Il buon selvaggio La straordinaria vita di John Muir, ecologista e fondatore del parco nazionale di Yosemite Poteva essere milionario, scelse la Natura

dall'inserto robison  di questa  settimana di repubblica  

                                                    di Gabriele Romagnoli

Larger than life è un’espressione americana: indica una persona speciale e viene spesso tradotta con «incredibile» o « esagerata » . Non si rende l’idea, che è quella di estensione del confine della vita. Meglio sarebbe usare due parole, un nome: John Muir .
Lo scrittore francese Alexis Jenni gli dedica una biografia dal titolo Potevo essere milionario ho scelto di essere un vagabondo. Anche quest’ultimo vocabolo è insufficiente per definire il protagonista. Meglio fa Jenni quando scrive di lui che era « un uomo sotto forma di corrente d’aria che appare quando si crede di essere soli ». Di lui si è anche detto che è stato «ecologista ante litteram » , « padre del conservazionismo » , « fondatore del parco nazionale Yosemite » . Tutto vero, niente che sia abbastanza. Non bisogna immaginare questo barbuto di una certa stazza come un antenato di Greta, un portatore di messaggi dalla vecchia Europa (dove nacque) al nuovo continente americano ( che percorse). Non faceva proseliti, dava esempi. Avanzava per sé. Prima di poterlo seguire, agli altri toccava scovarlo. Perché la sua caratteristica principale era questa: scappava.
Da piccolo fuggiva da casa, oltre il giardino, con l’ingenuità e l’istinto che avrebbe passato al personaggio interpretato da Peter Sellers. Il piccolo John scavalcava la recinzione, negava il limite, cercava la meraviglia. Nel suo paese d’origine, in Scozia, gli hanno dedicato una statua che lo mostra bambino, arruffato, appoggiato a un bastone da cammino di quelli che si raccolgono sul sentiero. La sua vita è stata la proiezione di quell’immagine : è rimasto un ragazzino curioso, che inseguiva l’incanto con la fatica, ma senza sentirla. Lo scrittore francese Alexis Jenni lo definisce “un uomo sotto forma di corrente d’aria che appare quando si crede di essere soli . Scriverà infine il biografo che era «il dio dei bambini arrampicati e scavezzacollo, del salto mortale e del materasso di sicurezza » . Un essere benevolo, dunque, che non contempla il pericolo o la violenza, rifugge il male e la guerra (se non quella dei bottoni). Un eterno fanciullo, un buonissimo selvaggio. Muir è stato parte di un mondo e ne ha creato un altro.
Da piccolo, di notte, a letto accanto al fratello, immaginava di viaggiare, seguiva percorsi di fantasia fino a che non si addormentava. Da grande ha semplicemente realizzato un sogno. A cavallo tra due secoli ( Ottocento e Novecento) la Terra era ancora un pianeta esplorabile, bastava incamminarsi per avere sorprese. Ha ragione Jenni quando dice che per scrivere questa biografia si è rifiutato di andare allo Yosemite, che non ha voluto conoscere una California oltre quella dei film. Andandoci
oggi non vedrebbe certo i luoghi di Muir, ma la loro dilatazione a uso dei turisti, o meglio: delle foto dei turisti. Abbiamo ridotto il pianeta a una scatola cinese: vediamo la fotografia di un geyser e cerchiamo di andarci a riprendere davanti al geyser, ri- producendo esperienze.
Ai tempi di Muir la Terra era una scatola. Chiusa. Non sapevi ancora che cosa contenesse. Tutto stava succedendo. Il piccolo John divorò libri, ma decise che non gli bastavano per capire. La sua mente andava sempre oltre. Gli bastò un’infarinatura di meccanica per progettare una sveglia e poi un marchingegno demoniaco che nello stesso istante accendeva una lampada, concedeva una pausa per vestirsi, poi con una serie di scatti e cigolii porgeva un libro aperto. Dopo qualche minuto lo chiudeva, riponeva e passava a un altro, in armonia con ruote e ingranaggi post-leonardeschi che sincronizzavano l’esistenza del suo inventore ai doveri rendendolo uomo- macchina.
Di qui la prima parte del titolo: poteva essere milionario. Ma come ricorda Francesco De Gregori: «Tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi, la locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e cadere » . Questo decise la sorte di John Muir e di un bel pezzo d’America, quello di cui si innamorò e che salvò. Il « bisnonno di Steve Jobs » si lasciò alle spalle i congegni per amore di una palma nana e di mille altre specie. Divenne così famoso che il presidente Theodore Roosevelt volle campeggiare e fare trekking con lui. Sarebbe stata la perfetta trama di un film prodotto da Robert Redford: un weekend loro tre soli, il presidente, il selvaggio e la natura.
« L’uomo più libero che abbia mai incontrato », «il compagno più interessante e virile » diranno l’uno dell’altro. Sventato l’assideramento, Roosevelt il proclamò federale il parco di Yosemite. Una storia larger than life, incredibile e più.
Riesce Jenni a trovare le parole per raccontarla? A tratti. Quando non si ferma nel guado tra la tentazione giustificata di romanzare e il bisogno di documentare. Quando non lo assale il dubbio che bastino i libri scritti da John Muir stesso. E forse è davvero così. Era unico, anche nel descrivere il vento, perché era una corrente d’aria: gira le pagine, non ci resta dentro.

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