27.6.23

la maturità non è solo scritti ed orali . ma una tappa della vita o un gesto di ribellione come il gabriel lodetti che usa lo schiwa nello scritto ., o per accontare le proprie emozioni come la studentessa torinese ., ed altre storie



    alcune   (  per  le altre    trovate     all'inixio  post    dei  link  )     sulla  maturità    lontano     o  releganìte  in piccoli  trafiletti  da parte  dei media  e     credo  ache dai social  .

 

 da  repubblica 

  riguarda  il gesto iniutilemente provocatorio e scemo      dell'usare  lo  ɓ  ehm schwa  perchè  tale  risultato lo si  può  ottenere  con  usando la  dictura    tutti\e . 



Gabriele Lodetti  [foto  sotto a  destra  ]   ha inserito nello scritto il simbolo della comunità non binaria e ha preso 17/20:«Volevo dimostrare che utilizzare una forma di linguaggio che rappresenti tutti e tutte è possibile, anche durante una prova importante come l’esame di Stato»
Né maschile, né femminile. Nella prova di italiano di maturità, scritta rigorosamente a penna, è arrivata anche la schwa. Il simbolo grafico adottato dalla comunità non-binary, le persone che non si riconoscono né nel genere maschile né in quello femminile, e sostenuto in Italia soprattutto dalla sociolinguista Vera Gheno. L’obiettivo? Rendere più inclusivo il linguaggio, rischiando anche che la prova venisse invalidata. Ma alla fine, Gabriele Lodetti, maturando del liceo Plinio Seniore, ha portato a casa anche un ottimo voto: un 17 su 20, che equivale, più o meno, ad un 8.«Volevo dimostrare che utilizzare una forma di linguaggio che rappresenti tutti e tutte è possibile, anche durante una prova importante come l’esame di Stato», racconta il giovane. Che precisa: «Sì, è stato anche un gesto di sfida, ma non verso la commissione, bensì verso il sistema scolastico e la società». E così ha deciso di correre il rischio che la prova venisse invalidata.La sua scelta, considerando anche i contenuti e lo svolgimento della traccia, alla fine però l’ha premiato. Ha optato per il tema di attualità, quello che partiva dalla lettera aperta del 2021 all’allora ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, attraverso la quale il mondo accademico e culturale chiedeva di reintrodurre le prove scritte alla maturità, sospese per la pandemia.Non ha scritto, quindi, di inclusione in senso stretto, ma ha analizzato la storia dell’esame di Stato, poi è passato ad alcune riflessioni sui suoi cambiamenti nel tempo, ha infine inserito dei pareri sul sistema scolastico. Utilizzando, però, lo stesso linguaggio che «da tempo è presente nelle chat con amici e familiari».Ormai, prosegue Lodetti, «è entrato nel mio modo di pensare e sarebbe complicato non utilizzarlo per esprimermi». Chiuso il capitolo delle prove scritte, lo studente del Plinio racconta così il motivo della sua scelta.Una scelta che, però, non ovunque avrebbe trovato la stessa approvazione: secondo Giuseppe Benedetti, docente di Lettere al liceo Tasso, «bisognerebbe leggere tutta la prova» prima di valutare. «Tuttavia, si può fare riferimento a qualche criterio generale. Il primo è quello dell’uso. La schwa non è di uso comune. Qual è il senso del suo impiego nel testo in questione? In un tema sui diritti sarebbe evidente, in un tema su altri argomenti sarebbe meno chiaro o potrebbe risultare persino una forzatura».E ancora: «Il secondo criterio è il rapporto tra forma e contenuto: quanto possa essere persuasivo l’uso della schwa per sostenere la propria tesi. Un terzo criterio è la coerenza dell’uso: nel testo la schwa è usata costantemente o in un limitato e ingiustificato numero di occasioni?», si chiede il docente.Giulia Addazi, linguista e insegnante al liceo Rocci di Passo Corese (frazione di Fara in Sabina, in provincia di Rieti) se si fosse trovata di fronte alla prova di Gabriele Lodetti, avrebbe invece «apprezzato il ragionamento che lo studente ha portato avanti nei confronti della lingua italiana».A Tiziana Sallusti, preside del liceo Mamiani e attualmente presidente di commissione al liceo Montale, «non sarebbe cambiato nulla: se il tema fosse stato pertinente, ben scritto, ricco di approfondimenti, non credo che come presidente avrei fatto problemi».La scelta della schwa, infine, trova anche l’approvazione delle associazioni studentesche come la rete degli studenti medi, che da sempre si batte per l’inclusione nelle scuole.


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da
https://www.tecnicadellascuola.it/

Maturità 2023, tema su WhatsApp. Alunna scrive sulla morte del suo ragazzo in un incidente: “Non sappiamo più aspettare”





Ieri, tra gli studenti che hanno svolto la prima prova di italiano della maturità 2023, c’era anche una ragazza che di recente è stata colpita da un terribile lutto. La studentessa ha espresso il suo dolore per la tragedia che l’ha vista protagonista proprio nel tema che ha svolto, la traccia sull’attesa nell’era di WhatsApp a partire da uno scritto di Marco Belpoliti, traccia che è stata, secondo i dati ufficiali, la più gettonata tra i maturandi 2023. Lo riporta La Stampa.
La ragazza, 18 anni, che vive nel torinese, ha parlato della recente morte del suo fidanzato, 22 anni, a causa di un incidente stradale. “Eravamo mano nella mano, quando una Bmw a folle velocità, guidata da un ubriaco, me l’ha strappato via. I nostri sogni sono stati cancellati e io adesso sono qui senza di
lui”, ha detto. Il funerale del ragazzo si svolgerà oggi, 22 giugno.
Secondo la giovane il concetto di fretta è stato alla base di quanto è successo la sera dello schianto fatale. Ecco di cosa parla il tema prodotto dalla ragazza: “Parla di me, di noi, di quella sera. Non sappiamo più aspettare, tutto è diventato istantaneo, abbiamo sempre fretta, mandiamo un messaggio con il cellulare e pretendiamo subito una risposta. Ecco, la fretta. Quella sera avevo fretta. Fretta di stare con lui, fretta di dirgli quanto gli volevo bene. Eravamo a casa di mio nonno per festeggiare il primo compleanno di un nipotino. Ma abbiamo salutato tutti e siamo usciti. Avevo fretta di abbracciarlo. Di dargli un bacio”.
“Con Mattia correvamo solo con i pensieri, quelli sì che viaggiano veloci, erano tutti proiettati a un futuro insieme. Chi guidava quella macchina invece non aveva fretta; tornava a casa dopo una serata passata a bere con gli amici. Correva e basta. Ci ha travolto, avrà visto quello che ha causato nello specchietto retrovisore ma ha continuato la sua folle corsa”, ha raccontato, ricostruendo quei brutti momenti.
“L’avevo convinto a prendere le distanze da alcuni amici e fra questi c’era anche lui, quello che ci ha investiti”, ha detto ancora. “Eravamo ormai dall’altra parte della strada quando ho visto quell’auto sterzare. Ho sentito un colpo alla spalla, ho cercato Mattia ma non Lo vedevo più. Chissà, un angelo in quel momento mi ha messo una mano sugli occhi per non farmi vedere quello che hanno visto i soccorritori. La casa di mio nonno era a pochi metri, mi sono alzata e tenendomi la spalla sono corsa lì. Ma il dolore che non passa è un altro”, ha concluso.Ieri, tra gli studenti che hanno svolto la prima prova di italiano della maturità 2023, c’era anche una ragazza che di recente è stata colpita da un terribile lutto. La studentessa ha espresso il suo dolore per la tragedia che l’ha vista protagonista proprio nel tema che ha svolto, la traccia sull’attesa nell’era di WhatsApp a partire da uno scritto di Marco Belpoliti, traccia che è stata, secondo i dati ufficiali, la più gettonata tra i maturandi 2023. Lo riporta La Stampa.
La ragazza, 18 anni, che vive nel torinese, ha parlato della recente morte del suo fidanzato, 22 anni, a causa di un incidente stradale. “Eravamo mano nella mano, quando una Bmw a folle velocità, guidata da un ubriaco, me l’ha strappato via. I nostri sogni sono stati cancellati e io adesso sono qui senza di lui”, ha detto. Il funerale del ragazzo si svolgerà oggi, 22 giugno.
Secondo la giovane il concetto di fretta è stato alla base di quanto è successo la sera dello schianto fatale. Ecco di cosa parla il tema prodotto dalla ragazza: “Parla di me, di noi, di quella sera. Non sappiamo più aspettare, tutto è diventato istantaneo, abbiamo sempre fretta, mandiamo un messaggio con il cellulare e pretendiamo subito una risposta. Ecco, la fretta. Quella sera avevo fretta. Fretta di stare con lui, fretta di dirgli quanto gli volevo bene. Eravamo a casa di mio nonno per festeggiare il primo compleanno di un nipotino. Ma abbiamo salutato tutti e siamo usciti. Avevo fretta di abbracciarlo. Di dargli un bacio”.
“Con Mattia correvamo solo con i pensieri, quelli sì che viaggiano veloci, erano tutti proiettati a un futuro insieme. Chi guidava quella macchina invece non aveva fretta; tornava a casa dopo una serata passata a bere con gli amici. Correva e basta. Ci ha travolto, avrà visto quello che ha causato nello specchietto retrovisore ma ha continuato la sua folle corsa”, ha raccontato, ricostruendo quei brutti momenti.
“L’avevo convinto a prendere le distanze da alcuni amici e fra questi c’era anche lui, quello che ci ha investiti”, ha detto ancora. “Eravamo ormai dall’altra parte della strada quando ho visto quell’auto sterzare. Ho sentito un colpo alla spalla, ho cercato Mattia ma non Lo vedevo più. Chissà, un angelo in quel momento mi ha messo una mano sugli occhi per non farmi vedere quello che hanno visto i soccorritori. La casa di mio nonno era a pochi metri, mi sono alzata e tenendomi la spalla sono corsa lì. Ma il dolore che non passa è un altro”, ha concluso.


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La notte prima degli esami che mi ha cambiato la vitaSe Vincenzo Latronico ora fa lo scrittore e vive a Berlino è per una Porsche nera che, il giorno prima del suo orale di maturità, lo ha travolto a un semaforo. Un colpo di sfortuna dalle conseguenze imprevedibili.


di Mario Calabresi





«La sera prima dell’orale di Maturità ho chiuso i libri e sono andato a giocare a Risiko a casa di un’amica che abitava a Brera. Prima delle undici ho deciso che era ora di tornare a casa, sono salito sulla mia Vespa 50 bianca e, arrivato al primo incrocio, sono stato investito da una Porsche nera». Le conseguenze di quell’incidente avrebbero cambiato per sempre la direzione della vita di Vincenzo Latronico.

Vincenzo Latronico durante un evento letterario


Era l’estate del 2003 e Vincenzo aveva un solo pensiero per la testa: passare l’esame, uscire dal liceo classico Manzoni di Milano e poi partire con gli amici per l’interrail. Amsterdam, Berlino, Praga e Budapest le mete che sognava. Ma, mentre era fermo al semaforo davanti al Piccolo Teatro, la Porsche prima lo ha superato a sinistra e poi ha sterzato a destra passando con il rosso: «Avevo la gamba a terra e, nella manovra, me l’ha schiacciata contro la Vespa. Sono caduto e mi sono fratturato tibia e perone in almeno otto punti». Per pura coincidenza il fidanzato della sua migliore amica stava passando in quel momento ed è lui ad avergli raccontato che era sdraiato a terra e che prima dell’ambulanza sono arrivate sia la Polizia che i Carabinieri. Una cosa, però, la ricorda benissimo: chi lo aveva investito si era fermato ma non era mai sceso dalla macchina per vedere in che condizioni fosse. Era un uomo sui cinquant’anni e la Porsche era dell’azienda, una fabbrica di materiali plastici di cui era il dirigente. Non mettiamo il nome perché, ai fini della storia, non è importante.
Quella sera portarono Vincenzo all’ospedale Fatebenefratelli, rimase ricoverato per settimane con la gamba in trazione, i professori lo aspettarono e fu l’ultimo a fare l’orale: si presentò in sedia a rotelle e imbottito di antidolorifici. «Deve essere stato un pessimo esame, non ho nessun ricordo. So soltanto che portavo una tesina che teneva insieme il Lenin di Majakovsij per Letteratura, la rivoluzione russa per Storia, il costruttivismo per Arte e Marx per Filosofia. Poi gli altri partirono per il giro dell’Europa in treno e io passai l’estate sulla sedia a rotelle nella casa di campagna della mia fidanzata dell’epoca».
Quando si rimise in piedi, con quella Vespa Pk 50 che aveva comprato grazie a un premio dei Rotary per un tema di storia contemporanea fatto al quarto anno di liceo, non voleva più averci nulla a che fare e la vendette a un’amica per una cifra simbolica. Alla fine dell’estate scoprì anche che il guidatore della Porsche lo aveva denunciato, sostenendo che era stato Vincenzo ad andare a sbattere contro la macchina, e chiedeva che pagasse i danni allo sportello. Ci fu un processo lunghissimo, con perizie e controperizie, che durò ben sei anni. Nel frattempo Vincenzo si era laureato in filosofia, aveva scritto il suo primo libro e lavorava all’Università.
La copertina dell’edizione italiana di “Twelve” (Bompiani 2003),
il primo romanzo dello scrittore americano Nick McDonell
 tradotto in italiano proprio da Vincenzo Latronico


Ma il suo destino si era abbozzato prima dell’incidente: per una serie di coincidenze, di incontri fortunati e grazie a una spavalderia intellettuale non comune per un ragazzo di 16 anni, già al liceo aveva cominciato a collaborare con Bompiani: «Ero innamorato di una ragazza di nome Alessandra, che stava con un ragazzo più grande che faceva il lettore di manoscritti per una casa editrice. Così pensavo che quello fosse il lavoro più cool del mondo e quando, a un evento organizzato dalla scuola, incontrammo Elisabetta Sgarbi, presi il coraggio e le dissi: “Voglio fare il lettore di manoscritti”. Lei mi guardò sbigottita, ma mi rispose: “D’accordo, ti manderemo dei testi da leggere”. Due anni dopo, quando decise di pubblicare in Italia “Twelve”, il primo romanzo dello scrittore newyorkese Nick McDonell, che aveva la mia età e raccontava di un gruppo di liceali, mi chiese di tradurlo». Quando il libro uscì, Vincenzo scoprì che anche McDonell aveva avuto un incidente e, immobilizzato, aveva passato l’estate a scrivere. «Io, invece, avevo passato l’estate a giocare a Risiko».
La copertina de “La cospirazione delle colombe” (Bompiani 2011), il secondo romanzo di Vincenzo Latronico, con il quale si aggiudica nel 2012 il Premio Napoli, il Premio Bergamo e arriva finalista al Premio Comisso


Quando nel 2009 il processo per l’incidente si è concluso ed è arrivato, ormai inatteso, un risarcimento, Vincenzo lavorava all’Università Statale, faceva un dottorato e l’assistente in Storia della filosofia contemporanea. «Mi appassionava moltissimo, però avevo pubblicato il mio primo romanzo e scalpitavo per scrivere il secondo, ma non avevo mai il tempo. Quando arrivarono i soldi non ci potevo credere: erano 12mila euro, un anno del mio stipendio da assistente. Con quel denaro ho realizzato il sogno della mia vita: ho mollato il dottorato e mi sono trasferito a vivere a Berlino per scrivere». Era giugno, il marzo seguente aveva finito il romanzo “La cospirazione delle colombe”, il libro della svolta. Da quel momento era davvero uno scrittore che viveva a Berlino. (All’amore per la città che lo ha accolto è dedicato il nuovo libro “La chiave di Berlino” che uscirà a fine agosto con Einaudi ) 
Ho chiesto a Vincenzo Latronico di raccontarmi questa storia dopo aver letto un suo tweet che rispondeva alla domanda: il ricordo più bello della vostra maturità? «Il tizio in Porsche che mi investe in via Broletto la sera prima dell’orale, causandomi sedici fratture e poi facendomi causa per i graffi allo sportello. Ha perso male e, anni dopo, con il risarcimento ho mollato il lavoro e scritto il mio secondo romanzo». Poi aveva corretto: via Pontaccio, non via Broletto, e - su suggerimento del padre che ha la cartella clinica - le fratture erano otto. L’ho cercato perché mi piace un sacco quest’idea che una grande sfortuna, quella che ti ruba l’estate della maturità, si possa trasformare in un momento di svolta.
Vincenzo Latronico sorridente a Berlino con la sua Vespa sprint veloce del 1975, regalo di suo padre © Clara Miranda Scherffig


Vincenzo però è stato meno netto di me su questa teoria secondo cui le cose negative poi possono rivelarsi di segno opposto: «Oggi ti posso dire che le conseguenze dell’incidente sono state positive perché il mio ultimo romanzo è andato molto bene, ma forse se me l'avessi chiesto tre anni fa, quando ero paralizzato e non riuscivo a scrivere, ti avrei risposto: se fossi rimasto in Università forse adesso sarei professore…». Certo è sempre una questione di prospettive, ma per me la teoria di Cohen che cito spesso, della crepa e la luce, è sempre vera. Oggi Vincenzo va in giro per Berlino con una Vespa sprint veloce del 1975, color verde smeraldo, era di suo padre che gliel’ha regalata quando ha compiuto trent’anni.

 

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