26.2.12

lavorare a 3 euro no grazie la storia di valeria gentile

La lettura, ne  trovate  sotto   "in appendice  al  post" l'articolo e sotto a  sinistra   la foto  ,   sulla nuova sardegna d'oggi 26\2\2012 dell'intervista a Valeria gentile , mi fa  ritornare  alla mente  questo articolo  scritto da  un nostro  utente  \  compagno di strada     .
Valeria  è una  ragazza coraggiosa  e dinamica  come dimostrano sia  questa intervista per  il sito    http://www.lanuovaatlantide.info i suoi blog  personali  : 1)  http://igrandireportages.blogspot.com/  2) http://kindlerya.blogspot.com/ 3)http://viagginversi.com/
4) http://kindlerya.tumblr.com/. Per  chi volesse  sostenerla  ed  aiutarla  essa  si finanzia  con l'aiuto dei lettori  ----  proprio come faceva ( e credo ancora  faccia oltre  a scrivere   in un blog per  il fatto quotidiano   )   Riccardo Orioles   autore  della catena  di  San libero   ---- trovate  qui come inviarli soldi  perché  purtroppo al  giorno  d'oggi senza   €  non si canta : nè messa  né  bandiera  rossa  .
Una   ha fatto solo bene, a rifiutare un offerta di lavoro del genere . Finchè ci saranno in Italia ci saranno persone che continueranno a sottostare a condizioni lavorative del genere Il paese continuerà ad andare a rotoli. Non sono solo i sardi che si trovano in questa situazione: c'è gente che al sud Italia e non solo, lavora dalla mattina alla sera nei campi a raccoglierne i frutti che offre a seconda delle stagioni sempre a 3 o 4 euri all'ora...se non accetti c'è un altro...e magari extracomunitario clandestino sbarcato stamattina. .....Purtroppo è da una vita che ciò avviene e continuerà cosi per sempre....non penso che il sig.Monti riesca ad ostacolare sti negrieri!!!!!!!!!!!!!! io li metterei in un carcere in sud America e ne butterei la chiave!!o metterei loro a lavorare a quelle condizioni . Scusate lo sfogo  , veniamo ora  alla  storia  di Valeria  



Sono andata via di casa a diciannove anni, dopo il diploma linguistico e qualche dramma familiare in valigia. Ho vissuto a Firenze per laurearmi in Media e Giornalismo, ho vissuto due anni a Roma collaborando con festival, riviste, agenzie di comunicazione, case editrici. Ho viaggiato come reporter in Europa, Medio Oriente, Africa e Asia. Ho dormito e mangiato per terra con i bambini in Senegal, mi sono lavata nei bagni delle palestre abruzzesi con le donne terremotate delle tendopoli. Ho girato da sola nell'infinita metropolitana di Tokyo, ho passato i checkpoint israeliani a Ramallah, ho scalato col vento gelido di gennaio la Grande Muraglia Cinese. Sono salita su mulini olandesi e torri taiwanesi, sono entrata nella pancia dell'enorme Buddha di bronzo sulla costa giapponese, ho assistito ai lanci dai tetti di soldati mangiatori di serpenti in Libano, ho guidato una zattera di bambù sul fiume Li. 
Ho ventisei anni. Si potrebbe dire che io sia coraggiosa. Ma ancora più di questo, sono sarda. Ogni giorno della vita è una lotta in cui le mie radici sono alleati e nemici, armi e talloni d'achille. Sono tornata per scelta a vivere nella mia isola perché tutto il mondo non basta a contenere l'amore e la gratitudine che provo verso questa terra. Credo nella vita e nel mio futuro perché la Sardegna mi insegna ogni giorno i suoi miracoli senza vergognarsi di essere onnipotente. 
Finché poi arriva un giorno in cui metti tutto in discussione. Arriva un super resort di lusso fondato da milanesi e altri italiani, che sulla mia isola ricopre venticinque ettari di parco in cui ci sono ventun ristoranti di lusso, quattordici bar, otto alberghi cinque stelle più diverse suites e qualche centinaio di bungalow, nonché children city, leisure land, sport academy, discoteca, spiaggia privata e tanto altro, dove una notte per una persona non costa meno di seicento euro. Arriva proprio quando meno me lo aspetto, mi contatta tramite Linkedin, mi offre un lavoro di gestione della comunicazione online e offline. Il che vuol dire comunicati stampa, fotografie, video, gestione della presenza e della reputazione sul web. 
Passo il primo colloquio telefonico, la Media Relations & Events Manager mi adora e “caldeggia la mia candidatura”. Passo anche il secondo colloquio in carne ed ossa, quello con il Sales & Marketing Executive Manager. Mi dice che ho un curriculum anomalo, che “mi sono fatta il mazzo” e mi porta a farmi conoscere al General Director che è anche socio, ai piani alti insomma, dove si parla a voce bassa e si tiene anche la testa, bassa. Primo e secondo colloquio, poi test individuale per il percorso di selezione, ma i manager ormai mi presentano dicendo “lei è, si occuperà di”. Ma non si accorgono che loro non hanno passato il mio, di colloquio. Il luxury resort numero uno mi contatta via Linkedin, mi offre un lavoro, mi scomoda, mi prepara a lasciare tutto quello che ho per trasferirmi a vivere dentro il resort, a non avere mai un giorno o un'ora libera, per fare la comunicatrice tuttofare, in un'industria dello svago di lusso che è una gabbia d'oro finto, in cambio di un contratto a progetto di sei mesi per settecento euro al mese. 
E allora ripenso alle nuove tendenze del futuro che vogliamo, il futuro sostenibile di cui tanto ci riempiamo la bocca. Ripenso alla manifestazione della Consulta dei Movimenti di stamattina a Nuoro dove Gavino Sale ha detto una cosa semplice e vera: noi sardi siamo poveri perché regaliamo le nostre ricchezze. Ripenso alle mie amiche laureate che lavano scale per cinquanta euro alla settimana, alle sette donne che hanno fatto lo sciopero della fame, ai padri che non sanno come dare da mangiare ai figli per colpa delle trame marce di questo sistema mortificante. In loro onore e in loro nome, in nome della loro dignità, io rifiuto l'offerta e vado avanti, a testa alta. Rifiuto, declino, non accetto, respingo, boccio, dico di no, a questi signori tristi che hanno perso completamente ogni contatto con la realtà. Ho ventisei anni. Si potrebbe dire che io sia coraggiosa. Ma ancora più di questo, sono sarda.


Ecco il commento di Michele Serra   preso da  http://www.lanuovaatlantide.info
 qui   sotto l'intervista  ala  nuova  sardegna   di Mauro Lissia

 Valeria, nell'isola dei disoccupati e della povertà che avanza tu hai rifiutato un lavoro, comunicazione in un resort superlusso. Sei matta o cosa?

«Ho capito che non faceva per me e che non era giusto accettare».



- Forse dipende dal fatto che vuoi fare la giornalista.

«Mai pensato di fare la giornalista, fin da bambina mi porto dentro una grande passione per la scrittura. Penso solo alle parole, non mi interessa il tesserino di giornalista».



- I tuoi reportage però hanno a che fare con il giornalismo.

«Cose diverse... parto da sola e poi propongo il mio lavoro a qualche periodico, a chi è interessato. Oggi sono certa solo di questo: non farò mai giornalismo televisivo. A me piace il racconto lento. Voglio raccontare, ma lentamente».



- Il reportage stile vecchio Europeo. Pensi che sia ancora gradito?

«Credo di sì, è un modo vincente di raccontare, direi necessario. In rete è sempre più diffuso. D'altronde io oggi vivo di questo e mi basta a darmi l'indipendenza economica».




- Hai scritto di essere tornata per amore e gratitudine nei confronti della Sardegna. L'amore si capisce, la gratitudine un po' meno.

«Non intendevo gratitudine verso i sardi, ma proprio verso la Sardegna. Perché mi dà molto. Studiando e lavorando fuori ho capito che per i sardi muoversi è un trauma, ma io sono grata di aver dovuto affrontare queste difficoltà».



- Grata? I sardi si lamentano da sempre per i limiti imposti dall'insularità.

«Per me l'insularità non è un limite, è uno strumento. Per i sardi è tutto più difficile e questo accresce il valore di ogni obbiettivo raggiunto».

- L'insularità come valore, dunque. Cos'altro ti mancava della Sardegna?
«Questo preferirei scriverlo, perchè è una cosa romantica: il profumo. Sembra una cosa scontata ma quest'aria, l'aria della Sardegna è qualcosa di unico. Poi mi mancavano le persone, con tutti i difetti che hanno: ho girato il mondo ma mi mancavano le persone sarde. Credo che il senso di appartenenza a una comunità ci aiuti ad andare avanti, sono convinta che nei momenti di difficoltà trovarsi tra sardi aiuti. Lo capiscono anche quelli che in Sardegna arrivano, magari per lavoro, e poi non vogliono andarsene più».

- Cos'è che attrae tanto di quest'isola così aspra?
«Il senso di libertà. Quell'insulina di libertà che alla fine dà dipendenza».

- E' il desiderio di libertà che ti ha indotto a rifiutare quel posto di lavoro? Tra i commenti diffusi in rete alcuni non sono benevoli. C'è chi sostiene che avresti detto no perché si trattava soltanto di 700 euro al mese per sei mesi, contratto a progetto. E' così?
«Le osservazioni che ho letto in rete mi sono state molto utili e questa domanda me la sono posta anch'io. Ma non ho ancora una risposta. So però che un'offerta così offensiva e ingiusta mi ha tolto ogni dubbio. Tre euro all'ora: non credo che abbiano rispettato la mia professionalità e la mia persona».

- Nel tuo rifiuto traspare anche una valutazione di fondo che riguarda i grandi resort di cui è disseminata l'isola: quando fai riferimento a Gavino Sale che dice "noi sardi siamo poveri perché regaliamo le nostre ricchezze" hai pensato al paesaggio?
«Se non fossi stata curiosa di ascoltare quella proposta di lavoro non sarei andata al resort, dove avrei dovuto vivere e lavorare. Però non sapevo nulla di quel posto e ancor'oggi ne so poco. Ma è bastato guardare quelle persone negli occhi per capire quanto poco rispetto abbiano per la Sardegna».

- E per i sardi?
«No, credo che abbiano stima per i sardi. Si sentono quasi in soggezione rispetto ai sardi».

- Li definisci signori tristi e dici che hanno perso il contatto con la realtà. Perché?
«Perché lavorano troppo e vivono per lavorare, ma la verità è che siamo al mondo per essere felici e non per lavorare. Solo un artista può vivere per il proprio lavoro... Poi sono vecchi, sembrano vecchi. Vecchi e tristi, contagiati dalla finzione del luogo dove lavorano».

- La finzione di un luogo: stiamo parlando di un non luogo, uno spazio che esisteva in un'altra forma ed è stato modificato in funzione di un turismo di pura attrazione.
«Sì, questo. A un metro dall'ingresso di quel resort c'è una Sardegna del tutto diversa, quel resort e gli altri resort sono immersi in un ambiente che non ha nulla a che fare con quello che propongono. Ho visto posti del genere a Dubai, a Delhi, in Africa... posti macabri. La Sardegna è povera ma chi frequenta questi resort vive da ricco ed è una cosa che li rende innaturali, estranei ai sardi e al loro modo di vivere, alla loro cultura».

- Ce l'hai un po' col turismo?
«Con questo tipo di turismo colossale. Appartiene al passato, è roba vecchia. Non solo deturpa l'ambiente ma è un modello fallimentare, non funziona più. In tutto il mondo si sta andando verso un turismo responsabile, con la ricchezza che resta nei luoghi d'origine. Verso ambienti genuini, vicini alla realtà e alla storia dei luoghi».

- Pensi che la tua lettera abbia giovato alla tua immagine personale e professionale?
«Ero preparata perché lavoro sul web da anni. Ho scritto sempre cose piuttosto provocatorie, ci sono abituata. La critica fa bene, se è costruttiva. Altrimenti non mi riguarda. Comunque sentivo di dover raccontare questa vicenda: l'ho fatto».

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