25.4.23

Il calciatore che uccise Mussolini: Michele Moretti (ovvero il commissario Gatti)

  da   https://www.corriere.it/  del  25\4\2023

Fu idraulico e celebre partigiano tanto da avere un ruolo importante a Dongo. Ma fu anche terzino e poi ala della Comense, giocò in B e in C e perfino il c.t. Pozzo lo valutò per la Nazionale, ma non lo convocò

Il calciatore che uccise Mussolini: Michele Moretti (ovvero il commissario Gatti)

Il calciatore, l’idraulico, il partigiano, ma soprattutto il giustiziere di Mussolini. Quella di Michele Moretti, conosciuto dai compagni della Resistenza come Pietro Gatti, è una storia quasi leggendaria, ma che intreccia sport e politica in uno dei momenti più drammatici e significativi per l’Italia. Nato a Como nel 1908 da padre ferroviere, le sue imprese sportive vennero presto dimenticate di fronte al ruolo che ebbe con i partigiani nella cattura e nell’esecuzione del Duce, tanto dall’aver combattuto con i partigiani prima e l’esser fuggito in Jugoslavia e Unione Sovietica poi, quando dietro la fuga rimase irrisolto il mistero di un presunto bottino in milioni di lire dell’epoca sottratto alla Repubblica di Salò e agli ultimi gerarchi fascisti.
Ma quello che pochi ricordano è che come calciatore giocò come terzino e poi ala nella Comense fra il 1927 e il 1935, protagonista di una stagione fantastica in serie C, dove la squadra non perse neanche una partita con ben 90 gol segnati. Nel complesso giocò 4 campionati cadetti con 83 presenze all’attivo, fino alla stagione del 1933-34 quando, perdendo per 4-2 con il Bari, vide sfumare all’ultima giornata la promozione in A conquistata invece dalla Sampierdarenese (antenata della Sampdoria). Ebbe anche la possibilità di vestire la maglia della Nazionale i giocatori visionati da Vittorio Pozzo, unico allenatore a detenere ancora oggi il record di due Mondiali di calcio vinti, giocando fra gli azzurrabili ebbe un comportamento altalenante, focoso e discutibile, mostrando presto la sua indole combattiva, anche nella vita.
A casa, il ragazzo che per sopravvivere all’epoca lavorava in realtà come idraulico a Maslianico (Como), aveva sempre ascoltato il pensiero di alcuni esponenti del socialismo italiano e straniero, come Costa, Turati, Prampolini e naturalmente Marx. Nel 1944 prese parte anche a degli scioperi, prima di lavorare in Austria, in una succursale della Gerenzana a Pols, quando la sua storia sarebbe diventata famosa. Era fuggito, ma mantenendo sempre i contatti con i vertici comunisti nell’Italia settentrionale durante la Resistenza. Fu il 25 aprile del 1944, esattamente un anno prima della Liberazione, ad abbracciare pienamente la causa dei partigiani sulle Alpi Lepontine, sulla sponda occidentale del lago di Como e del lago di Mezzola. I compagni raccontavano che avesse tante vite quante ne hanno i gatti, fino a quando non fu chiaro che il fascismo era caduto e che il Duce stava fuggendo oltreconfine.
Come commissario politico della 52esima Brigata Garibaldi «Luigi Clerici», operante sul monte Berlinghera, intercettò un gruppo di soldati tedeschi, che fuggendo provava a razziare abitazioni, opere d’arte, ricchezze e quello che potevano. Catturati i fuggiaschi la scoperta: Benito Mussolini e la compagna Clara Petacci, insieme ad altri fedeli gerarchi, erano nascosti fra gli ostaggi. Moretti chiese consiglio ai vertici militari comunisti, ma presto si decise per l’esecuzione del Duce. Dal posto di blocco di Dongo a Bonzanigo, frazione di Mezzegra, giunsero i capi partigiani Walter Audisio e Aldo Lampredi. La storia si fa confusa, ma sembra che Moretti prese parte alla fucilazione con una MAS-38 francese di calibro 7,65.
Da quel momento, in una fase storica estremamente confusa, l’ex calciatore venne accusato di essere fuggito con 33 milioni di lire, parte del tesoro della Repubblica di Salò, precedentemente sequestrato ai prigionieri. Un aspetto che fu oggetto anche di un processo nel 1957, ribattezzato «L’Oro di Dongo» ma il partigiano Gatti era già scappato in Jugoslavia, prima di riprendere nel dopoguerra il proprio lavoro di idraulico nell’allora Unione Sovietica. Si racconta della perdita della moglie, di quella di un figlio, anche se il resto della sua vita fu in buona parte avvolta nel mistero, compresa la sua testimonianza diretta sulla morte del Duce. Il calciatore-partigiano fu premiato con l’Abbondino d’Oro nel 1993, massima onorificenza del Comune di Como, dove nel frattempo era rientrato nell’ultimo periodo della sua vita, prima di morire per cause naturali il 5 marzo del 1995. Una storia fra le tante di anni complessi, ma che mostra come lo sport e la vita rimangano sempre componenti difficili da slegare e che si intrecciano nello svolgersi degli eventi.


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