6.2.12

Opere d’Arte da salvare dipinti stazione tempio pausania di Giuseppe Biasi

Cercando , in un cd  di backup, delle  foto  delle nostre  piante  , ho   trovato  anzi ritrovato   questo  intervento  (  non  ricordo   se  un associazione culturale  o  qualche intwervento   sui quotidiani locali  o sul  giornale  della  diocesi  ) .  Lo reputo anche se di qualche anno fa   ancora  più attuale  che mai  .  Non riuscendo  a rintracciare  gli autori  per   avere l'autorizzazione ( 'sto  c...  di legge  sulla privacy  )   lo riporto   qui  , ma  sono pronto  a rimuoverlo se  essi me lo chiederanno 



Siamo due artisti  e insegnanti, di “Arte e immagine” Galluresi, della scuola secondaria di primo grado; i quali si stanno chiedendo da qualche tempo a questa parte per quale motivo i cittadini di Tempio Pausania, sono o no! consapevoli, di avere nella propria città, un preziosissimo scrigno ( La Stazione Ferroviaria ), contenente  cinque preziosi gioielli (cinque tele di grandi dimensioni di Giuseppe Biasi ) .
Se non salvaguardate, protette, difese, restaurate; questi preziosi “gioielli” potrebbero essere “trafugati” o nella migliore o peggiore delle ipotesi ( dipende dal punto di vista ) portati  in altri luoghi, della Sardegna o del Continente; perdendo così una opportunità di richiamo culturale e turistico, da non trascurare o minimizzare, come del resto l’atteggiamento degli organi preposti alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico locale, hanno sino ad oggi “scandalosamente” fatto.
La stupenda stazione ferroviaria, costruita in  stile Liberty, al centro del paese, si presterebbe ora più che mai, (se non vi sarà subito un intervento di restauro e degli interventi mirati per far si che queste opere siano acquisite dal Comune) ad essere adibita a centro culturale per dibattiti, per riunioni, o a Pinacoteca – Museo. 
Questi bellissimi capolavori (l’architettura e le opere pittoriche) saranno inesorabilmente destinati ad essere persi, se l’opinione pubblica non si mobiliterà per far schiodare dalle loro poltrone chi di dovere, a prendere delle sagge decisioni.
Già da decine d’anni nell’ingresso della Stazione ferroviaria, si trovano cinque tele di grandi dimensioni di Giuseppe Biasi, letteralmente abbandonate alla polvere, alle correnti d’aria, ai gas di scarico dei pulman ed automobili e dei   ormai rari  treni di passaggio, ai vandali (tempo fa hanno cercato di rubarle), una è stata portata a Sassari con la scusa che doveva essere restaurata, se ne sono perse le tracce.
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi, quando venne a Tempio, vedendo queste opere  disse che qualsiasi museo avrebbe fatto carte false per poterle avere.
Non a caso nel 2001 a Roma, nel Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali) dal 2 ottobre al 4 novembre. La casa editrice: “Ilisso” ( 1 ) organizzava la mostra antologica dell’artista Sardo ottenendo un enorme successo sia di critica che di pubblico.
I sottoscritti, già nell’ottobre del 1998, sulla rivista “Beta”(2)  denunciavano questo scempio, all’opinione pubblica locale, senza però ottenere  alcun risultato. E pensare che i Comuni interni della Sardegna si stanno inventando qualunque cosa  per attirare   i turisti dalle coste vacanziere. Tempio ha un patrimonio culturale invidiabile da chiunque  e non lo sa sfruttare? Perché?

Chi era Giuseppe Biasi?

Personaggio di spicco nel panorama artistico sardo della prima metà del XX secolo, Giuseppe Biasi riuscì a inserire la Sardegna nel quadro culturale della modernità europea, emancipandosi dalle tendenze nazionali dominanti in quegli anni. La grandezza dell’artista, scoperta peraltro non molti anni fa, risiede nella capacità di rinnovare gli eleganti impulsi stilistici centroeuropei (soprattutto l’arte secessionista di Klimt), piegandoli alla realtà arcaica della sua terra natia. Biasi proviene da una famiglia della borghesia intellettuale.
Nasce nel 1885 a Sassari e non frequenta scuole artistiche perché in Sardegna non ci sono e, pertanto, si forma da solo, guardando all’illustrazione e alla cartellonistica. Nel 1905 esordisce sull’Avanti della Domenica, settimanale romano. Dal 1907 al 1910 lavora e si afferma come illustratore nella raffinata rivista fiorentina Il giornalino della Domenica, dedicata ai bambini e diretta da Wamba. Le copertine e le tavole, pubblicate sul settimanale, hanno come tema principale la vita popolare sarda e si connotano per un originale stile geometrizzante, asciutto e sintetico, influenzato dalla Secessione Viennese.Queste sue illustrazioni – scriveva Grazia Deledda nel 1909 – mi fanno una grande impressione: più di ammirarle io le sento, e mi sembrano perfette, per l’animo, per il colore locale che le rende vive e palpitanti”. Il rapporto professionale con il Premio Nobel – testimoniato dalle illustrazioni realizzate per i suoi racconti e per i romanzi, dal 1909 al 1917 “ si allaccia a quello che l’artista di Sassari intrattenne con lo scultore Francesco Ciusa o con il pittore Filippo Figari, ovvero i protagonisti di quella stagione dell’arte sarda nella prima metà del ‘900, che hanno mostrato come sia possibile aderire al moderno scendendo nel profondo della (propria) cultura popolare.
Le strette collaborazioni con gli intellettuali del tempo aprono al giovane Biasi le porte dei periodici a grande diffusione, come La lettura e L’illustrazione italiana. Nel 1907 cominciano i primi viaggi dell’artista alla scoperta della sua terra: la Sardegna. Il mondo rurale sardo viene visto da Biasi come un miraggio primitivo. Nel 1916, congedato dopo una ferita riporta al fronte, si trasferisce a Milano. Un anno più tardi organizza la Mostra Sarda, presso il Palazzo Cova, che suscita grande attenzione da parte della critica. Alla fine degli anni Dieci, Biasi appare influenzato da Velazquez e Goya: in quadri come Processioni del Cristo e Teresita, la tavolozza si fa infatti più calda e la stesura del colore è più densa. I temi (matrimoni e feste campestri) rimangono gli stessi. La vita contadina continua ad essere rappresentata, ma in maniera evocativa: Biasi, lontano dalla sua Sardegna, la dipinge basandosi sulle immagini scaturite dai suoi ricordi. Il periodo milanese di Biasi si conclude, nel 1919, con la decorazione del bar nell’Hotel Villa Serbelloni a Bellagio: si tratta di quattro tele incentrate sul tema “L’amore in Sardegna”.
Dopo la commissione del ciclo pittorico, la fortuna di Biasi comincia a declinare. Influenzato dal pittore Aroldo Bonzaghi, l’artista affronta nuovi temi: dipinge suonatori ambulanti, serenate notturne.
Nell’olio Quartetto, ad esempio, si nota l’abbandono delle tinte smaglianti e la ricchezza decorativa; la tavolozza abbandona le tinte calde e diventa cupa, quasi monocroma. Dal 1923 al 1927 Biasi vive nel Nord Africa, dividendosi tra la Tripolitania, la Cirenaica e l’Egitto. La realtà africana, rappresentata attraverso piccole tempere, disegni, studi dal vero, è per Biasi specchio di desideri e fantasie. Realizza diversi nudi, in prevalenza femminili. Se la donna sarda era “diversa” sul piano sessuale e sociale, la donna africana lo è anche su quello di razza. La prima, simbolo dell’identità sarda, quasi sempre raffigurata da Biasi adolescente e chiusa nel severo abito tradizionale, trasmette sensualità attraverso i gesti e gli sguardi. La seconda, lontana dai preconcetti, esprime maggiore erotismo.


 La donna occupa una posizione preminente nell’arte di Biasi. L’uomo, al contrario, riveste un ruolo secondario, e spesso appare di spalle. I ritratti maschili sono rari e per lo più realizzati su commissione. Nel 1927 Biasi si stabilisce in Sardegna, ma ormai lontano dai ritmi decorativi del liberty e tutto immerso in una nuova interpretazione della sua gente, tra un nuovo naturalismo e un accentuato realismo espressionista. In netto contrasto col classicismo novecentista, espone due nudi alla Biennale di Venezia del 1928, accolti freddamente dalla maggior parte: la critica ne condanna il folklorismo e il decorativismo. Nel 1935, contro l’arte del regime, pubblica violenti pamphlet contro la gestione delle Quadriennali romane. L’attività artistica di Giuseppe Biasi si conclude con la sua morte ad Adorno Micca nel 1945. Le sue tele, al di là dei soggetti affrontati, dimostrano che si può stare al centro dell’arte pur non rientrando nei grandi circuiti culturali o delle avanguardie.

cliccare  sopra  per  ingrandirla  non potevo  metterla  più grande  mi si sballava il template

Primo pittore moderno in una Sardegna che all’inizio del Novecento lottava per liberarsi da una lunga storia di soggezione coloniale o semicoloniale, Giuseppe Biasi (Sassari 1885-Andorno Micca 1945) ha dedicato i tre quarti della sua opera a rappresentare la propria terra. Questo non fa però di lui uno dei tanti pittori regionalisti di cui abbonda l’arte italiana a cavallo di secolo.
Biasi non è uno sfruttatore del folklore a buon mercato, ma l’inventore di una tradizione: se una scrittrice come Grazia Deledda aveva raccontato la Sardegna, Biasi per la prima volta ne ha costruito l’immagine. Quella che era agli occhi dell’Italia un’isola arretrata e miserabile, infestata dalla malaria e dai banditi,  diventa un Eden primitivo, immune dai guasti della civiltà e del progresso. Attraverso un vero e proprio rovesciamento di valori, Biasi trova nella cultura popolare le radici di un’identità sarda che gli intellettuali della sua generazione si sforzavano affannosamente di definire.
Populista e aristocratico, avvezzo alla mondanità più elegante e però perfettamente a suo agio tra i pastori, nella solitudine degli stazzi; nutrito di aggiornata cultura internazionale ma incrollabilmente fiero delle proprie radici; ironico, disincantato, e insieme profondamente intriso di romanticismo; fortemente individualista, ma pronto ad assumere con coraggio il peso di situazioni collettive; scettico e disilluso, ma ugualmente impegnato a cercare nell'arte "la buona volontà dell'illusione"; persuaso di non poter "abbracciare alcun partito né arruolarsi in alcun esercito", insofferente del clima della dittatura fascista, eppure capace di schierarsi - quando niente lo richiedeva, e per motivi esclusivamente ideali - con il fascismo nella sua ora estrema, quella della Repubblica Sociale: questo è Biasi, pittore e uomo.
Irrazionalismo, pessimismo, nichilismo, pensiero antiborghese, ma anche antidemocratico – elementi su cui si fonda la sua cultura – ne fanno un singolare fascio di contraddizioni e una personalità eccentrica e originale nel quadro dell’arte italiana del primo Novecento.
In Sardegna esistono così poche opere d’arte e quelle che ci sono vengono maltrattate, abbandonate snobbate .
Salviamo queste opere. Ci rivolgiamo a tutti gli intellettuali, agli animi sensibili, a tutti coloro che credono nelle belle cose, fermiamo con una firma questo ennesimo oltraggio alla Nostra cultura.

                                   Nuccio Leoni e Giorgina Fenu

Note
1)  casa  editrice  sarda  che  organizza  anche manifestazioni culturali ed artistiche http://www.ilisso.it/  ( portale  generale  )  e qui per  i libri  http://www.ilisso.it/series/
2) vecchia  , ormai  chiusa    RIVISTA TRIMESTRALE del DISTRETTO SCOLASTICO N.3   di  Tempio Pausania



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