le bugie del potere l'andrangheta in sardegna Incontro con Nello Trocchia e Cecilia Anesi a cura di Pablo Sole e Diego Gandolfo bookolica 2023

 fra  gli incontri  serali   di bookolica   ed  2023 Il Festival dei Lettori Creativi cioè 


​​Uno spazio protetto dove sprigionare le moltitudini che abitano ognuno di noi, sperimentando il linguaggio dell’arte.Uno stimolo alla condivisione, per muoversi verso l’Altro in un atto di autodeterminazione
Una tensione esplosiva e vibrante.Un istinto di contatto tra espressioni artistiche. ... . Tutto questo è Bookolica per  ulteriori  approfondimenti https://www.bookolica.it/festival

 



si è svolto   l'incontro  dal titolo  LE BUGIE AL POTERE – Il giornalismo d’inchiesta Incontro con Nello Trocchia e Cecilia Anesi a cura di Pablo Sole e Diego Gandolfo .  A   seguire    (  ne parlo  e  lo  documento  con  video  nel post  successivo ,   per  non appensantire  troppo  )          si  è  svolto  il concerto un  Live concert Musiche originali di Angelo Trabace (pianoforte) e Alessandro Trabace (violino elettrificato).   IL  primo incontro     Incontro con Nello Trocchia e Cecilia Anesi a cura di Pablo Sole e Diego Gandolfo




Siè  presentato  un    ottimo  giornalismo d'inchiesta     di legalità    .  Infatti lo stesso  giornalista    ha  parlato  dela  sua     dell'inchiesta     pestaggi  nel  carcere     di Santa maria  capus  a Vetere    avvenuti  due  anni    fa     ed i  tentativi    per  insabbiarla  e  sminuirla     ed  i perchè voglio  abolire    il  seppur  blando   rispetto alle doirettive  Comunitarie   il reato di  tortura   .  Successivamente  ha    parlato     della sua  inchiesta     su  casa monica  e la  mafia   a  roma  . Ed  ha  criticato  la  pessima decisione  della  cassazione  di non considerare   l'inchiesta  Bruzzi  \  carminati  sul mondo  di mezzo     come 
mafia  .  La  giornalista    ha   parlato       dell'inchiesta   https://indip.it/ndrangheta-in-sardegna/  sui  rapporti  , ormai non più  solo semplice  penetrazione  e infiltrazione  nella  speculazione  edilizia  e  appalti     sulle  coste  per  riciclare    i  soldi sporchi .   Sia  la  prima  che  la seconda     inchiesta  di      hanno   messo   in  evidenza  un forte  senso della legalità ed   di vera  antimafia  . Infatti  è  antimafia      sia    parlare   denunciare  ed  spiegare perchè   a  roma  ed  milano     i  soldi   diventano puliti   e  creano  richezza   con  attività legali   e pulite   ma  lo  stato   sta  zitto   e reprime  solo   quella  piccola   cioè al sud  . Ci vuole  coraggio  soo a parlarne  ed   smontare   i miti    ome  quello    che   la Sardegna godesse di una speciale immunità nei confronti della criminalità organizzata. Infatti   <<    La tipicità della cultura sarda e il “fiero” isolamento hanno di fatto ostacolato l’insorgenza nel tempo di organizzazioni criminali con le connotazioni proprie dei sodalizi mafiosi": isolati anche nella criminalità, quindi. Così inizia la descrizione della Sardegna nell'ultimo report semestrale della Direzione investigativa antimafia. "L’isola è tuttora estranea a tali paradigmi criminali", prosegue il report, "e non esiste una forma di criminalità gerarchicamente strutturata in grado di determinare assoggettamento ed omertà dal vincolo associativo. Sussistono, per
contro, aggregazioni locali che, per un modus operandi e finalità, sono riconducibili a forme di criminalità comune". Certo, le infiltrazioni esistono. Ma a prevalere sono "manifestazioni delinquenziali di matrice autoctona con caratteristiche proprie, che talora si relazionano con le proiezioni criminali provenienti dall’esterno, ma che continuano a presentare differenze dai sodalizi di tipo mafioso e, in particolare, non ricercano quel controllo egemonico e pervasivo del territorio". >> (  Così inizia la descrizione della Sardegna nel   report semestrale della Direzione investigativa antimafia  del 2019  )  oppure  si   è   convinti     delle  teorie   di Pino Arlacchi «Perché non c’è la mafia in Sardegna», Pino Arlacchi inserisce l'isola nel dibattito internazionale in corso negli ultimi decenni su alcune caratteristiche della vendetta valide in contesti molto differenziati. La matrice pastorale, la debolezza dello Stato, la bassa densità demografica, l’esasperata sensibilità alle offese personali e infine la tendenza alla vendetta che produce un numero sproporzionato di omicidi sono fenomeni riscontrati anche in vasti territori del Sud degli Stati Uniti. Eppure la descrizione sembra essere ritagliata perfettamente sulla Sardegna pastorale. Lo fa notare Arlacchi citando Nisbett e Cohen e il loro studio del 1996 sulla cultura dell’onore e sulla psicologia della violenza appunto nel Sud degli Usa. Secondo Arlacchi il bisogno di vendetta è parte integrante del nostro impegno nella vita e può essere uno stimolo positivo verso la ricerca della giustizia. Il bisogno di vendetta sarebbe l’esatto opposto dell’indifferenza, dell’egoismo. Insomma, dell’omertà. Ecco dunque la tesi centrale del libro: il profondo senso di auto-giustizia dei sardi derivante dalla mentalità della vendetta, teorizzata da Antonio Pigliaru, ha impedito al potere mafioso di mettere radici nell’isola. «E’ estranea alla mentalità sarda - scrive Pino Arlacchi - la passività, l’accettazione rassegnata del torto e dell’umiliazione grave che hanno afflitto i territori della mafia».Il volume reca il titolo significativo “Perché non c’è la mafia in Sardegna" e costituisce una presa d’atto importante, per distinguere i connotati di una regione mediterranea, che pur avendo legami correnti con il resto dell’Europa, mantiene un ruolo assolutamente originale riuscendo a coniugare le proprie antichissime radici di eminente civiltà pastorale con il progresso, la modernità, la globalizzazione.Se poi si aggiunge che i fenomeni della delinquenza organizzata di tipo mafioso, nonostante i tentativi di colonizzazione, non hanno avuto mai la possibilità di realizzarsi in questa terra, a causa della persistente attitudine alla costante resistenza contro le dominazioni (secondo una tesi ampiamente accreditata sul piano storico-scientifico e segnatamente riaffermata dal noto archeologo Virgilio Lilliu, per il quale ” i sardi, nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni, sono riemersi costantemente nella fedeltà alle origini autentiche e pure”), si delinea un quadro di civiltà autoctona, che costituisce un’eccezione rimarchevole nel panorama generale, piuttosto deprimente, delle connessioni tra mafia, affari, politica, economia, che non hanno risparmiato neppure regioni ritenute apparentemente impermeabili a tali infiltrazioni criminali, come per esempio la Val d’Aosta.  E la  si descrive   solo come  un fenomeno  esterno ed  importato   . Eppure proprio sull’isola, negli ultimi venticinque anni, le cosche della Locride hanno coltivato rapporti privilegiati, stretto mani e contribuito a stabilire un asse del narcotraffico tra i più efficaci e preziosi. Marijuana in cambio di cocaina, soldi in cambio di armi, legami familiari in cambio di lealtà incondizionata. Così la criminalità sardaha  fatto o  sta  facendo   ulteriormente    il  salto di qualità   dai sequestri di persona     e   delle rapine  ai  portavaloti      fino   a diventare  «un mercato nel quale entrare, con la propria organizzazione e struttura logistica, per la vendita di sostanze stupefacenti e dove espandere i propri commerci illeciti, sia individuando nuovi canali di smercio sia iniziando ad effettuare importazioni di rilevanti quantitativi, creando quindi una nuova “rete” di affari”», scriveva la Direzione investigativa antimafia in una relazione al Parlamento del 2021.  Ma    ancora    il mito    resiste   . Infatti    neppure i sardi  ( la  maggior   parte   )  si sono accorti della presenza della ‘ndrangheta in Sardegna. La vulgata è che «non chiederesti mai il pizzo a un sardo», come si suole ripetere dalla Barbagia al Campidano quando se ne parla. E difatti non è questo il caso. La ‘ndrangheta sull’isola arriva su invito e qui si sente a casa, per assonanza d’intenti e radici. Un’alleanza criminale ormai solidissima   come  dimostra      l'inchiesta ancora  in corso  prima  citata e unisce due mondi del crimine molto diversi eppure legati da un filo, quello di venire da regioni poverissime in cui la pastorizia è spesso l’unica attività possibile e in cui, fortissimo, si sente un vuoto: l’assenza dello Stato.


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