantova il 20 settembre del 1931, si era trasferito con la famiglia a Bologna ed era rimasto orfano del padre quando aveva otto anni. All’inizio del 1944, il fratello maggiore Lelio si era arruolato con i partigiani nella formazione Scarabelli, creata in provincia di Modena, e Franco sognava di raggiungerlo come racconterà la mamma Ada Basevi: «Era parecchio tempo che questo benedetto bambino mi chiedeva sempre, alla sera: “Mamma, lasciami andare, voglio andare con i partigiani, dammi il permesso”. Gli rispondevo sempre di no: “Sei troppo piccolo, lascia fare a tuo fratello che è più grande”». Il primo aprile Franco fugge e riesce a trovare i partigiani, ma per poter essere accettato mente sulla sua età, dichiarando di avere 16 anni, e così gli viene affidato il compito di staffetta portaordini con il nome di battaglia di “Balilla”. La madre per lunghe settimane non saprà nulla del destino del figlio, anche se lo conosceva come un ragazzino responsabile e più maturo della sua età: «Mio figlio, era molto indipendente, non si lasciava sottomettere dalla paura dei castighi ed era molto religioso, tanto che studiava da rabbino». Finalmente, il 7 giugno 1944, a casa arriva una lettera rassicurante, scritta con una calligrafia da bambino. “Carissima mamma, dopo la mia scappata non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini. Ti do ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii così all’improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai finché potevo poi mi fermai a dormire in un fienile in località Osteria Matteazzi. Al mattino, svegliandomi con la fame, ripresi a camminare in direzione di Gombola, sfamandomi con le more. Arrivai a Gombola verso le nove e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola. Arrivai nella detta località stanco morto, ma mi feci coraggio e mi presentai. Dopo un po’ mi si presentò l’occasione di entrare a far parte della formazione Marcello. Sei contenta? Presentandomi a Marcello, fui assunto e siccome ho studiato, fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile relativamente sicuro in una località sopra a Gombola. Così non ti devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima; solo un po’ precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente, ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Così, chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo finito. Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro. Ti raccomando, appena ricevi la mia bruciala. Ancora ti saluto e ti abbraccio”.


Lettera di Franco Cesana alla madre, 7 agosto 1944. © Archivio Fondazione CDEC


Ciò che la mamma aveva fatto giurare a Franco, era di non dire mai, in nessuna occasione, di essere ebreo, essendo per lui doppio il pericolo: l’appartenere al movimento partigiano e l’essere ebreo. La lettera non fu bruciata ma chiusa in una bottiglia di vetro e seppellita, affidata dalla mamma alla terra, futura testimonianza su quanto avvenuto alla famiglia Cesana. Dopo alcuni mesi di silenzio, il 14 settembre 1944, Ada Basevi si vede comparire davanti il figlio, cresciuto, bello, sicuro di sé. “Non piangere, mamma – gli dice, nel salutarla – ritornerò per il mio compleanno”. Il 20 settembre, infatti, Franco avrebbe compiuto 13 anni. La sera dopo, nel corso di una missione con il fratello Lelio e altri partigiani, incontra un gruppo di tedeschi che, allertati da una spia, non esitano a sparare uccidendo Franco e altri quattro ragazzi. Mancavano sei giorni ai suoi tredici anni. Il comandante della formazione partigiana riuscirà a recuperare il corpo di Franco per portarlo alla madre proprio il 20 settembre, il giorno del compleanno.
Il portale web “Resistenti ebrei d’Italia” della Fondazione CDEC, con le illustrazioni di Sara Radice


La ricerca sul contributo ebraico alla Resistenza riprende uno dei primi progetti avviati dal CDEC che ne ha caratterizzato l’attività fin dalle origini (1955) e che in tutti questi anni, pur non essendo mai stato portato a termine, ha costituito uno dei principali nuclei del patrimonio di documenti della Fondazione.
La ricerca viene resa pubblica tramite l’aggiornamento del portale online con un database di oltre trecento profili di resistenti e con la narrazione di cinque vicende particolari – tra cui quella di Franco – presentate anche sotto forma di podcast. La ricerca esplora vicende per lo più sconosciute e indispensabili per ricostruire il ruolo degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, non solo vittime ma anche protagonisti della resistenza al nazifascismo.

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