Certi insetti grilli , cavallette , ecc non so se li mangerei direttamente o nelle farine cerco ora che la Uene ha legalizzato l'uso di fare attenzione . Ma mi da fastidio la campagna che ciclicamente viene fatta girare usando fake news\disiformazioni o notizie riciclate da siti complottisti e della destra populista \ extraparlametare . Infatti si nega e storie come queste riportate sotto la smenticono che nella nostra " alimentazione nazionale " si mangino e ci siano piatti ed alimenti a base d'insetti . Ma soprattutto che t'impongano ( N.b a prescindere dal colore politico ) cosa devi mangiare o meno e ti giudicano ed condannano se scegli o decidi , non solo per moda , di provare a mangiare prodotti con insetti Infatti Le farine di insetti sono tesi discutibile ed opionabile un alimento sostenibile per gli animali e gli uomini. Contrapporle al cibo tradizionale è solo una scelta ideologica. Che non tiene conto della tradizione delle nostre campagne e dei nostri nonni. Ecco due storie in merito .
Iniziamo con la storia di un formaggio sardo casu marzu è una prelibatezza( ovviamente dipende dai gusti ) Proibita, fuorilegge, secondo i protocolli sanitari. E quindi ricercatissimo.Letteralmente, tanto per sgombrare il campo da ogni dubito, il suo nome significa formaggio marcio. E infatti qualcuno lo chiama anche casu frazigu. Eppure, proprio perché “marcio” non è sempre sinonimo di “non commestibile” .Tecnicamente è un pecorino – principalmente Fiore Sardo – colonizzato dalle larve di mosca casearia, che detto così può far storcere il naso: eppure il casu marzu è il portavessillo di tutta una categoria di formaggi figli di processi di affinamento fuori dagli schemi, dal Saltarello friulano (a saltare sono le larve) al Casu Punt molisano (punt
dagli insetti), amati e demonizzati allo stesso tempo, polaroid di
metodi ancestrali di produzione che nel mondo moderno diventano
semplicemente too much.In vari posti del mondo lo hanno inserito in una specie di museo degli orrori food, insieme al Ttongsul (un vino prodotto in Corea a partire dalla fermentazione delle feci umane, specificamente di bambino) o al Gomutra, bevanda sacra del zoroastrismo, tecnicamente urina di mucca.
LOIC VENANCE//Getty Images
Il Guinness dei primati, nel 2009, lo ha inserito tra i formaggi più pericolosi al mondo,
sposando la teoria secondo la quale le larve che lo caratterizzano
potrebbero essere ingerite provocando danni agli organi interni.In Italia è semplicemente illegale da più di sessant’anni.Del casu marzu,
quindi, sappiamo che è fuorilegge e pericoloso: ma mentre sappiamo
esattamente perché sia fuorilegge, non è del tutto vero che sia anche
pericoloso. OK, ma come è fatto il casu marzu?Si
sa che sbaglio e abbaglio hanno la medesima radice etimologica: da un
errore, a volte, nasce un’intuizione che ribalta la realtà.C’è da presumere che
il primo attacco della mosca casearia a una forma di pecorino non sia stata pianificata a tavolino: eppure, il risultato ottenuto deve aver spinto qualcuno a dire
dovremmo rifarlo.Se in linea di massima lo sfarfallamento di moscerini attorno a forme di formaggio non è un buon segno, nel caso del
casu marzu è il segnale che si sta per scatenare l’inferno: allo scoccare della primavera, e per tutta l’estate,
i pastori facilitano l’ingresso della piophila casei
nelle forme dei loro pecorino: scavano piccoli solchi riempiti d’olio
d’oliva, che rende la forma accessibile e soprattutto invitante. Le
mosche si introducono, depongono le uova – che si schiudono nel giro di
quarant’otto ore – e nascono le larve: le due settimane che impiegano a
diventare pupe è il momento cruciale per la deflagrazione della magia.Muovendosi all’interno della forma
con il loro iconico ondeggiare saltatorio, le larve bucano la pasta grazie agli enzimi presenti nella loro saliva,
digerendo
la pasta caseosa, che finisce per assumere la tipica consistenza
cremosa, liquescente. Al termine del processo di maturazione, la forma
viene incisa sulla parte superiore, che viene rimossa: è il cosiddetto
su tappu. Stappando la forma, la pasta giallognola proffonde in tutta la sua pungenza.
Di cosa sa il casu marzu?
Il primo sentore olfattivo facilmente riscontrabile all’apertura di su tappu è quello di affinamento stravecchio, di trasuda di tufo, caglio animale, macchia mediterranea, accompagnate poi un bouquet di spezie piccanti, da souk. La textura che presenta il casu marzu è pura morbidezza cremosa, spalmabilità: il concetto che suggerisce è quello di concentramento estremo, come se l’anima di tutti i formaggi del mondo sia confluita all’interno di quella forma. Il sapore, effettivamente, conferma quella sensazione: addentare un brandello di casu marzu
significa farsi scivolare sulla lingua tutta la fricatività delle effe e
delle erre, e la palatalità delle g che compongono la parola formaggio.Ha il sapore dell’infinito formaggioso, dell’universale caseario, perdurante, sempiterno. La pungenza, che lo trascina all’estremo del piccante, non deve però mai farsi ammoniacale, perché in quel caso il casu marzu potrebbe essere già troppo marzu, le larve divenute già pupe, l’unicità sfumata nell’incommestibile.
Perché è illegale?
Ed è davvero pericoloso?A rendere il casu marzu illegale è la presenza delle larve vive: la legge 283 del 1962, che però è una legge di sessant’anni fa, cioè di quando il mondo guardava alle fermentazioni, ai cibi vivi con occhi diversi dai nostri, lo esclude di diritto dal novero della legalità – così come il cosiddetto Pacchetto igiene dell’Unione Europea che con una serie di regolamenti, a cavallo tra il 2004 e il 2005, ha definito standard di produzione asettici e sicuri.La sottile linea rossa tra proibito e
fuorilegge, in questo caso, più che da una serie di cavilli burocratici è definita dalla tradizione: è vero che non c’è un modo standardizzato e sterile per produrre il casu marzu – nonostante ci siano stati tentativi di produzione controllata, con forme contaminate da mosche selezionate da dipartimenti entomologici universitari –, cioè un modo che possa garantire sicurezza e qualità del formaggio, ma d’altra parte la qualità è anche figlia di un metodo affinato nei secoli, vero e proprio patrimonio culturale che in quanto tale si merita una difesa d’ufficio.Il casu marzu, insomma, passeggia sulla lama del rasoio di Occam.Come ci dovremmo comportare di fronte a cibi prodotti con pratiche ancestrali – per quanto naif – che sono la nostra storia? Dovremmo davvero sacrificarli sull’altare di un appiattimento imposto dagli standard sanitari per la nostra salute?Col casu marzu abbiamo deciso di rimanere in quell’area grigia di mezzo, in cui si possono usare allo stesso tempo le parole fuorilegge e tutelato (come Prodotto Agroalimentare Tradizionale dal Ministero delle Politiche Agricole): quella zona d’interesse in cui proibizionismo e hype non si annullano, ma anzi si fomentano l’un l’altro.
la seconda da https://mariocalabresi.com/
I miei nonni mangiavano le lumache, le rane, la cervella fritta, amavano il risotto con le creste di gallo e la finanziera, piatto della tradizione piemontese a base di fegatini e interiora. Mi sono venuti in mente in questi giorni in cui si è scatenata una polemica culturale e politica all’idea che si possano mangiare i grilli, visti come cibo barbaro e pericoloso. Eppure, non vedo così tanta differenza con rane e lumache e ricordo che proprio per i nonni erano una leccornia e quando ero bambino erano prelibatezze della domenica. Negli Anni Trenta il padre di Beppe, allora bambino, rubava i bachi e se li mangiava intinti nel miele. La madre lo sgridava perché erano preziosi e servivano per la seta. Quando ascoltava questi racconti Beppe, che aveva una decina di anni, inorridiva all’idea e faceva una smorfia.
Beppe Tresso
Cinquant’anni dopo Beppe, che di cognome fa Tresso, si sta organizzando per allevare bachi da seta per ricavarne una proteina per integratori alimentari. Perito agrario con una laurea in Economia, Tresso ha avuto molte vite nei suoi quasi sessant’anni: è stato segretario regionale del WWF in Piemonte, ha scritto il piano ambientale delle Olimpiadi invernali, ha fatto il consulente su tematiche ambientali e energie rinnovabili per enti pubblici e privati e nel 2015 è rimasto folgorato da una visione: «Guardando un video in rete ho capito che si apriva un nuovo mercato, quello dell’allevamento degli insetti per farne mangimi, mi sono messo a studiare e ho aperto la mia azienda: la BEF Biosystems. Significa “Bugs for Environment and Feed”, ovvero usare gli insetti per fare farine che alimentino gli animali».
Da allora l’azienda è cresciuta – i dipendenti sono diventati sette e i collaboratori una quindicina – senza fare rumore, oggi invece quelli come Beppe sono nell’occhio del ciclone: «Io oggi non mi occupo di cibo per alimentazione umana, ma una cosa la devo dire: è una tempesta in un bicchiere d’acqua, si fanno semplificazioni ridicole che fanno immaginare un piatto di cavallette come alternativa alla bistecca. Ci sono argomenti che meriterebbero attenzione e non slogan: la popolazione mondiale ha appena superato gli otto miliardi di persone e per ogni bambino che nasce in Occidente ce ne sono almeno tre che nascono in Paesi in via di sviluppo e non possiamo pensare che in futuro non vogliano mangiare come noi, non vogliano avere una dieta più proteica. Se alzassimo lo sguardo oltre i nostri confini ci accorgeremmo che almeno due miliardi di persone vivono in ambienti senza pregiudizio verso grilli, cavallette o insetti, non hanno problemi a mangiarli. Olandesi, francesi e tedeschi lo hanno capito e si sono lanciati nella sperimentazione, noi invece siamo qui a difendere un fortino immaginario».
Beppe Tresso però non è per nulla preoccupato dalle prese di posizione del governo e dai decreti: «Ci hanno regalato un sacco di attenzione e fatto una grande pubblicità: non passa giorno in cui non riceva telefonate da chi ne vuole sapere di più, inviti a partecipare a convegni e dibattiti e dieci curricula al giorno di laureati che vogliono lavorare con noi».
L’ impianto della BEF Biosystems dove vengono allevati gli insetti
L’azienda di Beppe ha arruolato milioni di mosche soldato con cui produce mangimi per animali: «È una scelta ecologica, sostenibile e circolare». Mentre racconta è pieno di entusiasmo e non si capacita che non sia chiara a tutti la sua rivoluzione copernicana: «Raccogliere un chilo di scarti organici significa spendere tra 30 e 50 centesimi e per fare un chilo di farina di insetti ci vogliono 16 chili di scarti organici. Ogni chilo della nostra farina evita che si debbano produrre e trattare quei rifiuti e permette di risparmiare 8 euro nelle bollette. Inoltre, si evita di alimentare gli animali con soia e grano e si riduce l’importazione di farina di pesce, che ha un impatto ambientale disastroso su ecosistemi come il Mare Artico e toglie cibo alle popolazioni delle coste occidentali dell’Africa, perché è più conveniente per i grandi pescherecci fare le farine che vendere il pesce».
Le larve utili alla produzione di mangimi per animali
Gli chiedo di raccontarmi come funziona: «Noi ritiriamo scarti di frutta e verdura, scarti di mense e ristorazione e vinacce. Li mettiamo in un silos, li sanifichiamo e poi inseriamo le piccole larve che in una settimana mangiano tutto e crescono. Qui si creano sia concime per l’agricoltura, sia larve che vengono addormentate con il freddo e poi destinate a diventare farina. Sono larve di mosca soldato, una mosca che non genera problemi all’uomo: in tre giorni si accoppia e muore e a differenza della mosca comune non scappa».
Beppe mi vede perplesso all’idea che gli animali si nutrano di larve, allora mi chiede: «Ma hai idea di come siano fatti i mangimi tradizionali? Con farina di ossa, di piume, sangue secco e scarti dei macelli…».
Cambio discorso: hai mai mangiato un grillo o una cavalletta? «Ho assaggiato diversi insetti, non mi sono piaciuti molto, solo una formica sudamericana era davvero buona. Ma la mia passione è un’altra: il vitello tonnato! Non facciamo l’errore di pensare che le cose siano in concorrenza o che si vogliano cancellare le nostre tradizioni, pensiamo invece a lasciare il pesce, la soia, il grano per l’alimentazione dell’uomo e a dare agli animali altre proteine che noi non amiamo. Conviene a tutti. Comunque io lumache e rane le mangio ancora».
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beh almeno o si è arrivati come è successo nel mio paese anni fa a denuncie e causa in tribunale . In altri casi o matrimoni forzati o abbandoni di spose o sposi sull'altare .

A sei giorni dalla data del matrimonio, Carlo e la sua promessa sposa si sono guardati in faccia e hanno capito che non era il caso. Hanno mandato tutto a monte. Carlo ha annullato quello che si poteva annullare, e per tutto il resto ha dovuto farsi carico delle spese. Ha pagato le penali per la festa, i fiori della chiesa. I regali della lista di nozze ancora non arrivati li ha bloccati, il problema erano quelli già consegnati a casa: l'ipotesi di restituire un frigorifero o un super televisore con impianto dolby surround è apparsa subito impraticabile.Da persona seria, Carlo ha deciso di rimborsare amici e parenti della spesa sostenuta. Per fare fronte alle spese, si è indebitato per decine di migliaia di euro. Non essendo riuscito ad avvertire tutti gli invitati, il giorno delle nozze è andato in chiesa per dare una spiegazione a quelli che si sono presentati lo stesso. Alcuni in realtà erano stati informati, ma non ci avevano creduto, pensavano fosse uno scherzo.Gli anni che sono seguiti - spiega oggi Carlo - sono stati felici: «Il matrimonio mancato mi è servito a lasciare la casa dei miei. La casa presa in affitto per andarci a vivere in due è diventata la mia abitazione da scapolo. In quel grande appartamento me la sono goduta, ci girava un sacco di gente, ho dato le chiavi a 14 amici diversi». Ora è felicemente sposato, e la mancata sposa di allora è rimasta una buona amica. «È amica anche della mia attuale moglie, spesso escono insieme. Quando mi guardo indietro, penso che la scelta fatta allora sia stata quella giusta».