L'UOMO PIÙ VELOCE DI ROMA
Un libro di Valerio Piccioni racconta la tragica storia di un medico, campione sportivo e simbolo littorio che decise di aderire alla Resistenza Finì torturato in via Tasso e fu ucciso alle Ardeatine.
Tutto vestito di bianco correva, volava. Undici secondi netti sui cento metri. Era il più veloce di Roma. Lo vedevano allenarsi ogni giorno sulla pista della Farnesina, scatti, allunghi, ripetute e poi ancora scatti. La
tessera del partito fascista l'aveva presa nel '21, a quattordici anni. Poi quel ragazzo diventò un uomo, poi ancora un altro uomo, alla fine un uomo morto. Tradito da una spia, un collaborazionista delle Ss. Chi gli stava accanto non lo chiamava più con il suo nome, solo con quello di battaglia: Fiamma, comandante Ruggero Fiamma.Sono quattro le lapidi che lo ricordano nella sua città. E a lui è dedicata anche una grande strada che da piazza Albania arriva in via Marmorata, al Testaccio. In pochi però conoscono la sua vita, anzi le sue tante vite.Chi era quel giovanissimo atleta che abitava a un passo dalla casa del Duce, che nel '27 ebbe l'onore di parlare davanti a Sua Eccellenza Augusto Turati - il segretario del Pnf che sostituì Farinacci dopo il delitto Matteotti - e che poi fu giustiziato il 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine?
Chi era Manlio Gelsomini, il più veloce di Roma? Indagando fra le pieghe della sua esistenza e raccogliendone ogni piccolo e grande segno, c'è chi ha scoperto quasi tutto su un italiano che ha cambiato se stesso nel cuore della guerra. Ricordo dopo ricordo, con lo sport che in ogni pagina si confonde con la storia, è nato questo libro -Manlio Gelsomini. Campione partigiano (Edizioni Gruppo Abele, pagg. 174, euro 14,00) - firmato da Valerio Piccioni, tanti Giri d'Italia e tanti Tour de France seguiti per La Gazzetta dello Sporte un'ultima passione che l'ha portato a ricostruire «il percorso personale e politico di un giovane che, come altri della sua generazione, le circostanze e gli ideali trasformarono suo malgrado in un eroe».Dai trionfi con la maglia della Nazionale a Basilea del 1930 a una laurea in medicina, dal palcoscenico degli stadi all'arruolamento come capitano nel 79° Battaglione Camicie nere. Sembrava tutta dritta la strada di Manlio Gelsomini. Fino a quando, un giorno, qualcuno lo sospese «precauzionalmente dal grado». Non ci fu nulla di inatteso. Prima Gelsomini aveva prestato la sua opera di medico al Policlinico Umberto I, poi in un ambulatorio in piazza dell'Immacolata, a San Lorenzo. Come assistente tirocinante aveva Giorgio Piperno, un ebreo in quell'Italia dove Mussolini aveva appena fatto pubblicare «Il Manifesto della Razza».
335 civili e militari italiani massacrati. Fra loro anche il più veloce di Roma. Solo alla fine della guerra una sua foto comparirà ancora una volta su un giornale per rendergli onore. Lui sui blocchi, in posizione di partenza allo stadio dei Marmi.
Articolo di Attilio Bolzoni su Repubblica | 31 gennaio 2014
proprio come il film http://it.wikipedia.org/wiki/Le_vite_degli_altri
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