BIBBONA. Gli ha fatto la prima carezza con la mano sinistra, così da sentire il calore della pelle a contatto con la sua. Era il 1991 e i due se ne stavano nascosti all’ombra del vecchio centralino del centro protesi di Budrio, in Puglia. Cinzia D’Amicis aveva appena 22 anni; Raffaele Indresano, invece, ne aveva già 33.
A farli conoscere sono state le loro sfortune, sebbene poi il gioco assurdo della vita le abbia trasformate nelle loro fortune: entrambi disabili, privi ciascuno di un arto, hanno incrociato il loro sguardo proprio nel centro Inail pugliese. «È stato un colpo di fulmine», dice lei. Si sono baciati per la prima volta lì, all’ombra del centralino, per poi sposarsi il 27 marzo di venticinque anni fa. Per festeggiare queste nozze d’argento ci sono anche i loro due figli, voluti fortemente e infine adottati tra Europa e Africa. In quel lontano 1993 infatti le rivincite sul destino erano appena iniziate. Non mancano le sfaccettature per raccontare la famiglia Indresano. Una sono le loro origini, visto che i quattro componenti provengono da altrettanti Paesi: Raffaele è nato a Livorno, Cinzia in Australia benché già da piccola si sia trasferita in Puglia, il figlio maggiore Cristian è nato in Bulgaria e quelli minore Andrea in Etiopia. Oggi vivono tutti a La California e guardandosi indietro Cinzia non può fare altro che sorridere. «Io e mio marito siamo stati pionieri della disabilità di coppia – dice – A casa nostra puoi trovare carrozzine, protesi di gambe e braccia, ma per noi e per i ragazzi è tutto normale: è più facile vivere senza un arto che senza amore». Normale, concetto che è cambiato radicalmente nel corso degli ultimi decenni. Raffaele e Cinzia hanno toccato personalmente questa trasformazione. «Venti anni non si parlava adeguatamente di invalidità – racconta la donna – Le persone erano a disagio e venivi trattato diversamente, seppur con buone intenzioni. Oggi invece la disabilità è all’ordine del giorno». Nel mezzo però è passato un quarto di secolo di ostacoli e rivincite. «L’importante è non disperare», dicono. Raffaele e Cinzia tengono a riportare la loro testimonianza così da dare una speranza a chi si trova oggi di fronte a quegli stessi ostacoli. Lui ha perso una gamba sul lavoro, quando un macchinario agricolo gliel’ha portata via; lei è nata priva dell’avambraccio sinistro a causa di una dispersione di materiale radioattivo. Nel ‘91 erano a Budrio per fare nuove protesi e due anni dopo si sono sposati. Poco tempo dopo è nata in loro la voglia di avere dei figli. «La voglia di lasciare qualcosa al domani», per dirla come Cinzia. Ma né la natura né la fecondazione assistita sono riuscite a far loro questo dono. Allora è nata l’idea dell’adozione e con essa nuovi ostacoli. «Ero convinta che proprio a causa della nostra disabilità non ce li avrebbero mai concessi, mentre mio marito era sicuro che ce l’avremmo fatta». E aveva ragione lui. Con la stessa tenacia hanno affrontato i mostri della burocrazia e ore di sedute psicologiche, ma alla fine è arrivato il via libera. Nel ‘97 la coppia è volata a Sofia per Cristian, tre anni dopo è arrivato Andrea da Addis Abeda: il primo ha 22 anni e segue il corso d’infermieristica, il secondo ha 17 anni ed è iscritto a ragioneria. Entrambi sono volontari della Pubblica Assistenza
di Bibbona. «Sono la nostra forza», dice la madre, preparandosi a festeggiare le nozze d’argento. Un evento che merita i migliori auguri, ma Raffaele e Cinzia sanno affrontare il destino anche senza. Noi però glieli facciamo lo stesso.
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