26.7.08

Senza titolo 711

Luoghi comuni e politica

Dei luoghi comuni, della loro formazione e del loro ruolo nel discorso, specialmente quello persuasivo o dilemmatico, ne avevo già parlato (1, 2). In estrema sintesi, per chi non volesse rileggere i link che ho proposto, i luoghi comuni sono quelle conoscenze universalmente condivise che usiamo nel discorso; il loro ruolo è particolare, perché in base alla cultura e alla sua omogeneità, possono essere presenti nella mente del parlante un luogo comune in grado di falsificarne un altro in base alla necessità discorsiva. Sinteticamente si possono considerare i luoghi comuni, come la conoscenza naif che Einstein avrebbe sul giardinaggio. Essi sono la base del relativismo culturale e al tempo stesso della produttività del discorso garantita dalla loro manipolazione e dall'assenza di staticità; Mosconi [1990] li considera magmatici, polimorfi, vaghi quanto una metafora. Una analisi dei luoghi comuni e della politica promette di restituire un ruolo centrale ai cittadini superando le svalutazione delle loro capacità critiche, operato da concetti come l'atteggiamento, opinione pubblica e rappresentazione sociale che presentano il pensiero e il discorso naif come qualcosa di necessariamente più semplice e affetto da biases, frutto di un sistema mediatico, entrato prepotentemente nella comunicazione politica che vuole il cittadino un imbuto passivo di informazioni. In questi termini il senso comune non può essere più confinato nell'ambito dei processi di base del pensiero, né considerato solo come il deposito delle idee universalmente condivise, esso infatti è caratterizzata dal "nucleo sano" del "buon senso" da intendersi non come una rassegnata accettazione di ciò che conviene o è evidente, ma come quella capacità razionale e critica indicata già da Voltaire e teorizzata da Gramsci nei Quadreni: la capacità ad esempio, di criticare le superstizioni religiose, "di non lasciarsi deviare da arzigogolature, e astruserie metafisiche, pseudo-profonde, pseudo-scientifiche ecc." La capacità, come dicevo prima, di non subire passivamente, e anzi di criticare, il flusso continuo di "informazioni" emesso dai mass media e dalla televisione in primo luogo. In questi termini, si rivaluta il senso comune nella sua natura contraddittoria, come qualcosa che non è frutto semplicemente dell'ideologia delle classi dominanti, ma è anche costruttore e protagonista della storia. E' nella politica poi, che il concetto di senso comune trova la sua migliore applicazione, perché, come abbiamo visto, esso assume un ruolo centrale nel contraddittorio fulcro nella politica, specialmente nelle sue forme democratiche, dal momento che i conflitti, le contraddizioni, e le argomentazioni centrali nel dibattito politico interessano il senso comune e si risolvono mediante esso. Spero di essere stato anche solo parzialmente esaustivo nell'introdurre il tema centrale di cui mi occuperò durante il tirocinio, tramite l'analisi mediante Textmining di una forma di comunicazione e dibattito politico sopravvissuta alla prepotenza della televisione: la radio. Questo mezzo di comunicazione affianco ad internet evidenzia come sia riduttivo, oltre che sorpassato, attribuire al tubo catodico una capacità persuasiva quasi ipnotizzante. Nonostante la sua forza, la comunicazione politica non è completamente assorbita da questa, la voglia di partecipare, di far sentire la propria voce, resiste, specialmente in questo periodo con il Grillismo che tramite Di Pietro ha trovato una possibile appendice in parlamento [ndr]. Tale voglia di partecipazione si manifesta, più che in televisione, la cui manipolazione può essere effettuata soltanto mediante la decisione di quale canale vedere, attraverso i mezzi sopra citati, i blog, le diverse modalità fornite da Internet, ma anche la tradizionale e più facilmente raggiungibile radio, innescando un flusso di comunicazione che da unidirezionale diventa bidirezionale.

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