Riccardo Preziosi
Ci sono alcuni punti fondamentali che riguardano tutti e tre i casi clinici, il primo è il rapporto con il linguaggio, nel primo caso conflittuale, deviato sulla comprensione a svantaggio della produzione, nel secondo caso, il più complesso, si assisteva alla completa rinuncia di descrivere il proprio vissuto, se stessi, a favore della descrizione eccessivamente metodica, impersonale, e priva di qualsiasi emotività della condizione familiare, dei problemi che affliggevano il padre, la madre e il fratello minore. Il terzo caso, di cui non si avevano ancora sufficienti dati in merito, presentava problematiche che coinvolgevano i due genitori, e che indirettamente influenzavano la vita del bambino (in particolare il rapporto di dipendenza del marito dalla moglie come di un bambino dalla madre), oltre a problematiche di più difficile comprensione che riguardavano il bambino stesso, sogni problematici, e questa irrequietezza e violenza, tenuta nascosta durante le prime sedute di analisi attraverso un linguaggio esageratamente "adultizzato".
La seconda questione fondamentale è il rapporto con l'altro, nel senso di come l'Io è capace di affermarsi indipendentemente dall'Altro, e quindi della sua capacità di non rimanere passivo nei confronti delle altre persone e del contesto, come un semplice vaso che deve essere riempito. Nel primo caso asistiamo, come già detto, alla completa rinuncia del marito alla comunicazione e alla delega alla moglie nel tradurre il suo dialetto meriodiale, caratterizzato da ripetitività e limitatezza, quasi fosse una semplice appendice strumentale e manipolatoria, accessoria al linguaggio del corpo che assumeva il ruolo centrale della sua comunicazione. Nel secondo caso assistiamo invece , a una particolare rinuncia alla propria descrizione. E' un sintomo particolare, e degno di interesse, che nelle primissime sedute, un paziente trascorra la maggior parte del tempo nella descrizione dell'Altro, e delle sue vicende, tralasciando la descrizione delle proprie evicende emotive, dei propri desideri e paure, o banalmente delle proprie relazioni con l'altro sesso e i propri amici. Alle prime sedute il ragazzo si presentava privo di tratti nevrotici della personalità e profondamente quiescente, come se avesse abdicato a una propria espressione od emotività.
La situazione del bambino è invece poco chiara, anche se ha in comune con il ragazzo il terzo e ultimo punto fondamentale, l'espressione della domanda, perchè sono qui? Quali motivazioni sono alla base della mia richiesta di aiuto? Entrambi i pazienti non si sono concetrati minimamente sul problema di fondo che li spingeva a continuare il proprio trattamento psicanalitico. Infatti il bambino, alla domanda, non ha dato nessun motivo particolare, il ragazzo invece, alla medesima domanda, ha espresso per la prima volta dopo alcune sedute, un pizzico di emotività, un milligrammo di rabbia. "Sono qui perchè ho paura di fare gli stessi errori dei propri genitori". E da qui che si aprono le porte della possibilità del trattamento, solo dalla presa in carico della propria emotività che si può raggiungere l'indipendenza dall'Altro a favore di un Io personale e forte.
*L'altro è qui inteso come il mondo esterno, tutto ciò che non è la persona, quindi gli oggetti, le persone e le situazioni, come effettivamente sono, e non così come sono vissute dalla persona.
Nessun commento:
Posta un commento