Asterischi e schwa, l’Accademia della Crusca smonta il politically correct: «No all’introduzione artificiosa di segni grafici frutto di un’ideologia» ma alla matrurità lo usano lo stesso

   A  voi  che  leggerete  questo  post   potete  pure  darmi    del retrogrado  ,    dell'antico  ,  ecc . Ma  qui  non  si tratta  di chiusura   mentale     \  culturale  ,   e  non volermi adeguare  ai tempi che  cambiano  . ma  di  buon senso  .  Infatti  va bene che la lingua si evolve e cambia  ,  cosi  come   debba essere usata per includere non per dominare  e quindi   << Benissimo l’intento di far sentire rappresentati nella lingua tutti i generi e gli orientamenti>> . Ma c'è modo e mondo e modo di farlo perchè  un modo  è farlo  senza   capire    cosa  si sta  cambiando    un  alro   è  distruggere  semplicente    Ecco   che   reputo   
 
come credo anche   l'accademia dela  Crusca    (  vedere  articolo sotto risalente  al  20\3\2023   ma  ancora  valido ed  attuale  visto  l'andazzo  conformistico    dimostrato  anche     alla  maturità     )   il  gesto di       che  alla  maturità , ne  ho parlato precedentemente    qui ,  nello  scritto   d'italiano  ha usato lo  schiwa   come  una provocazione  conformista   di  un necessità   comprensibile  ed  giusta   ttrasformatasi in moda   ed  in obbligo  sociale  .

di https://www.open.online/z20 MARZO 2023 - 07:47IO

Asterischi e schwa, l’Accademia della Crusca smonta il politically correct: «No all’introduzione artificiosa di segni grafici frutto di un’ideologia»





IL parere dei linguisti alla Corte di Cassazione prende di mira anche la duplicazione dei generi. Incoraggiato invece l’uso al femminile del nome delle professioni



Basta con schwa ed asterischi. E pure, se possibile, alla duplicazione dei generi, care italiane e cari italiani. L’Accademia della Crusca esce allo scoperto e dice la sua sul dibattito politico-linguistico che divide il Paese: da un lato chi vorrebbe innovare la lingua e la sua scrittura per depurarlo dal recondito retaggio maschilista, con proposte fonetiche e grammaticali più o meno azzardate; dall’altra chi, più o meno riconoscendo la critica d’insieme, rifiuta di rimettere mano a dizionario e manuali di scrittura distorcendo la lingua di Dante. Rispondendo a un quesito posto dal comitato pari opportunità della corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari, gli esperti “custodi della lingua” entrano nel vivo della questione, e sembrano propendere decisamente per la linea “conservativa”. Con motivazioni puntigliose. A riportare stralci del parere dell’Accademia è oggi, lunedì 20 marzo, il Corriere della Sera. «I principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali», punge la Crusca, che pure riconosce come «queste mode hanno d’altra parte un’innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata». Il riferimento, neppure troppo implicito, è all’offensiva culturale progressista sugli usi della lingua che dall’America si è diffusa ormai da diversi anni in Europa, compresa l’Italia. Che fare dunque, all’atto pratico? Senza dubbio, dice l’Accademia, scordarsi di introdurre nuovi segni fonetici “fuori luogo” come schwa o asterischi. «È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (“Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…”). Lo stesso vale per lo scevà o schwa». Obiettivi colpiti e affondati.


In genere non ci esponiamo

Ma c’è un’altra usanza linguistica che trova sempre più fortune in chiave politically correct che fa inorridire i linguisti. Benissimo l’intento di far sentire rappresentati nella lingua tutti i generi e gli orientamenti, osserva nel parere l’Accademia, ma lo strumento migliore per conseguire quest’obiettivo non può essere «la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi» – “care italiane e cari italiani”, per l’appunto, o “amiche e amici”. La strada maestra da seguire è invece quella dell’utilizzo di «forme neutre o generiche (per esempio sostituendo “persona” a “uomo”, “il personale” a “i dipendenti”), oppure (se ciò non è possibile) il maschile plurale non marcato». L’altra modalità che l’Accademia raccomanda per garantire la rappresentatività di genere della lingua è quella di «far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile»: architetta, sindaca, magistrata etc. Una parola infine l’Accademia della Crusca la spende anche sull’uso di articoli davanti al nome di persone note o meno (“la Meloni” e “la Schlein”, ma anche “la Giulia” o “l’Alvise” di molte parlate regionali). «Oggi è considerato discriminatorio e offensivo – osservano gli esperti – Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto».


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