17.10.24

pagliacciata italo - albanese ., Striscione per Gaza, annullata la multa all'apicoltore di Desio I carabinieri di Monza hanno annullato in autotutela la sanzione., una destra sempre più estrema e oscurantista ha votato un vero e proprio abominio politico e giuridico.,

      iniziamo con   una  risata 



Ieri  su #Blob BLOB Simona Buonaiuto #giorgiaisland vignetta animata del 9 novembre 2023 per #IlCavalloelaTorre Rai3  

Avete presente il tanto sbandierato “modello Albania”? Quello che “l’Europa ci invidia” e che dovrebbe risolvere una volta per tutte la temutissima invasione di migranti?  Bene. avant'ieri   sono stati traghettati in fretta e furia la bellezza di 16 migranti, il cui sbarco show è stato salutato dal ministro Piantedosi e dai trombettieri di governo come il grande successo di Meloni e Salvini.
Poi si scopre che non sono in realtà neanche 16 perché due di questi devono essere riportati immediatamente in Italia in quanto minori, in violazione di qualunque accordo e norma.
Ma non finisce qui perché è appena venuto fuori che altri due sono soggetti estremamente vulnerabili e, pertanto, non possono essere trattenuti nel centro.  In pratica  dei 16 migranti ne sono rimasti 12. DODICI  ed  a Lampedusa  ne  sono sbarcati altri  . 
Abbiamo speso quasi un miliardo di euro  ( con queli soldi avremo potuto  fare  una cosa  simile  in  italia     dando  anche  occassioni di lavoro   )   e ci siamo venduti la faccia e la dignità per dodici, pericolosissimi, migranti. Per ora. Eccolo, il “modello Albania”. Spiegato bene.
Non è un governo. È una barzelletta. Solo che sulla pelle delle persone e coi soldi d noi   contribuenti non fa per niente ridere o fa  ridere  per  non piangere  .  Infatti   ha ragione  la mia amica   
Grande successo delle politiche anti immigrazione del governo Meloni. Creano una struttura di accoglienza (una galera) in Albania, imbarcano ben 16 immigrati in un traghetto noleggiato per l'occasione, li trasportano con la vigilanza delle forze dell'ordine (trasferta, straordinario, meno uomini nei servizi in Italia).
Arrivati nel lato opposto dell'Adriatico si accorgono che 2 dei migranti sono minorenni e scoprono che trattenerli in Albania costituirebbe un'infrazione del diritto internazionale. Allora li imbarcano di nuovo per riportarli in Italia.
Tutti questi viaggi surreali per spostare 14 persone, dico quattordici!, costano decine di migliaia di euro ai contribuenti italiani. Per non parlare dei milioni di euro per costruire la struttura ospitante (che è di detenzione non di prima accoglienza!). La cosa ancora più incredibile è che poi dovranno tutti tornare in Italia, per avere asilo o essere rimpatriati. Non è solo una gigantesca violazione dei diritti dei richiedenti asilo, è un gigantesco sperpero di denaro pubblico e una gigantesca presa in giro. Nel frattempo, mentre la pagliacciata era in corso, sbarcavano in Italia altri 1000 migranti.

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 Ora    , prima  della  pillola  amara     una bella notizia che mi ha fatto tornare alla mente l'episodio : “Mr. Lisa Goes to Washington” della terza stagione de I Simpson.  Si   risolta  in  un  ritiro   della  milta    all'Apicoltore di desio  per  lo striscione    contro il genocidio a  Gaza   ne  avevamo parlato nel  post precedente


Striscione per Gaza, annullata la multa all'apicoltore di Desio I carabinieri di Monza hanno annullato in autotutela la sanzione








È stata annullata la multa da 430 euro all’apicoltore di Desio Marco Borella ( ne avevo parlato qui ) , la cui “colpa” è stata quella di aver esposto nel suo banchetto del miele un cartello per chiedere lo stop al bombardamento di Gaza.  qui : <<    Striscione 'Stop bombe su Gaza', annullata la multa all'apicoltore di Desio >>  su   adnkronos.com le  motivazioni  

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  Adesso la pillola   amara  

Oggi in Senato una destra sempre più estrema e oscurantista ha votato un vero e proprio abominio politico e giuridico.



Con 84 voti a favore hanno di fatto criminalizzato la maternità surrogata, votando in modo definitivo il provvedimento di Fratelli d’Italia (chi se no?) che la trasforma in reato universale.
Cosa significa?
Che non solo è reato in Italia (dal 2004), ma che chiunque ne farà ricorso all’estero sarà punito anche in Italia, con pene fino a 2 anni.
Siamo di fronte a una norma puramente ideologica e demagogica oltre che ipocrita che, con l'intenzione di combattere lo sfruttamento delle donne, in realtà non farà altro che alimentare la clandestinità e, insieme rischi e dunque sfruttamento, quello vero.“Vogliono introdurre un reato che, nella pratica, crea ingiustizia e discriminazione nei confronti delle famiglie che si recano, la maggior parte in Paesi dove la gravidanza per altri (GPA) è legale e regolamentata, in cui la donna gestante offre volontariamente la sua disponibilità alla gravidanza. Queste famiglie vengono perseguitate da un governo che afferma ‘prima i bambini’ ma poi li priva delle loro famiglie, costringendoci a difenderle nei tribunali. Un divieto che , da quel poco che ho capito a da profano   in giurisprudenza   e dal dialogo con amici avvocati e magistrati , incostituzionale , in quanto manca il principio base del diritto penale: un reato è perseguibile solo se commesso in un Paese dove è considerato tale. Sono anch'io contrario agli abusi e alla schiavitù, alla violazione dei diritti umani, ma favorevole alla libertà di scelta : credo che di dovrebbe facilitare e migliorare le possibilità di adozione estendendola anche alle copie LGBTQ e ai single perchè se non si può aver figli naturali, occorre promuovere l'accoglienza di "figli" già nati.
Purtroppo bisogna considerare il fatto che le coppie desiderano avere un bambino neonato che cresce con loro, pochi accettano una creatura già cresciuta. i divieti non risolvono il problema soprattutto quando sono mal emendato come nel caso dell'italia che confonde la maternità surrogata (il cosidetto   utero in affitto ) con fecondazione eterologa*(   sotto   dei  link  d'approfondimento  )   Infattti : << Infatti il legislatore abbia perso un’importante occasione per operare una netta distinzione nell’ambito della maternità surrogata, giacché la legge 19 febbraio 2004 n. 40, ed esattamente all’art.12, comma 6, punisce in qualsiasi forma la surrogazione di maternità, con la reclusione da tre mesi a tre anni e la multa da ben 600 mila sino addirittura ad 1 milione di euro. [...] il legislatore si sarebbe dovuto porre un previo problema relativo alla distinzione tra la maternità surrogata a scopo solidaristico e quella, viceversa, frutto di commercializzazione. Se, infatti, il diritto penale dovrebbe “essere costituzionalmente orientato”, tale opzione appare imprescindibile, come, d’altro canto, nel lontano 1967, avvenne con il riconoscimento della liceità del trapianto di rene tra vivi, con la legge del 26 giugno n. 458, che costituì un’espressa eccezione all’art. 5 c.c., che invece vieta gli atti di disposizione del proprio corpo “quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”.Orbene, appare evidente come l’esempio da ultimo riportato si fondi sul principio solidaristico, rilevante ex art. 2 Cost., che infatti fa riferimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Si potrebbe, tuttavia, anche con riguardo alla maternità surrogata per scopi solidaristici, ritenere che il riferimento al principio solidaristico come “dovere” abbia un’impronta troppo cogente, per cui potrebbe apparire preferibile fare riferimento ad una libertà di scelta in senso solidale, con evidente riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo, sempre ex art. 2 Cost.Ad ogni buon conto e venendo ora alla maternità surrogata, se si comprende e si giustifica la ragione di punire la commercializzazione dell’utero in affitto, proprio allo scopo di tutelare i soggetti economicamente più deboli, tale giustificazione è invece del tutto assente nel caso di maternità surrogata a scopi solidaristici. Se, infatti, una donna che non può portare a termine una gravidanza chiede alla sorella, o alla cugina, oppure ad una cara amica, di portare in grembo il nascituro e quest’ultima accetta per il legame affettivo di carattere parentale, o anche soltanto amicale, non si vede la ragione di punire anche tale forma di surrogazione di maternità, che non lede per nulla la dignità della donna, che, invece, è profondamente lesa nel caso della commercializzazione dell’utero in affitto. [...] >> da : << Gestazione per altri, il reato universale è un’idea da Stato etico >> unita.it 
   Quinidi   la perseguibilità creerà solo ingiustizie, con persone costrette a difendersi legalmente” o peggio a farlo clandestinamente.
Una oscenità legislativa che equipara la nascita di un bambino a reati come tortura e pedofilia e il cui unico scopo è quello , secondo molti , di bastonare simbolicamente la comunità Lgbtqi+ e le famiglie
arcobaleno, per altro il tipo di famiglia che meno fa ricorso alla maternità surrogata.
Non vedo l’ora di vedere cosa dirà Giorgia all’amico del cuore Elon Musk la prossima volta che lo accoglierà ad Atreju. Na Già lo immagino . Concludo  con una battuta  “se questa legge fosse stata in vigore quando Michael Jackson era vivo, il presidente Meloni avrebbe fatto arrestare anche il suo idolo, poiché Jackson ha avuto suo figlio Blanket tramite madre surrogata



16.10.24

Volete sapere cos’è uno Stato di polizia? Un apicoltore di nome Marco Borella al suo banchetto del miele al mercato di Desio espone questo semplice cartello che recita: “Stop bombing Gaza - stop genocide

Cinque semplici parole di pace. Sapete com’è finita?



Che due carabinieri si sono avvicinati e gli hanno imposto di rimuovere lo striscione. L’apicoltore ha (giustamente) rifiutato, e la risposta sapete qual è stata: gli hanno affibbiato 430 euro di multa, nientemeno, per “propaganda politica non autorizzata”. Accade in un Paese democratico. Accade in spregio della Costituzione, dell’articolo 21, di ogni forma di libertà, pensiero ed espressione. Accade come se nulla fosse, come se fosse normale. Questa non è politica. Si chiama umanità. E benissimo ha fatto Borella ad opporsi. Ci sono gesti di resistenza civile che valgono mille volte più di qualunque sanzione, che spero sarà tolta per sollevazione politica - quella sì - e popolare. Massima solidarietà all’apicoltore in questa notte della ragione.

15.10.24

DIARIO DI BORDO N 82 ANNO II Dalla parte dei disperati: don Mattia “salvato dai migranti”., Mi sono laureata in ospedale mentre assistevo mia figlia"., fratelli siamesi salvi dopo un anno in ospedale: la storia a lieto fine di Amari e Javar ., Da Afghanistan e Irak ai 3mila delle Dolomiti".,

Bologna, 13 ottobre 2024 – Squilla il telefono, è una videochiamata su Whatsapp. L’utenza è quella di uno delle centinaia di uomini e donne incontrati sui barconi in balia delle onde. Don Mattia Ferrari, 31 anni, originario di Formigine nel Modenese, sacerdote da cinque anni sulla nave Mediterranea Saving Humans come
cappellano, è un po’ titubante ma risponde. Sullo schermo appare Sami, un giovane migrante che lui non conosce. Lo hanno riportato in Libia dopo un respingimento. È stato torturato a lungo e poi abbandonato nel deserto. Inutile attivarsi, si affretta a dire il suo contatto, Sami sta morendo, e infatti la chiamata è spirituale. Don Mattia trova le parole giuste, lo benedice, ne sente il fiato debole, vede un abbozzo di sorriso. Morirà poco dopo. A quel punto del libro (Salvato dai migranti, edizioni Edb) ci si ferma necessariamente a pensare, atei o cattolici che siamo, a cosa possa voler dire ricevere sul telefono, in ogni momento, il dolore altrui.
Eppure nelle 276 pagine agili di questo libro – è un tascabile – ogni cosa è raccontata con l’energia di un trentunenne che nella vita fa ciò che gli piace, per cui si sente vocato, è il caso di dirlo. “Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare persone meravigliose”, scrive don Mattia. E queste persone sono disperati che ributtiamo in mare, che mettiamo ai margini delle nostre città, che lasciamo indietro. Ma sono anche centri sociali che accolgono chi non ha spazio, case occupate che diventano ancore di salvezza, vescovi e un papa (che scrive la prefazione del libro) al suo fianco contro i benpensanti e in certi casi la magistratura. Non è retorica la sua, lo si intuisce. Don Mattia è davvero cresciuto grazie a queste situazioni al limite, creando ponti in quei punti del percorso in cui nessuno si sarebbe sognato neppure di passare. Il suo libro, nella sua semplicità, è una finestra spalancata al sole. 

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"Mi sono laureata in ospedale mentre assistevo mia figlia"


©Avvenire


Sull’Appennino Tosco-Emiliano - fra boschi, sentieri e antiche strade romane - si snoda un percorso di trekking dal suggestivo nome di “Via degli Dei”. Ad affrontarlo, sono in tanti. Fra loro, in questi giorni, vi è anche un nutrito gruppo di “camminatori” che da Bologna a Firenze stanno condividendo un viaggio davvero speciale. Lo zaino che portano sulle spalle è la metafora di un peso ben più faticoso da sostenere: quello delle paure e delle difficoltà che gravano su un genitore che deve fronteggiare la malattia di un figlio. È anche l’immagine, però, del bagaglio di esperienza, passione ed energia della Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald, che quest’anno festeggia 25 anni di attività in Italia.
Nata negli Stati Uniti nel 1974, la Fondazione offre accoglienza e supporto alle famiglie che attraversano un percorso difficile e delicato com’è quello della cura di un bambino in un ospedale lontano da casa. In Italia, dal 1999, nelle Family Room (situate all’interno dei principali ospedali italiani) e nelle Case Ronald (posizionate nelle loro vicinanze), sono stati accolti più di 54mila bambini insieme ai loro genitori. E a tutti loro è stata data la possibilità di rimanere uniti e di sentirsi “a casa” anche quando casa è lontana, circondati dall’affetto e dalla disponibilità di operatori e volontari. Per affrontare insieme - proprio come sta accadendo lungo la “Via degli Dei”, in un cammino che unisce la Casa Ronald di Bologna a quella di Firenze - un percorso faticoso e impervio, ma mai solitario.
Un percorso dove la famiglia è sempre al centro e lungo il quale si condividono timori e speranze, lacrime e sorrisi, incombenze quotidiane ed eventi straordinari. Com’è successo a Giusy, la mamma di Aurora, che a Firenze, a Casa Ronald, ha finito per discutere anche la sua tesi di laurea…“Aurora stava male da tempo. Aveva spesso febbre e raffreddore e la notte faticava a dormire, perché non respirava bene. E poi c’erano le otiti, sempre più frequenti. La situazione era complicata e si era reso necessario un intervento, per togliere tonsille e adenoidi. Purtroppo, dove abitiamo (Giusy vive in Sicilia, n.d.r.), i tempi d’attesa erano lunghi. Non potevamo aspettare troppo, però, perché un timpano era già compromesso e non dovevamo correre il rischio che i polmoni o i bronchi entrassero in sofferenza”.
Giusy, allora, contatta un medico dell’ospedale Meyer di Firenze che, dopo aver visitato Aurora, fissa la data dell’intervento. “Non conoscevo Casa Ronald ma quando me ne hanno parlato in reparto, ho avuto subito una sensazione positiva. E per fortuna ho trovato accoglienza lì, perché le cose, nel frattempo, si erano complicate”. Poco prima di partire per la Toscana, infatti, Aurora ha un incidente con la bicicletta. “La ferita al piede si faceva ogni giorno più brutta e non riusciva quasi più a camminare. Sono arrivata a Casa Ronald tenendola in braccio. Dopo pochi minuti, però, mi avevano già trovato un passeggino… Poi, ci hanno mostrato la nostra camera. E ci siamo sentite “a casa”. Non avevamo la nostra famiglia accanto a noi - mio marito era rimasto in Sicilia, con Luigi, il nostro bimbo più piccolo - ma ci siamo subito rese conto che c’erano molte persone che ci avrebbero sostenute e confortate. La cosa che più mi ha colpito è stato l’affetto che ho letto negli occhi di operatori e volontari: ti accolgono con un sorriso, ti dedicano tempo e attenzione. E li senti subito amici, “famiglia”. Ero preoccupata per l’intervento di Aurora e mi mancava tantissimo Luigi.
Se mi fossi ritrovata sola, in una camera d’albergo, sarebbe stato tutto più difficile da affrontare, sia da un punto di vista pratico che, soprattutto, emotivo. La solitudine fa sempre male – prosegue Giusy - e lo fa ancor di più quando sei in un momento di fragilità. Casa Ronald, però, è un’oasi felice dove la solitudine non esiste. Se hai bisogno di conforto, c’è sempre qualcuno con cui fare due chiacchiere, a cui confidare i tuoi timori, con cui condividere le tue speranze, con cui sorridere anche, per stemperare le tensioni. Ognuno racconta un po’ di sé e insieme si trova la forza per andare avanti. Nei giorni successivi all’operazione, Aurora è stata davvero male. Era debole, non riusciva a mangiare, faticava a bere e a parlare. Ero molto spaventata e stavo sempre accanto a lei. C’era chi si prendeva cura di me, però, mi sosteneva e mi dava piccoli ma preziosi consigli”.
Pian piano, Aurora riprende le forze, ma ancora non può lasciare Firenze, perché la lesione al piede, che si è rivelata peggiore del previsto, ha bisogno di cure.
“Lei era felicissima di rimanere a Casa Ronald, però. Aveva fatto delle amicizie e i volontari le proponevano ogni giorno qualche cosa di nuovo. I clown, le treccine colorate, la gita in città, la visita in una fattoria didattica…”. Per Giusy, intanto, c’è un appuntamento importante che si avvicina: la discussione della sua tesi di laurea magistrale. E la conferma della data arriva quando lei è ancora a Firenze. “Di nuovo, in mio aiuto, sono arrivati i volontari. Si sono occupati di Aurora mentre io discutevo online la mia tesi. E poi, mi hanno organizzato una bellissima festa, con tanto di torta e corona d’alloro. Mi sono stati tutti vicini in un modo che mai avrei potuto immaginare. Dopo un mese dal nostro arrivo, quando è stato il momento di partire, Aurora era davvero triste. E un po’ lo ero anch’io, lo confesso. Casa Ronald è stata fondamentale per dare coraggio a mia figlia e farle affrontare tutto nel modo migliore. Fra le sue pareti si è sentita serena, al sicuro. È un luogo felice, che resterà per sempre nel suo cuore”.
E anche nel cuore di Elisabetta Casa Ronald avrà per sempre un posto speciale, perché è nella Family Room dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna che Giovanni e Michele, i suoi due gemelli, nati lo scorso agosto, hanno “annunciato” il loro arrivo. “Durante la gravidanza, abbiamo scoperto che i bambini, per una sindrome molto rara, erano in pericolo di vita, perché in un sacco amniotico c’era troppo liquido e nell’altro troppo poco. Ci siamo rivolti al Sant’Orsola, dove ci hanno spiegato che per interrompere il malfunzionamento dei vasi della placenta sarebbe stato necessario un intervento molto delicato. Sono stata operata alla Clinica Mangiagalli di Milano e, per fortuna, tutto è andato bene. Salvo la rottura della membrana che separava i due sacchi amniotici. I bambini si sono così trovati a dover “condividere” un unico sacco. Questo ha messo a rischio il normale decorso della gravidanza e ha richiesto dei controlli ecografici sempre più frequenti. Dapprima una volta a settimana, poi una volta al giorno e a quel punto si è reso necessario il ricovero a Bologna.
Io mi sentivo bene, però, e l’idea di entrare in ospedale mi metteva un po’ in ansia. È stato allora che il primario del reparto di ginecologia mi ha parlato di Casa Ronald. La Family Room – prosegue Elisabetta - mi ha fatto subito sentire a mio agio, soprattutto perché Marco, mio marito, ha sempre potuto rimanere accanto a me. La mattina scendevamo in ospedale per le visite e gli esami. Poi, tornavamo “a casa”, dove potevamo prepararci il pranzo, rilassarci, chiacchierare con altri genitori. E quando Caterina, l’altra nostra bimba, veniva a trovarci con i nonni, stavamo con lei in uno spazio accogliente, dedicato al gioco. Intimità, familiarità, sostegno, solidarietà, amicizia: la bellezza di Casa Ronald, per me, è racchiusa in tutte queste parole. È un luogo dove si affrontano insieme i momenti belli e quelli brutti, dove ci si fa compagnia e ci si sostiene, dove si piange e si ride, dove c’è sofferenza e allegria. E dove non si è mai, mai soli”.
Per Elisabetta e Marco i giorni si susseguono nella routine dell’attesa. Fino a che una sera, un po’ in anticipo sui tempi previsti, Giovanni e Michele “decidono” che è arrivato il momento di nascere. “La casa era tranquilla e silenziosa. Eravamo in camera e ci stavamo preparando per andare a dormire. E all’improvviso, mi si sono rotte le acque. Siamo scesi al Pronto Soccorso con un po’ di agitazione, perché mancavano ancora una decina di giorni alla data in cui era stato programmato il cesareo. Ad accogliermi, però, c’era una ginecologa che conoscevo e che mi ha subito tranquillizzato. E la mattina dopo, Casa Ronald si è svegliata con una bella sorpresa… Elisa, la House Manager, è venuta a trovarmi in reparto, con dei regalini per i bimbi, e ha continuato a prendersi cura di noi. Nemmeno per un attimo ci siamo sentiti soli. È una cosa che mi ha colpito molto e che porterò sempre nei miei ricordi: mai avrei immaginato di poter sentire intorno a me così tanta vicinanza, tanto affetto, tanto amore. I bambini sono stati per un po’ nel reparto di neonatologia e per noi restare a Casa Ronald è stato importante, perché ci ha permesso di essere sempre vicini ai nostri figli senza che io fossi costretta ad affrontare ogni giorno un viaggio che, nelle mie condizioni, sarebbe stato faticoso. Ora siamo tornati a casa e Giovanni e Michele crescono e stanno bene. Torniamo in ospedale per i controlli di routine. E ogni volta, passiamo a fare un saluto in Family Room. Per noi sarà sempre un posto speciale, perché è lì che, simbolicamente, abbiamo appeso il primo fiocco per annunciare la nascita dei nostri bimbi”.


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Fratelli siamesi salvi dopo un anno in ospedale: la storia a lieto fine di Amari e Javar

                                              Amari e Javar© Internet (altro)

Dopo oltre un anno trascorso in ospedale, i fratelli siamesi Amari e Javar sono finalmente tornati a casa. La storia di questi due gemelli è iniziata con una scoperta choc: durante la dodicesima settimana di gravidanza, i genitori hanno scoperto che avrebbero avuto due figli siamesi. Fino a quel momento, la madre, Shaneka Ruffin, pensava di essere incinta di un solo bambino.
La decisione di non interrompere la gravidanza
Dopo la diagnosi, i medici avevano consigliato alla coppia di interrompere la gravidanza. Tuttavia, Shaneka e il marito Tim, insieme da sei anni e già genitori di due figli, hanno deciso di ascoltare un secondo parere medico. Hanno scelto di portare avanti la gravidanza e dare alla luce i due gemelli. Questa decisione coraggiosa li ha portati a Philadelphia, dove sono stati seguiti da uno degli ospedali pediatrico più specializzati degli Stati Uniti, uno dei pochi centri che eseguono interventi di separazione dei gemelli siamesi.
Il ritorno a casa dopo un lungo calvario
Dopo un lungo percorso fatto di cure, interventi e tanta speranza, i fratelli siamesi sono tornati finalmente nella loro casa, accolti con grande emozione dai loro genitori. «Non ci possiamo credere», ha dichiarato Shaneka, la madre, raccontando a People quanto sia stato emozionante vedere finalmente i suoi figli a casa. Anche il padre, Tim, ha espresso il suo sollievo: «Il viaggio è stato lungo, ma ora mi sento sollevato», ha dichiarato.

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"Da Afghanistan e Irak ai 3mila delle Dolomiti"

Quella di Luca Fois, sottufficiale delle Forze speciali, è una storia che inizia con un inganno. Vuole fare il militare, ma non ha le carte in regola e così, durante le visite mediche, decide di mentire: «Ero l'anti soldato per eccellenza, non sapevo fare niente, pesavo 68 chili e mi mancavano cinque diottrie. Per entrare nell'Esercito ho dovuto mentire, ma solo perché ci tenevo davvero a indossare la divisa. E così ho piegato le ginocchia e, subito dopo la missione in Libano, ho fatto il laser. Ero un nerd, assolutamente non idoneo, però ci tenevo».

Inizia così un percorso che lo porta prima al 186esimo Reggimento Folgore («avevo amici paracadutisti che mi raccontavano storie incredibili e che erano stati in giro per il mondo»), poi con il 185esimo Rao e, infine, con il Nono Col Moschin che diventa la sua seconda famiglia. «Il training da operatore era propedeutico a quello che avresti potuto affrontare: quando ho sostenuto il corso si usava ancora sangue vero, si somministravano piccole inoculazioni di stress fino a far diventare i soldati resistenti al trauma».Il Nono gli dà tutto e Fois prende tutto: «Ho imparato a studiare nelle forze speciali e parlo sia della tecnica di studio sia dell'organizzazione. Si generava un meccanismo per cui chi era più bravo in una materia, diventava il supporto per gli altri. Si riproponeva lo stesso modus operandi anche all'interno dei distaccamenti: chi era responsabile di una branca, diventava esperto e a prescindere dal grado aiutava gli altri. Le forze speciali premiano le capacità del singolo rispetto al grado».Ci sono le missioni all'estero, in Afghanistan, contro i talebani e in Iraq. E altre, la gran parte, delle quali non può parlare. Nemmeno insistendo c'è nulla da fare. La risposta è sempre la stessa: «Legge 198/2015, segreto di Stato». Perché la vita degli incursori è soprattutto nascosta, non solo quando sono in teatro, ma anche in Patria. E, quando si ha famiglia, non sempre è facile conciliarla col lavoro. Fois diventa papà e, complici le lesioni provocate durante il servizio, lascia il Nono e va a vivere ad Agrate Brianza. Non è più un soldato. Ora è un semplice civile. Reinventarsi non è facile. Proprio per questo motivo, qualche anno prima, Luca aveva fondato con alcuni commilitoni un'associazione - Non dolet - per aiutare i veterani. La «transizione», come viene chiamata in gergo, lo porta al suo grande amore (oltre alla moglie): la montagna. «Ho chiamato un mio collega dicendogli che volevo fare un record, scalare tutti i 4mila delle Alpi, ma era già stato fatto. Non c'è un record delle Dolomiti sopra i 3mila, mi dice un altro amico. Che prosegue: Le cime sarebbero 120, anche se sono state ridotte a 86». Nasce così l'idea di realizzare un record che fosse però anche al servizio della comunità: «Quelli delle Dolomiti non sono percorsi difficili per ragioni di quota, ma perché si stanno ritirando i ghiacciai. Molte vie sono pericolose perché la roccia è marcia e quindi ho pensato, visto che non ci sono dati aggiornati, di raccoglierli io». E così Fois, oltre ai primi sponsor, ottiene anche l'appoggio dell'Associazione nazionale Alpini e insieme a due amici e veterani, Michael Turconi ed Emanuele Chessa, scalerà le 86 cime. «Ora mi sto allenando e l'obiettivo è realizzare il record nel 2025. Raccoglieremo dati, tracciature gp e faremo fotografie. Poi se il Guiness riconoscerà quello che faremo sarà un onore per me, in caso contrario produrrò comunque un buon report aggiornato. E utile per la comunità»

manuale di autodifesa di antonio bianco\ settimanale giallo IV puntata nel supermercato , in ufficio , a casa fatevi rispettare



non sono riuscito a  trovare    il n  i giallo  in questione del settimanale  giallo , in versione   digitale  ,  quindi  , ho   scanerizzato  la  pagina    da  un  amico   .   Spero    vada  bene   

Certo farsi risettare è importante come dice anche la puntata odierna di questa rubrica . Ma accorre anche come dice la Dottoressa Samanta Travini, psicologa: in : << Il decalogo di Ohga: rispetta te stesso per farti rispettare dagli altri >> articolo del portale www.Ohga.it >>  "Non è possibile farsi rispettare dagli altri se non abbiamo prima un’idea chiara di cosa sia il rispetto. È più facile comprendere il significato di questo valore se riportiamo alla nostra coscienza ricordi, a mo’ di esempi, in cui esso appare. In questo senso, rispettiamo qualcuno quando lo riconosciamo come un nostro pari e lo accettiamo così com’è. Ciò significa che ogni comportamento volto a sminuire un’altra persona è una mancanza di rispetto. Come lo è qualsiasi azione intrapresa a respingere, negare o annullare quello che pensa o prova. È possibile non condividere o non essere d’accordo, ma ciò non dà il diritto di cercare di svalutarlo o cambiarlo. Non è però possibile farsi rispettare dagli altri se non ci rispettiamo noi per primi. Questo significa che bisogna percepire se stessi come uguali agli altri in termini di valore. In altre parole, non bisogna sentirsi né più né meno di chiunque altro. E inoltre, ovviamente, accettarsi. Sentire di valere come si è e per quello che si è.
Chi rispetta sé stesso ha tre qualità: autostima, assertività e autenticità. L’autostima, se vogliamo definirla in modo semplice, è avere una buona opinione di sé. Provare simpatia per quello che pensiamo, che diciamo e facciamo, senza che questo significhi che pensiamo di essere migliori degli altri. Siamo speciali come solo noi siamo e alla pari di qualsiasi altro essere umano.
L’assertività, dal canto suo, ha a che fare con l’essere in grado di difendere i propri diritti e di esprimere le proprie opinioni. È particolarmente importante quando siamo circondati da un contesto poco favorevole, nel quale pensiamo il contrario di ciò che pensa la maggior parte della gente o le figure autoritarie. D’altra parte, questo attributo è figlio diretto dell’autostima e una condizione necessaria per farsi rispettare dagli altri.
L’autenticità si riferisce al mantenimento della nostra essenza, dei nostri valori e delle nostre convinzioni, anche se egoisticamente non è la cosa migliore per noi in una determinata situazione. Questo significa esprimere ciò che si pensa e ciò che si sente in ogni contesto. Non simulare o essere falsi per provocare una determinata impressione. Agire spontaneamente. Pensate che si può essere autentici solo se si è consapevoli del proprio valore come persone".

14.10.24

MUSICA FRA LE STELLE L’astronauta Sarah Gillis è diventata la prima persona a suonare il violino nello spazio

 
La musica di Star Wars nell'orbita terrestre a bordo della navetta Crew Dragon protagonista della missione Polaris Dawn. A suonarla al violino è Sarah Gillis, protagonista con Jared Isaacman della prima passeggiata spaziale di privati.


Il silenzio dello spazio è rotto da una nota musicale, un suono inaspettato in un ambiente così ostile.

Tra le stelle e le infinite distese del cosmo, un gesto artistico inedito si compie per la prima volta : il suono di un violino risuona oltre l’atmosfera terrestre. 
A rendere questo evento ancora più straordinario è il fatto che l’artefice di questa magia musicale sia un’astronauta, una scienziata che ha saputo fondere la passione per la musica con la sua ambizione di esplorare lo spazio.
L’immagine di un violino che fluttua in assenza di gravità sembra quasi uscita da un racconto di fantascienza, ma la realtà è spesso più affascinante della finzione. In un’epoca in cui l’uomo si spinge sempre più lontano dal nostro pianeta, la fusione tra scienza e arte diventa simbolo di ciò che l’umanità può realizzare. 

 
Suonare uno strumento nello spazio rappresenta non solo una sfida tecnica, ma anche un atto di pura creatività.Dietro questo incredibile evento, però, non c’è solo la voglia di sorprendere. L’astronauta che ha compiuto questo gesto ha una storia personale che riflette dedizione e passione. Fin da giovane, ha coltivato la musica, imparando a suonare il violino con disciplina e rigore. Questi valori l’hanno accompagnata anche nelle sue sfide professionali, preparandola per imprese che pochi possono anche solo immaginare.Il violino, strumento che tradizionalmente risuona nelle sale da concerto, ha trovato in questo caso un palcoscenico molto più
vasto: lo spazio. E con esso, un messaggio di
 speranza e di resilienza ha viaggiato tra le stelle, toccando non solo chi ha avuto il privilegio di assistere all’evento, ma ispirando anche migliaia di giovani sulla Terra.
"Mentre viaggiamo intorno al nostro bellissimo pianeta in questa missione di cinque giorni, vogliamo condividere questo momento speciale", ha detto Gills, violinista di professione, presentando sulla piattaforma X il video nel quale suona, intitolato 'Harmony of Resilience'. In un concerto fra Terra e spazio, alla violinista si sono uniti gli strumenti di orchestre di Stati Uniti, Venezuela, Haiti, Svezia, Uganda e Brasile. "Riunendo talenti di tutto il mondo, questa performance simboleggia l'unità e la speranza, evidenziando la resilienza e il potenziale dei bambini di tutto il mondo", dice Gillis. La canzone è 'la colonna sonora del film 'Star Wars: Il risveglio della Forza', scritta da John Williams. "Ispirato dal linguaggio universale della musica e dalla lotta senza quartiere contro i tumori e le malattie infantili, questo momento è stato creato con la speranza di ispirare la prossima generazione a guardare verso le stelle", scrive il Programma Polaris sul suo sito web. Il video è nato in collaborazione con il St. Jude Children's Research Hospital, per il quale il Programma Polaris sta raccogliendo fondi durante la missione, e con El Sistema Usa, il programma che intende a promuovere l'educazione musicale "per un impatto positivo sulla società".

13.10.24

«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere corriere della calabria 11\10\2024 di emiliano morrone

 Buongiorno per tutto il giorno. Oggi su LA LENTE parliamo di giovani rientrati in Calabria dal Centro-Nord, di restanza, di promozione del patrimonio di natura e cultura della regione. Lo facciamo raccontando una bella iniziativa promossa a San Giovanni in Fiore dal gruppo "I spontanei". E chiediamo alla politica di ascoltare le istanze dei ragazzi che lavorano per mostrare una Calabria diversa. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.
Emiliano Morrone 



«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere

Una serata organizzata da “I spontanei” a San Giovanni in Fiore ricca di spunti di riflessioni e belle storie di Calabria

 Pubblicato il: 11/10/2024 – 6:38

         di Emiliano Morrone
«Mamma Calabria» è il titolo di un libro di Alessandro Frontera e Danilo Verta appena discusso in profondità nella biblioteca comunale di San Giovanni in Fiore, soprattutto grazie alle domande stimolanti della giornalista Maria Teresa Cortese. Già residente a Milano, Alessandro, l’autore del testo, è una guida ambientale escursionistica, un influencer rientrato in Calabria per promuovere natura, cultura e tradizioni della regione: dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino alla Sila, dalle Serre vibonesi all’Aspromonte.

L’appuntamento è stato promosso dall’associazione “I spontanei”che da qualche anno propone incontri e dibattiti sull’esigenza di ridurre l’emigrazione giovanile, di creare impresa, lavoro e progresso partendo dai punti di forza e debolezza dell’area silana: suggestiva ma in parte isolata e sconnessa, bucolica ma ancora periferica, ispiratrice di slanci creativi ma in un contesto socioculturale alquanto condizionato da invidia, rassegnazione, attendismo, doppiezze, mancanza di coraggio.
La Sila ha una storia di peso – dalle utopie di Gioacchino da Fiore alla Riforma agraria del ’47, dalla vecchia emigrazione operaia a quella intellettuale del presente –, oggi più che mai minata dal capitalismo dell’era digitale, che cancella le identità locali, uniforma storie, usanze e posizioni, struttura e impone il mercato assoluto delle merci.
«Mamma Calabria» è anche il motivo comune degli interventi di quattro giovani che, durante la presentazione del volume di Frontera, hanno raccontato le loro storie di restanza oppure di rientro dal Centro-Nord nel periodo drammatico della pandemia. La mamma è per statuto naturale riferimento e rifugio, richiamo e modello; è la figura che, anche nella dimensione simbolica, alimenta, cura, compatisce; è il genitore che induce all’esperienza fuori dallo spazio domestico e intuisce i problemi, i bisogni della prole.


Così, la metafora «mamma Calabria» è valsa a inquadrare, a chiarire il legame di ciascuno degli intervenuti con i luoghi delle origini: forte, continuo, vitale; capace di riaccendere la luce della speranza in un clima oltremodo tormentato, di riaprire il campo delle possibilità, di sostituire le illusioni con le motivazioni personali. Si tratta di quattro ragazzi che provengono da esperienze diverse ma affini: Anna Stefanizzi ha inventato il Cammino dei monaci florensi; come “Esperiandanti”, Luigi Candalise mostra su prenotazione i posti della Sila, in bici, a piedi, a cavallo; Ivan Ariella organizza festival d’arte e richiamo; Maria Costanza Barberio porta, con il collettivo “Fiori florensi”, la ludopedagogia nelle piazze e nelle istituzioni, fra bambini e rispettive famiglie. Questi giovani hanno più di 30 anni e meno di 40, indole ambientalista, una dote d’idealismo proveniente dal loro vissuto nel mondo analogico, una robusta volontà di ritagliarsi spazi autonomi in Calabria, intanto professionali e sociali.
Sono giovani che parlano un linguaggio poetico fuori del tempo; che leggono romanzi intramontabili, diari di viaggio e saggi sulla conservazione della memoria; che con video, post e immagini evocative sanno comunicare le loro attività e trasmettere emozioni, divulgare buone pratiche ed esempi positivi. E sono giovani che, come accade altrove nel pianeta, rivendicano le ragioni della propria terra, cercano di collegare la tipicità locale con l’universalità umana, chiedono ascolto alla politica e impegno per la sostenibilità, l’eguaglianza, i diritti irrinunciabili. «Facciamo politica con il gioco, abituando i bimbi alla libertà di espressione e di giudizio», ha detto Maria Costanza. «La Calabria ha tre Parchi nazionali e uno regionale, noi dobbiamo credere nelle nostre radici, nelle nostre potenzialità», ha osservato Luigi, che ha aggiunto: «Da fuori iniziano a guardarci con altri occhi». Ciò perché diversi giovani calabresi hanno espresso talento e capacità; perché da un pezzo la narrazione dominante, ferma al tragico, a lamenti e semplificazioni di comodo, è contrastata da racconti di vicende edificanti, che iniziano a piacere, a diffondersi, a generare interesse, apprezzamento, consenso. «Per restare in questa terra, ognuno deve fare un cammino dentro di sé», ha osservato Luigi, che ha sottolineato: «Il 30 per cento della biodiversità europea è nelle nostre montagne. Se devo fare dei sacrifici, preferisco farli a casa mia». «Siamo quello che camminiamo», ha chiosato Anna. Stefano “Intour” Straface – che a Torino insegnava nella scuola pubblica e ha scelto di rientrare per promuovere via social eventi e prodotti calabresi – ha infine posto l’accento sulla «necessità che gli imprenditori siano formati per capire quanto valga l’impatto nel web, quanto esso sia utile a lavorare in tutti i mesi dell’anno e non soltanto d’estate o nelle vacanze di Natale». È un altro tema che merita ampia riflessione nelle sedi della politica, in parte assente rispetto alle istanze di giovani che lavorano con la cultura, l’arte e gli strumenti tecnologici.

Nelle parole di questi ragazzi c’è molto da cogliere e raccogliere, ma il punto è che la politica, non tutta, non ne comprende la complessità, la finalità, l’utilità. Però, ha obiettato il fotografo e regista Emilio Arnone, instancabile sperimentatore di linguaggi artistici d’avanguardia, «bisogna smetterla con impostazioni sfacciatamente celebrative, serve equilibrio e uno sguardo d’insieme». È sempre l’autenticità, secondo l’intellettuale, che fa la differenza. Insomma, ovunque ci sono storie illuminanti, quindi bisogna stare attenti a non cedere, come capita sui social, a lusinghe facili, «all’apologetica d’ufficio» di certa pubblicistica.
Diventa difficile costruire reti di collaborazione, se non ci sono basi e contenuti comuni, hanno concluso Alessandro, Anna, Luigi, Ivan e Maria Costanza. E spetta alla politica, che dovrebbe affinare lo sguardo e ampliare gli orizzonti, favorire il compito e la collaborazione dei ragazzi che raccontano l’altra Calabria, quella della bellezza, delle tradizioni, del grande patrimonio culturale e ambientale. (redazione@corrierecal.it)

pagliacciata italo - albanese ., Striscione per Gaza, annullata la multa all'apicoltore di Desio I carabinieri di Monza hanno annullato in autotutela la sanzione., una destra sempre più estrema e oscurantista ha votato un vero e proprio abominio politico e giuridico.,

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