Le storie 22\3\20118 d'oggi sono : di rinascità da un handicap e di come un handicap possa essere anche un qualcosa che ti permette di sviluppare ptenzialità . la storia di Serena Mancino di Massa Finalese .. di speranza e d'amore la storia di Luliet e Best, dall’Africa a Lucca per inseguire l’amoreCelebrato il primo matrimonio fra due richiedenti asilo., di sportività \ fair play .
N.B
accusatemi pure per la seconda e la terza storia di buonismo e d'essere fra gli invasori . tanto sono accuse che mi scivolano e via ( metaforicamente parlando😀😁🤐🙂😉 ) chi mi segue su social oltre che qui sa che non lo sono del tutto . Ma certe storie in un paese dove a prevalere è la pancia più o meno velata ,nuovo razzismo più subdolo di quello classico , il nazionalismo esasperato che sconfina nella xenofobia , l'indifferenza quasi totale , aggressioni fisiche e verbali , ecc benvengano storie come queste
Adesso dopo quuuuuuo spiegone
La prima è una storia simile alla mia cui convivo da 42 anni . Infatti Essendo mezzo sordo , ed rischiando causa otite da colesteatoma mal curata , da quando avevo 6 mesi di diventare sordo completamente , capisco benissimo le sensazioni e ele emozioni provate dalla protagonista della storia ( una delle tante di chi disabile non s'arrende e lotta contro le difficolta del proprio handicap potenziando altre caratteristiche ) tratta come le altre del post d'oggi dalla solita pagina facebook di geolocal più precisamecte da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca che sotto riporto
N.B
accusatemi pure per la seconda e la terza storia di buonismo e d'essere fra gli invasori . tanto sono accuse che mi scivolano e via ( metaforicamente parlando😀😁🤐🙂😉 ) chi mi segue su social oltre che qui sa che non lo sono del tutto . Ma certe storie in un paese dove a prevalere è la pancia più o meno velata ,nuovo razzismo più subdolo di quello classico , il nazionalismo esasperato che sconfina nella xenofobia , l'indifferenza quasi totale , aggressioni fisiche e verbali , ecc benvengano storie come queste
Adesso dopo quuuuuuo spiegone
La prima è una storia simile alla mia cui convivo da 42 anni . Infatti Essendo mezzo sordo , ed rischiando causa otite da colesteatoma mal curata , da quando avevo 6 mesi di diventare sordo completamente , capisco benissimo le sensazioni e ele emozioni provate dalla protagonista della storia ( una delle tante di chi disabile non s'arrende e lotta contro le difficolta del proprio handicap potenziando altre caratteristiche ) tratta come le altre del post d'oggi dalla solita pagina facebook di geolocal più precisamecte da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca che sotto riporto
Carpi, guarisce dalla sordità grazie al Ramazzini: «Prima non sentivo, ora dipingo il suono»
Équipe ha ricostruito la capacità uditiva di Serena Mancino di Massa Finalese La madre: «È stata un’emozione fortissima. Una rinascita per mia figlia»
di Serena Arbizzi
CARPI. È nata senza il dono dell’udito. Ora che, dopo un intervento all’ospedale Ramazzini, ha conquistato la capacità di sentire, dipinge i suoni. E la sua vita è diventata un tripudio di colori. Tanto che ha deciso di mettere a frutto le sue abilità artistiche per realizzare quadri dai colori sgargianti.
Serena Mancino ha 33 anni e ha occhi vispi e coraggiosi. Serena, residente a Massa Finalese, è nata con un’ipoacusia bilaterale profonda. Non sentiva e, di conseguenza, non potendo sentire, non riusciva a riprodurre il linguaggio. Negli anni è stata seguita dal servizio di logopedia dell’ospedale di Mirandola. È sempre stata inserita tra gli udenti perché le è stato insegnato il linguaggio verbale piuttosto dei segni. E ha sempre coltivato curiosità verso il mondo che la circonda. Ha studiato per diventare grafica pubblicitaria, poi, all’università in un primo tempo ha scelto di iscriversi al Dams. Poi, su consiglio dei servizi sociali si è candidata alla prova per l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ed è stata presa. qui le cose diventano più difficili e Serena si avvilisce. Poi, conosce Andrea: i due si innamorano e decidono di costruire un futuro insieme.
video a cura di Tecla Biancolatte
Questo, per Serena, significa imprimere una svolta: affrontare un intervento al Ramazzini in cui le è stato innestato un impianto cocleare. Questo impianto è un orecchio artificiale elettronico con cui si riesce a ripristinare l’udito in chi soffre di sordità profonda. Dopo l’intervento, effettuato dal dottor Maurizio Negri del Ramazzini, e con l’assistenza della logopedista Paola Benincasa, Serena per la prima volta ha potuto sentire la sua voce. E anche gli altri suoni. «La mia è una storia felice - confida Serena - Ora sento i rumori e adesso so perché a mia mamma veniva da piangere ascoltando la radio. Finalmente so che rumore fanno i colori, che per anni sono rimasti sepolti dentro di me, qualche schizzo qua e là perché io, prima di sentire dalle orecchie, sentivo con il cuore, che parla una lingua tutta sua, talvolta difficile da far comprendere agli altri. Ora dipingo il suono e quello che sento posso farlo ascoltare anche agli altri con i miei quadri, i miei colori, la mia fantasia. Per questo mi piace che quando chi guarda un mio quadro mi ascolti prima con il cuore poi con le orecchie». E Serena la scorsa settimana ha donato un coloratissimo quadro a Nicoletta Pavarotti, vedova del tenore.
«Impossibile descrivere a parole quello che abbiamo provato quando Serena ha potuto ascoltare per la prima volta la sua voce - racconta, emozionata la madre della donna, Daniela Bonfatti - Nel momento in cui si è acceso l’impianto il suono per lei è stato una specie discarica elettrica e ha sentito subito gli acuti. Saltava quasi sulla sedia. Non ringrazierò mai abbastanza il dottor Negri e la dottoressa Benincasa per quanto hanno fatto».
http://iltirreno.gelocal.it/lucca/cronaca/2018/03/22/
LULIET E BEST, DALL’AFRICA A LUCCA...
Luliet e Best, dall’Africa a Lucca per inseguire l’amore
Celebrato il primo matrimonio fra due richiedenti asilo: ecco la loro storia
di Marco Tirinnanzi
LUCCA. Ci sono persone che nascono per stabilire primati, pur non volendolo affatto. Best Ogun, nigeriano classe 1988 è uno di questi: è stato il primo richiedente asilo ad essere accolto a Lucca, il 14 aprile del 2014, insieme ad altri 15 nigeriani, due mesi prima che aprisse la tensostruttura della Croce Rossa alle Tagliate. Ed è anche il primo che, ieri mattina in comune si è sposato con rito civile, officiato dall'assessora al sociale Lucia Del Chiaro. Ha già esaudito due sogni Best, che agli occhi dei più possono apparire scontati: poter vivere, fuggendo dalla povertà; e sposarsi con la donna che ama, Juliet Okan, anche lei proveniente dalla Nigeria. Se l'è vista brutta però il trentenne africano, perché nel 2015 il Tar di Firenze ha bocciato la sua domanda, presentata subito dopo l'arrivo a Lucca, per il permesso di soggiorno. Ha dovuto aspettare un anno, ma alla fine il permesso, quello per motivi umanitari, è arrivato. Adesso la coppia aspetta un bambino e ha una casa in affitto a Monte San Quirico, e un lavoro: alzarsi alle 5.30 del mattino e pagare le bollette sono gesti che per Best e sua moglie non avranno mai il sapore della routine. «Sono in piedi presto, per andare a fare il giardiniere, ed è una bellissima soddisfazione - ci confida, in inglese, intorno alla tavola imbandita dell'Hotel Bernardino, in via di Tiglio -: in Nigeria facevo il contadino, e poter arrivare in Italia per me è stato un sollievo. Amo Lucca e i lucchesi, che mi hanno accolto così bene. Non la lascerei per niente al mondo. In Africa ero preda della disperazione, per colpa della fame e della povertà. Sono orfano e non ho fratelli. E l'amore di Juliet, seppur a distanza, mi ha dato forza».Lei tuttavia ha seguito un percorso diverso da quello di Best: è partita dalla Nigeria, direzione Canarie. Niente traversata della Libia, per poi salpare alla volta di Lampedusa. Juliet, di un anno più piccola, con un regolare permesso di soggiorno, ha trovato occupazione in un negozio di frutta e verdura nell'arcipelago spagnolo, ma «non ho smesso di pensare a Best, nemmeno per un secondo», dice, con la voce rotta dall'emozione. A colmare la distanza tra l'Italia e quel gruppetto di isole nell’oceano atlantico, i social network: i due, quando hanno un attimo libero, non fanno altro che scriversi, e tenersi in contatto. Lui è a Lucca, ma col cuore è a Tenerife. Vuole farsi spedire il passaporto dalla Nigeria, per avere il nulla osta dall'ambasciata, preparare le carte e, una volta fatta arrivare in Italia colei che ha scelto per la vita, potersi sposare. Ma qualcosa va storto in Africa: all'addetto che si occupa di spedire i documenti all'estero di Best viene rubato il borsone. L'amore però vince anche sulle disavventure, e dopo qualche mese la documentazione giunge sotto le Mura. Nel frattempo Juliet arriva in Italia, nell'ottobre dell'anno passato.A questo punto non resta altro che preparare il matrimonio. Davanti all’assessora Del Chiaro, a Palazzo Orsetti: un rito civile, anche con il classico lancio del riso, celebrato di fronte agli amici che con Best hanno compiuto il viaggio fino a Lucca. E con al fianco quelli che qua gli sono stati accanto, fin dal principio: Silvia Lencioni e Manuel Impellizzeri del Gvai (gruppo volontari accoglienza migranti), ma anche Massimo Cesaretti e Karina Geurts, coloro i quali, toccati dalla storia di Best e Juliet, si sono prodigati affinchè i due potessero, una volta sposati, avere già un tetto sopra la testa e un’occupazione, soprattutto. «Ancora, dopo quattro anni, si meraviglia di poter recarsi, in tutta tranquillità, al supermercato - ci dice il signor Cesaretti, con la moglie, la signora Geurts -: ha seguito anche le elezioni tenutesi in Italia. Per loro era impensabile andare a votare senza avere un fucile puntato alla testa. Spesso sentiamo dire che il nostro è un paese in cui niente funziona, e ce ne lamentiamo: quando lo dico a Ben e Juliet si mettono a ridere: un paese messo male sul serio, ci rispondono, è dove per un nonnulla ti sparano in cortile». Un matrimonio dal sapore speciale anche per l'assessora Del Chiaro quello celebrato ieri, molto più dei “soliti” norvegesi che in estate scelgono Lucca, rapiti. «Ben e Juliet entrano a far parte della nostra comunità - afferma l'assessora - e non sono certo di passaggio, come i turisti - ben vengano - che prediligono Lucca per il loro matrimonio dopo un soggiorno in città. Loro vogliono costituire una famiglia nuova qui: Juliet
è già in attesa di un figlio. L'aspetto singolare è che hanno giurato davanti a testimoni italiani, e intorno a loro c'erano gli amici nigeriani: un bell'esempio d'integrazione. La strada quindi è già tracciata: speriamo che questo sia il primo di una lunga serie di matrimoni».
Trova il portafogli dell’avversario e glielo riporta: gli offrono un lavoro
Il calciatore ivoriano della Vaianese Impavida Vernio trova e restituisce all’avversario del Folgor Marlia il portafoglio smarrito. La ricompensa è un lavoro
di Luca Tronchetti e Marco Tirinnanzi
VAIANO. L’altra faccia del pallone ha il sorriso dolce di Jean-Marc M’Boua, 20 anni, nato a 7500 chilometri dal Bel Paese che conosce meglio di tanti nostri connazionali il valore della parola onestà. E allo stesso modo ha il volto pulito di Andrea Della Maggiora, 19 anni, studente in medicina al primo anno che vive nel Compitese e sa dare il giusto peso alla parola riconoscenza. Accade così che un ragazzo di 20 anni che ha lasciato la Costa d’Avorio per sfuggire alla guerra e alla fame dopo una partita di calcio del campionato di Promozione trovi per terra un portafogli perduto dal giocatore di una squadra avversaria accanto allo spogliatoio. Ci sono soldi, carte di credito e documenti. Altri al suo posto ne avrebbero approfittato. Lui no. Decide che deve restituire quel denaro e tutto al resto al legittimo proprietario.
Jean-Marc M’Boua (Impavida Vernio Vaianese) e Andrea Della Maggiora (Folgor Marlia)
E così l’indomani si alza alle 8 del mattino, prende il treno da Prato e si dirige verso Lucca percorrendo a piedi una decina di chilometri alla ricerca di quell’indirizzo impresso sulla carta d’identità. Alla fine riesce a trovare una traccia, il campo di calcio in cui si allena la squadra del coetaneo, si fa dare il numero di telefono e riconsegna il portafogli con il denaro. L’abbraccio tra i due è scontato. Ma la storia non finisce lì. Perché Andrea, dopo aver accompagnato alla stazione Jean Marc e avergli offerto una piccola ricompensa, la sera parla di questa piccola grande storia al padre, direttore del personale di un’azienda di Cremona che produce vassoi in polistirolo. Il manager, 54 anni, resta a bocca aperta e si fa dare subito il numero di cellulare di quel ragazzo dal cuore grande. Non solo si complimenta per il suo gesto e si mette a sua disposizione, ma gli offre un posto nell’azienda lombarda.
I FATTI. Domenica scorsa, 18 marzo, si gioca a Vernio la partita tra Impavida Vaianese e Folgor Marlia. L’ivoriano M’Boua - che sogna di emulare Daniele De Rossi - entra nel finale, Della Maggiora - ex giovanili della Lucchese e che s’ispira ad Andrea Pirlo - è centrocampista titolare della Folgor Marlia. La partita finisce 2-2. I ragazzi della formazione della Piana sono venuti con 5-6 auto. Ma quando Andrea torna nella sua abitazione di Pieve di Compito, si accorge che non ha più il portafoglio: «Ho chiamato il mio compagno di squadra con cui ero arrivato a Vernio in auto per chiedergli se il portamonete era finito sotto il sedile. Niente da fare. Allora ho chiamato il direttore sportivo Piero Martinelli affinché telefonasse alla sede della formazione pratese:. Nulla da fare».
IL RITROVAMENTO. A fine partita uscendo dallo spogliatoio Jean-Marc nota un portafoglio caduto da qualche tasca. Lo apre, e dentro ci sono 145 euro in contanti, oltre ai documenti. Ma nessun numero di telefono. È tardi e non c’è più nessuno: «La notte non ho chiuso occhio. E l'indomani il primo pensiero è stato quello di andare a Lucca e trovare Andrea per rendergli il portafoglio». È felice adesso Jean Marc M'Boua, il calciatore ivoriano classe 1998, centrocampista della Vaianese Impavida Vernio, dopo che è riuscito a restituire documenti e soldi al suo legittimo proprietario. Il viaggio per arrivare a Lucca è stato quasi un'odissea, ma non certo paragonabile alla traversata che lo ha portato in Italia il 23 settembre del 2016, giorno del suo compleanno.
LA STORIA. Jean Marc è salpato dalla Libia, per sfuggire alla guerra e alla fame di Abidjan, capitale della Costa D'Avorio. Là, in Africa, ha lasciato 4 fratelli e i genitori. E’ partito con 5 amici, che proseguiranno verso la Francia. «Io ho deciso di restare in Italia, un Paese che fin da piccolo ho sempre amato. Dopo 3 settimane in Sicilia sono arrivato a Prato, dove sono stato accolto dalla Coop 22 onlus. Il calcio è la mia passione, giocando mi dimentico i problemi». Lo nota l'Impavida, che da quest'anno lo piazza in mezzo al campo.
IL VIAGGIO. Jean Marc legge la carta d'identità e vede che il ragazzo vive a Lucca, in via di Tiglio. Lunedì mattina alle 8 parte dalla stazione di Prato Centrale e alle 11 giunge in piazzale Ricasoli. Si ferma e sul cellulare digita la via che trova sul documento: sono 19 minuti a piedi. Per un tratto la percorre ma si perde tra i civici, anche perché Andrea abita alla Pieve di Compito, non proprio dietro l’angolo. Non si perde d'animo e stavolta cerca il campo sportivo di Marlia. Altra batosta: 32 minuti sempre a piedi, ma Jean Marc non molla come quando in campo rincorre gli avversari. Arriva allo stadio e la fortuna gli sorride: c'è il custode che, ascoltata la sua storia, chiama il mister della Folgor, Luca Barsocchi che lo mette in contatto con Della Maggiora.
L’INCONTRO. Marco ha perso le speranze di ritrovare soldi e documenti e sta per uscire di casa per fare denunciare alla stazione dei carabinieri di Pieve di Compito. «In quell’istante sul cellulare mi è arrivata la chiamata da un numero sconosciuto. Ho risposto e Jean-Marc, che tradisce le rietà
possibile». Sostesue origine con uno spiccato accento francese, mi dice che ha trovato il portafogli e si trova al campo sportivo di Marlia. Salgo in auto e in quarto d’ora sono in zona. Lui mi riconsegna il portamonete e mi dice subito che ha preso 25 euro per i biglietti di andata e ritorno e per un panino e un caffè al bar. Un’onestà e una lealtà che mi ha fatto riflette e che oggi è davvero merce rara. Confesso, mi sono commosso. Gli ho offerto 50 euro come ricompensa e l’ho riaccompagnato alla stazione. La sera ne ho parlato con mio padre. Si merita tutto l’aiuto e la solidagno che non tarderà: «Il babbo di Andrea mi ha chiamato - chiude Jean-Marc - e mi ha offerto un posto con lui. Tra un mese mi scade il permesso di soggiorno. Spero me lo possano rinnovare: sarei felicissimo di costruirmi un futuro in Italia».
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