la ricerca scientifica su fa anche fuori laboratorio
da repubblica del 09 aprile 2017
La farmacia nell'oceano: un biologo in surf a caccia di super batteri
Cliff Kapono studia l'acqua ingerita in mare, da lui e da altri atleti, e trova le nuove resistenze agli antibiotici
di GIULIANO ALUFFI
Cliff Kapono sul suo surf
ROMA - Silver Surfer, il glabro e argenteo personaggio della Marvel, non è l'unico surfista che si fa in quattro per difendere l'umanità. Ma mentre Silver Surfer combatteva il gigantesco Galactus, alla University of California di San Diego c'è un surfista con i dreadlocks, 29enne ricercatore in chimica, che vuole proteggerci da minacce ben più nascoste. Si chiama Cliff Kapono, è nato nell'isola di Hawaii e ha fondato un progetto che lo porta a cavalcare, con la sua tavola, i mari del mondo in cerca di batteri resistenti agli antibiotici: il Surfer Biome Project.
Kapono ci ha spiegato in che modo i surfisti possano aiutare la scienza. "Noi che abbiamo questa passione - io faccio surf da quando cammino perché è qualcosa di legato alla mia cultura, i nativi delle Hawaii sono stati i primi a stare in piedi sulle onde - abbiamo una caratteristica: entriamo a contatto con i milioni di batteri dispersi nell'oceano più di ogni altra categoria di persone, per la frequenza e la durata delle uscite in mare" spiega Kapono. "Per ogni uscita con la tavola beviamo in media 170 millilitri di acqua salata. Siamo esposti più di tanti altri a batteri potenzialmente nocivi, come mostrano studi dell'Università di Exeter". I surfisti sono un campione prezioso per studiare gli effetti del microbioma marino sull'uomo. "L'oceano è un ambiente ancora largamente inesplorato dai microbiologi - conosciamo meglio la Luna del mare profondo - e molto competitivo" sottolinea Kapono. "L'acqua facilita i contatti tra gli organismi, scatenando una lotta senza quartiere, combattuta a colpi di sostanze difensive. E di resistenze che evolvono in risposta, e richiedono ancora nuove armi chimiche". Succede così che certi microbi marini possano risultare resistenti agli antibiotici che si usano in medicina anche se non sono mai stati a contatto con farmaci prodotti dall'uomo: "La loro resistenza si è evoluta per sopravvivere agli organismi marini rivali, ma può proteggerli anche dai nostri antibiotici".
Ed ecco che vengono chiamati in causa i cavalcatori dell'onda. "Nelle viscere dei surfisti, i batteri provenienti dal mare possono rendere più resistenti - mediante il cosiddetto "trasferimento orizzontale" di geni - i batteri più "nostrani", come l'E. coli. O altri ancora più pericolosi che oggi teniamo a freno grazie agli antibiotici". Un rischio da prevenire, identificando in anticipo i batteri marini più resistenti. Prova a farlo il Surfer Biome Project lanciato da Kapono come estensione dell'American Gut Project, iniziativa di "citizen science" che chiede a chiunque voglia partecipare di passare dei tamponi sulla pelle, sugli occhi, sulla lingua e sulle feci e inviarli alla mia università, l'Ucsd, insieme a un questionario sulle abitudini di vita e sul luogo in cui si vive. "In laboratorio estraiamo il Dna dei batteri raccolti e lo sequenziamo, usando anche la spettrometria di massa per studiare le proprietà delle singole molecole di cui il batterio è composto. Così possiamo scoprire nuovi batteri resistenti agli antibiotici" spiega Kapono. "Cercando nuovi modi di usare questi strumenti, ho pensato di focalizzarmi sui surfisti. Raccogliendo campioni entro due ore dall'uscita dei surfisti, me compreso, dall'acqua in California, Marocco, Inghilterra, Irlanda, Hawaii".
Il progetto è iniziato a settembre 2016 e finirà quest'estate. "Per ora stiamo vedendo due cose: che i surfisti di ogni parte del mondo hanno un microbioma piuttosto simile, e che - seppure esposti all'incognita dei batteri marini- non accusiamo più infezioni delle altre persone". Chissà che non sia proprio il surf il migliore farmaco.
Cliff Kapono sul suo surf
ROMA - Silver Surfer, il glabro e argenteo personaggio della Marvel, non è l'unico surfista che si fa in quattro per difendere l'umanità. Ma mentre Silver Surfer combatteva il gigantesco Galactus, alla University of California di San Diego c'è un surfista con i dreadlocks, 29enne ricercatore in chimica, che vuole proteggerci da minacce ben più nascoste. Si chiama Cliff Kapono, è nato nell'isola di Hawaii e ha fondato un progetto che lo porta a cavalcare, con la sua tavola, i mari del mondo in cerca di batteri resistenti agli antibiotici: il Surfer Biome Project.
Kapono ci ha spiegato in che modo i surfisti possano aiutare la scienza. "Noi che abbiamo questa passione - io faccio surf da quando cammino perché è qualcosa di legato alla mia cultura, i nativi delle Hawaii sono stati i primi a stare in piedi sulle onde - abbiamo una caratteristica: entriamo a contatto con i milioni di batteri dispersi nell'oceano più di ogni altra categoria di persone, per la frequenza e la durata delle uscite in mare" spiega Kapono. "Per ogni uscita con la tavola beviamo in media 170 millilitri di acqua salata. Siamo esposti più di tanti altri a batteri potenzialmente nocivi, come mostrano studi dell'Università di Exeter". I surfisti sono un campione prezioso per studiare gli effetti del microbioma marino sull'uomo. "L'oceano è un ambiente ancora largamente inesplorato dai microbiologi - conosciamo meglio la Luna del mare profondo - e molto competitivo" sottolinea Kapono. "L'acqua facilita i contatti tra gli organismi, scatenando una lotta senza quartiere, combattuta a colpi di sostanze difensive. E di resistenze che evolvono in risposta, e richiedono ancora nuove armi chimiche". Succede così che certi microbi marini possano risultare resistenti agli antibiotici che si usano in medicina anche se non sono mai stati a contatto con farmaci prodotti dall'uomo: "La loro resistenza si è evoluta per sopravvivere agli organismi marini rivali, ma può proteggerli anche dai nostri antibiotici".
Ed ecco che vengono chiamati in causa i cavalcatori dell'onda. "Nelle viscere dei surfisti, i batteri provenienti dal mare possono rendere più resistenti - mediante il cosiddetto "trasferimento orizzontale" di geni - i batteri più "nostrani", come l'E. coli. O altri ancora più pericolosi che oggi teniamo a freno grazie agli antibiotici". Un rischio da prevenire, identificando in anticipo i batteri marini più resistenti. Prova a farlo il Surfer Biome Project lanciato da Kapono come estensione dell'American Gut Project, iniziativa di "citizen science" che chiede a chiunque voglia partecipare di passare dei tamponi sulla pelle, sugli occhi, sulla lingua e sulle feci e inviarli alla mia università, l'Ucsd, insieme a un questionario sulle abitudini di vita e sul luogo in cui si vive. "In laboratorio estraiamo il Dna dei batteri raccolti e lo sequenziamo, usando anche la spettrometria di massa per studiare le proprietà delle singole molecole di cui il batterio è composto. Così possiamo scoprire nuovi batteri resistenti agli antibiotici" spiega Kapono. "Cercando nuovi modi di usare questi strumenti, ho pensato di focalizzarmi sui surfisti. Raccogliendo campioni entro due ore dall'uscita dei surfisti, me compreso, dall'acqua in California, Marocco, Inghilterra, Irlanda, Hawaii".
Il progetto è iniziato a settembre 2016 e finirà quest'estate. "Per ora stiamo vedendo due cose: che i surfisti di ogni parte del mondo hanno un microbioma piuttosto simile, e che - seppure esposti all'incognita dei batteri marini- non accusiamo più infezioni delle altre persone". Chissà che non sia proprio il surf il migliore farmaco.
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