BAMAKO -
Miracolosamente sfuggiti alla furia iconoclasta dei gruppi jihadisti
che nel 2012 conquistarono Timbuctù, ventiquattromila preziosi
manoscritti sono oggi custoditi in una palazzina di due piani di un
quartiere periferico e malconcio della capitale Bamako. Ma a proteggere
questi codici miniati dal valore inestimabile, alcuni dei quali
risalenti all’XI secolo, non ci sono guardiani. «Non possiamo
permetterceli perciò, per non attirare ladri o malintenzionati, abbiamo
preferito non pubblicizzare il nostro centro evitando di apporre insegne
sull’edificio», spiega il direttore, Mohammed Diagayeté( foto a destra tratta da
https://iheriab.com/ )
lamentandosi
del fatto che nessun ente, fondazione o governo del pianeta finanzi il
suo “Institut des Hautes études et de recherches islamiques Ahmed Baba”.
Il quale sopravvive soltanto grazie ai sussidi statali di un Paese
povero come il Mali, funestato da una gravissima crisi economica e da
una decina di giorni governato da una giunta di colonnelli golpisti.
A mettere al sicuro gli antichi libri è stato Mohammed Al Kadi Maiga,
sorta di “monument man” maliano, da allora diventato il bibliotecario
dell’istituto. Al Kadi Maiga racconta che se l’avessero scovato mentre
infilava i manoscritti in grossi bauli di ferro per caricarli sui
pick-up per fuggire verso Bamako, gli islamisti gli avrebbero quantomeno
mozzato le mani. «Dei trentottomila volumi che erano conservati
nell’istituto di Timbuctù, i jihadisti ne hanno distrutti più di
quattromiladuecento. O meglio, hanno bruciato le copertine di migliaia
di manoscritti perché dopo essersi accorti del loro valore hanno
cominciato a smerciare di contrabbando pagina per pagina», spiega il
bibliotecario. E’ verosimile che tra i tagliagole di Al Qaeda che
invasero la città solo in pochi fossero in grado di capire che cosa
contenevano quei libri. «E per nostra fortuna hanno scoperto solo con
grande ritardo la sala del centro di Timbuctù dov’era conservata buona
parte dei manoscritti», aggiunge il bibliotecario. «Nel frattempo,
l’avevo quasi interamente svuotata, contando anche sull’aiuto di molte
famiglie che mi tenevano nascosti i libri nelle case, prima che potessi
trasportarli nella capitale».
L’autodafé più devastante fu perpetrato a fine gennaio 2013, subito
prima che la “città dei 333 santi”, com’era una volta chiamata Timbuctù,
fosse riconquistata dall’esercito lealista grazie all’intervento dei
caccia dell’aviazione francese. «Molti manoscritti furono bruciati per i
loro contenuti poiché trattavano anche di grammatica, botanica,
chimica, musica, letteratura, storia e astronomia. Quanto alle opere
teologiche, esse predicavano un Islam moderato, aperto e tollerante, che
era quello di un luogo dove per secoli si sviluppò una ricchissima
cultura afro-islamica e dove prosperò una società fondata sul diritto e
sulla giustizia, lontana anni luce dall’oscurantismo jihadista», dice
ancora Al Kadi Maiga, che nei tragici mesi in cui gli islamisti
distruggevano con cariche di esplosivo anche gli splendidi mausolei
riconosciuti come patrimonio mondiale dell’Unesco, riuscì spostare a
Bamako due terzi dell’intera collezione.
I manoscritti sono oggi conservati in scatole di cartone, fabbricate su
misura all’Institut. Per mancanza di spazio, due soli manoscritti sono
esposti sotto bacheca: il primo è un Corano del XVIII secolo con
meravigliose decorazioni che sembrano fatte da un pittore cubista;
l’altro, vergato con una grafia elegante e minuta, è un saggio di
diritto islamico, firmato e datato 1204. «Oltre alla catalogazione dei
manoscritti, ci occupiamo anche della loro digitalizzazione, che facemmo
in fretta e furia nel 2013, spaventati dall’eventualità ch questo
patrimonio potesse andare perduto. Ora, invece, possiamo operare con
tutta la calma e l’attenzione dovuta», dice il direttore Diagayeté,
mostrandoci le due stanze dove, al momento, è stato digitalizzato circa
l’8 per cento dei codici.
A Timbuctù, nel secolo d’oro dell’impero Songhai, che si concluse nel
1591, i suoi abitanti erano quasi tutti alfabetizzati e si contavano
scienziati che già scrivevano sull’emancipazione degli schiavi, sui
diritti delle donne o sulle gioie del sesso in seno alla coppia. I
trattati di filologia o di geomanzia, e quelli sui danni provocati dal
tabacco o sulla chirurgia ottica, dimostrano una straordinaria passione
per l’erudizione e per la sua trasmissione che sacralizzava le virtù
della conoscenza. «Alcuni manoscritti sono la testimonianza di antiche
lingue africane trascritte in arabo che si pensava fossero solo di
tradizione orale», dice Maria Luisa Russo, ricercatrice italiana
dell’Università di Amburgo e dell’Hill Museum and Manuscipt Library.
«Questi meravigliosi libri sono stati scritti per trasmettere un sapere e
per lottare contro l’ignoranza. Vanno difesi affinché la storia non si
ripeta».
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