6.2.12

Burlesque, l'altra faccia dello “strip”



L'obbedienza non è più una virtù, arriva lo strip delle casalinghe .Burlesque, l'altra faccia dello “strip”
LE STORIE. Assunta Pittaluga e le sue trenta allieve over 40
C'è chi dice sia la via democratica allo strip. Nel senso che per praticarlo non c'è bisogno di essere «belle, alte e disinibite». «Alte magre basse grasse, tutte possono». Assunta Pittaluga insegna burlesque a trenta allieve over 40 nella sua scuola cagliaritana di danza

unione sarda  del 5\2\2012
di GIORGIO PISANO ( pisano@unionesarda.it )

da  google
Si chiama burlesque e ha un sacco di ammortizzatori per evitare di dire papale papale quello che è: uno strip. Non integrale ma comunque strip. «Detto così, sembra un'altra cosa. Invece è ironico, rilassante, divertente».Dunque dev'essere un irresistibile bisogno di ironia, di relax e di divertimento che spinge decine di donne - dalla manager alla postelegrafonica - a frequentare corsi per imparare a spogliarsi. In un certo modo, s'intende.Nella sua scuola cagliaritana di danza, Assunta Pittaluga ha una trentina di allieve che frequentano lezioni di burlesque. Se ne occupa personalmente, e non solo. Fa spettacoli: il prossimo è a Milano. Single, non ammette oltraggi. E nemmeno insinuazioni. Il suo passato di ballerina classica, i lavori a fianco dei più importanti coreografi italiani, il sogno (irrealizzato) di riuscire a ballare almeno nei pressi di Rudolf Nureyev, ne fanno una testimone autorevole. Pronta a mentire solo su un dettaglio: «Sono dolosamente vaga quando mi chiedono l'età. Non me la ricordo».L'ufficio di segreteria del suo istituto (uno splendido palazzetto d'epoca) è tappezzato di locandine e attestati vari: questo per dire che la carriera c'era e c'è. Colpa di una nonna che, quand'era piccina, l'ha trascinata in una scuola dove le bimbe-bene imparavano a muovere i primi passi con grazia in attesa di diventare signorine da marito. Da allora - ed è passato davvero molto tempo - non si è fermata più.Perfettamente a suo agio in una mise da spogliarellista (ma questo si scoprirà solo dopo) nonostante il freddo e un imbarazzato notes davanti agli occhi, parla del burlesque con vezzosa intelligenza. Respinte al mittente le provocazioni.

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  continuando con lo stesso articolo   c'è un intervista  \ chiacchierata  ad Assunta

Come sono le donne che fanno burlesque?
«Donne che fanno burlesque».
Bruttine stagionate?
«L'unica stagionata del gruppo sono io».
Età media?
«Over 40».
Over quaranta vuol dire tutto.
«Allora diciamo che sfiorano i cinquanta. Cambia qualcosa?»
Sul palcoscenico insieme a nomi mitici (Ugo Dell'Ara) o a teatro con Arnoldo Foà, ha metabolizzato un sacro principio: la danza è vita. Perdersi nel labirinto fra orientale, jazz, classica, sportiva o contemporanea è soltanto un gioco da salotto. «L'importante è volere», spiega con un sorriso che si allunga verso nerissime ciglia finte. Il body scuro e le calze da allungare al momento opportuno come l'elastico di una fionda sono (provvisoriamente) coperte da un giaccone in attesa che cominci il servizio fotografico a corredo di questa intervista. Come antipasto, giusto le ammissioni di prammatica: vero che per molte la danza è un pretesto per fare amicizia, falso che sia un passaggio obbligato per playboy a lungo invecchiamento, vero che aiuta a mettersi in pace con se stessi, verissimo che può servire quando si vive sull'orlo d'una crisi di nervi.Il destino di Assunta Pittaluga viene probabilmente da molto lontano, da una casa ingombra di specchi dove lei - ragazzina coi brufoli - passava depressa sotto esame. «Ero bruttina. Grazie alla danza mi sono rifatta dopo». Nel senso che ha imparato a volare, ad essere e a sentirsi libera dalle mille piccole spietate zavorre imposte dal conformismo, dal comandamento che regola l'obbedienza collettiva: questo si fa, questo non si fa. Con lei non vale.
A che serve la danza?
«Per chi la fa a livello professionale, serve come appagamento interiore. Non ci puoi rinunciare. Niente di diverso dalla febbre che può avvertire un musicista, un pittore, un poeta. Per quanto mi riguarda, potrei starmene finalmente tranquilla a fare la calza. Beh, non ci riesco, continuo a non poterne fare a meno».
Per gli altri invece cos'è?
«È una tecnica formidabile per educare il corpo, uno strumento per socializzare, scoprire un pianeta che - fino a quando non sei entrato in una scuola di danza - non puoi immaginare».
Perché fa burlesque?
«Perché mi diverte. Non è importante essere belle, giovani, disinibite. L'importante è aver voglia di mettersi in gioco».
Lo dicono anche le veline e le aspiranti miss.
«Nel caso del burlesque non è una frase fatta. Alte magre grasse basse, tutte possono».
Difatti lei l'ha fatto pure in tv a Videolina.
«Sì, ma siccome la trasmissione andava in onda in fascia protetta mi sono limitata a sfilare i guanti».
Altrimenti?
«Il burlesque non prevede il nudo integrale, se è questo che voleva chiedermi. Ci sono molte differenze tra la ricetta europea e quella americana».
Cioè?
«Gli Usa hanno una visione del burlesque a mezza strada tra avanspettacolo e cowboy: amano le ragazze che si strizzano le tette, per esempio. Oppure fanno roteare come un lazo le nappine copri-capezzolo. In Europa non succede nulla di tutto questo. Dita von Teese, che è la regina del burlesque, non farebbe mai cose del genere. Noi siamo molto diversi. Più chic».
In che senso?
«Lasciamo che sia la fantasia a sedurre, non ti scaraventiamo le tette addosso come il bidone del latte».
C'è stato l'imbarazzo della prima volta?
«No, perché mai? Importante precisare tuttavia che il burlesque non è danza. Semmai teatro. Racconta con ironica civetteria storie che durano qualche minuto, mostra situazioni che possono e debbono suscitare un sorriso».
Un sorriso e nient'altro?
«Se nasce altro, affari loro. Tutta salute se si tratta di adulti consenzienti. Ai miei corsi non sono gradite minorenni. Una scuola della provincia mi ha chiesto di tenere un corso: ho declinato l'invito quando ho saputo che avrebbero assistito ragazzine interessate al burlesque».
Complimenti?
«Il migliore è quando, finito uno spettacolo, ti propongono un nuovo contratto. Di insulti non mi chieda: ci sono stati di sicuro ma io non sono mai riuscita a sentirli».
Nessuno che abbia ecceduto durante uno spettacolo?
«Nei locali dove mi esibisco c'è un discreto e robusto servizio di sicurezza. Impossibile scavalcare certe regole di rispetto e buona creanza».
Come sono le sue allieve?
«Non capisco la domanda».
Ha capito benissimo.
«Alcune potrebbero tranquillamente affrontare il pubblico».
Cosa c'è di ironico nello spogliarsi?
«Se una sa di essere normale, giocare a fare la vamp o la pin up significa fare ironia. Il pubblico coglie subito questo aspetto».
Perché piace?
«Alle donne, soprattutto a quelle che fanno una vita frenetica, frustrante da casalinga o esaltante in carriera, serve per riscoprire la propria femminilità. E a condirla di gesti che vanno oltre la noia, la ripetitività e l'abitudine. Non a caso chi fa burlesque ha un alter ego».
Che significa?
«È una delle regole che insegno dopo le prime tre lezioni: darsi un nome d'arte. È un gioco psicologico. In questo modo puoi assolverti: chi fa quelle cosacce col burlesque è un'altra, mica sono io».
Lei ha un nome d'arte?
«Certo: Velvet virgin. Vergine di velluto. Ma tra noi ci sono anche Cherry Sixx, Baby revolution, Vicky Devil, Lady Camarilla».
Qual è il confine tra danza e disturbo psichico?
«C'è ed è sottilissimo, come sottilissimo d'altronde è il confine tra la vita di tutti i giorni e un'eplosione di follia».
Scegliere il burlesque non è spia di un disagio?
«In alcuni casi potrebbe anche essere. Voglio dire che si iscrive ai corsi anche la donna infuriata col mondo, oltre che con se stessa. Il burlesque è una reazione, una meravigliosa scappatoia».
Viviamo travolti da scosciate & tette all'aria: qual è la novità?
«L'atmosfera di eleganza che si riesce a creare, una seduzione dal gusto nuovo e originale, sapori retrò e grande fascino».
E magari un pizzico di disperazione nascosta.
«Per alcune forse sì. Ma che bella reazione arrivare al burlesque per tentare di liberarsene».
Proviamo a catalogare.
«C'è la drogata, cioè la donna letteralmente ipnotizzata dal burlesque, che una volta iniziato non smetterebbe mai. Poi c'è quella che ha sempre desiderato trasgredire e non ha mai potuto. Non avete idea di che volontà ed energia le animi. Entrare in classe significa ricevere una scarica di adrenalina».
Quelle che rinunciano.
«Succede. Il vero problema è superare la prima lezione. Dopo il riscaldamento, si comincia con le pose da vamp, gesti che in casa neanche morta. Se non riesci a entrare nel meccanismo ti senti inevitabilmente ridicola perché quello non è il tuo modo di essere abituale. E a quel punto può accadere che abbandoni».
Quelle che a tutti i costi.
«Le negate, quelle che sbagliano gesti e posizioni? Bisogna pazientare e attendere che migliorino, che riescano ad entrare nel ritmo».
E se non ci riescono?
«Ho sbottato una volta sola in vita mia e ho detto ad un'allieva: se facciamo La bella addormentata tu farai la Bella nel secondo atto. Perché, salvo qualche minuto, deve solo dormire».
Quelle che bisogna cassintegrare.
«No, mai. La considero una violenza. Seppure mi trovo di fronte a una donna assolutamente incapace, evito di ferirla. Il burlesque, se hai la sensibilità di capirlo, è anche terapia».
Ha mai chiesto perché lo fanno?
«No, per non metterle in imbarazzo. Venire a fare burlesque è già una conquista di libertà con se stesse. Una grande conquista. Figuriamoci se è il caso di fare domande. Semmai, raccolgo qualche confidenza non richiesta».
Per esempio?
«Penso a quella donna che durante la terza lezione ha avuto una crisi di gioia. All'improvviso ha detto: grazie, mi hai aperto le porte di un mondo sconosciuto».
Spiegate anche il senso del ridicolo?
«Nel burlesque averlo è fondamentale, altrimenti si diventa una macchietta. Aspetto che siano loro a coglierlo, io non fiaterei neanche sotto tortura. A lezione non si deve parlare neppure di difetti fisici, sennò si rischia di diventare anoressiche».
Come mai?
«La danza fa scattare l'idea della leggerezza, della levità. L'anoressia è la trappola che ci sta dietro. Quindi occorre attenzione».
Impresentabili.
«Ci sono. Ma finché si divertono a livello amatoriale, se vedi che sono felici a danzare, che stanno finalmente sognando, perché rompere un incantesimo?»
L'intervista è conclusa. Assunta Pittaluga aspetta un segnale dal fotografo e fila dritta in una delle sale della sua scuola. Di colpo si libera dal giaccone che la copriva fin sotto le ginocchia e sfodera un fisico sorprendente, reggicalze nero incluso assieme a un décolleté ampio e ospitale. Afferra una sedia per la tipica foto da strip teaser, racconta di un charleston trasformato in spogliarello di fronte a una platea stupita e intanto punta l'obiettivo con sguardi a senso unico. Posa perfino sul vano-scale della scuola, sorriso a tutto tondo: alla faccia dei moralisti e dei miscredenti. Alla fine, quasi fosse una vendetta premeditata, si volta e finge di ricordare: «Mi aveva domandato quanti anni ho? Me ne sono ricordata. Ne ho compiuto sessantaquattro l'altro giorno».


approfondimenti  



Bibliografia 

(EN) Bernard Sobel, A Pictorial History of Burlesque, New York, 1956
(FR) Jean-Pierre Coursodon, Keaton & Co, Les burlesques américains du "muet", Editions Seghers, Parigi, 1964
Attilio Reinhardt, Burlesque. Curve assassine, sorrisi di fuoco e piume di struzzo, Eumeswil, 2009. ISBN 88-89378-46-8
Lorenza Fruci, Burlesque. Quando lo spettacolo diventa seduzione, Castelvecchi, 2011

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