Perché ancora tante processioni rendono omaggio ai boss? Che rapporto c'è tra crimine e religiosità? E la Chiesa, come si schiera? Un antropologo ha studiato il fenomeno. Intervista L'antropologo Berardino Palumbo, professore all'Università di Messina,

  un articolo  interessante questo del   Venerdì   di repubblica  del 7 agosto 2020 che  prova   a cercare  di capire  e  d'andare   affondo    sul brutto   fenomeno indpendentemente  dalla fede  o men di  una persona .
 
 
 
La Festa di Sant’Agata a Catania, nel febbraio scorso (Fabrizio Villa/ Getty Images)

 
 
 
Agosto è la stagione degli inchini. Con santi e madonne in processione che fanno la riverenza davanti alle case dei boss. Come ogni anno, l'Italia s'indigna e si domanda se sia meglio vietare o tollerare. L'antropologo Berardino Palumbo, professore all'Università di Messina, ha appena scritto Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose (Marietti 1820). E ci spiega il fenomeno.

Quali sono gli inchini più eclatanti, quelli che l'hanno spinta a scrivere questo libro?
"Quello di Corleone del giugno 2016, quando la confraternita fermò la Vara di San Giovanni Evangelista davanti alla casa di Totò Riina. E quello di Palermo del 2014, quando la Madonna del Carmine è stata inchinata a Ballarò davanti alla casa di un boss al 41-bis".

Dove avverranno i prossimi inchini?
"Non è prevedibile. Dall'esterno è difficile saperlo".

Queste forme di omaggio sono iscritte nella logica del rito o sono delle forzature?
"Sono gesti ad assetto variabile. Nell'agosto 2013, il neoeletto sindaco di Messina, il pacifista e buddhista Renato Accorinti, si è trovato a fare una delle sue prime uscite pubbliche in occasione della festa dell'Assunta. Indossò la maglietta con il logo dell'associazione Addio Pizzo, più volte minacciata dalla mafia, facendo capire chiaramente da che parte stava. Salì sulla macchina della Vara per occupare il posto che gli spettava in quanto sindaco. Accanto a lui però si era piazzato il nipote del boss del principale clan locale".

È la stessa religione quella di chi sta con Libera e Addio Pizzo rispetto a quella di chi bacia le mani al padrino?
"La prima risposta che mi viene è no. L'attitudine del credente è diversa in un caso o nell'altro. Ma la Chiesa cattolica è così complessa e inclusiva che riesce a tenere insieme entrambi".

Davanti agli inchini ogni anno l'Italia si indigna. Si indignano nella stessa misura anche i locali?
"Nel Mezzogiorno molti si indignano, altri fingono di indignarsi ma poi alla fine fanno parte del fenomeno. Esistono tanti posizionamenti sociali diversi".

La Chiesa cosa fa? 
"La Chiesa è un'istituzione complessa. Al suo interno recentemente è molto cresciuta la compagine che segue una pastorale più 'modernà e progressista. Nello stesso tempo, però, la Chiesa è e deve essere inclusiva perché nel Mezzogiorno, proprio come in America Latina o nelle Filippine, questi riti popolari hanno una forte presa, per cui sa che non può permettersi di prendere le distanze troppo radicalmente, altrimenti perderebbe fedeli".

Non a caso Papa Bergoglio ha definito la religiosità popolare il "sistema immunitario della Chiesa", che la difende da un eccesso di astrazione teologica. C'è dunque una differenza tra la Chiesa del dogma e quella delle comunità locali?
"Ci sono varie posizioni, sia dentro la Chiesa istituzionale, sia nella devozione popolare. Nessuna delle due procede per abrogazione o per proibizione ma, piuttosto, per implementazione e per cumulazione. Forse per questo la Chiesa dura da duemila anni. Ho la sensazione che le gerarchie conoscano benissimo la valenza politico-sociale di questi momenti. Sanno che sotto le statue si scrivono i contratti sociali di una parte della comunità. Non di tutta ovviamente. E dunque, prima di abolire le processioni, adottando una posizione rigidamente razionalista, ci pensano due volte".

Il confine tra legalità e illegalità che per noi è chiaro e netto, lo è altrettanto in certi contesti?
"Il confine esiste, ma non è sempre facile da individuare. Per esempio, quando la magistratura nel 2013 ha cercato di processare il mondo che gira intorno alla festa di Sant'Agata a Catania, si è concluso tutto con un nulla di fatto, perché la giudice Sonia Gambino ha stabilito che non si capisce quale sia il reato. Sentenza confermata in appello nel 2015. Quindi anche da un punto di vista giuridico, è difficile dire se un inchino sia legale o no".

Allora per isolare la criminalità organizzata i sindaci dovrebbero disertare le processioni?
"Se temono infiltrazioni, astenersi è un modo per dare un segno politico. Ma questo significa privare anche i cittadini perbene della presenza e della tutela dei rappresentanti dello Stato".

Altro dilemma: condannare o comprendere? E comprendere non significa in parte giustificare?
"Il dilemma vero è tra relativismo etico e relativismo conoscitivo. Secondo il primo modello di comportamento, se non sei d'accordo puoi giudicare. Ma allora la tua esperienza conoscitiva finisce lì. Un antropologo invece deve sempre cercare di capire".

Quindi lei che cosa ha capito?
"Intorno a questi inchini si aggrega qualcosa di più complesso del singolo gesto. Ciascuno di questi atti rituali è un'espressione di mascolinità, di forza, di un certo modo di stare al mondo. Se provi a giudicarlo, ti impedisci di comprendere quel che significa per loro. E rischi di credere che siano tutti mafiosi. Laddove non si tratta necessariamente di comportamenti che fanno riferimento a un universo criminale, ma a qualcosa di più ampio e trasversale".

Cosa può dire di specifico l'antropologo rispetto al giurista, allo storico, al sociologo?
"Noi andiamo molto vicino all'esperienza vissuta degli attori sociali. Perché stiamo in mezzo alla gente. Cogliamo i dettagli e ricostruiamo in maniera più densa e intensa i contesti culturali, simbolici, emozionali e motivazionali da cui nascono quei comportamenti".

Perché portare a spalla la statua di un santo è così importante, al punto che molti latitanti si fanno beccare dalle forze dell'ordine sotto i Fercoli e le Vare?
"Sono posizioni ereditate, appartengono di diritto alla famiglia o al clan. E poi si tratta di un teatro sociale della virilità. Gli uomini ostentano la forza, il coraggio, l'orgoglio, la capacità di sopportare la fatica e il dolore. È un modo per guadagnarsi sul campo lo status di veri uomini. In fondo il rito serve ai maschi per autorappresentarsi e legittimarsi sulla scena pubblica. Non a caso queste performance le chiamano masculiate".

E le donne?
"In tutti i casi che ho studiato, le donne sono off. Persino durante la vestizione della statua della Madonna. La Chiesa cerca di introdurre le donne nel rito, perché sa bene che la presenza femminile ne cambierebbe il significato sociale. A riprova del fatto che la Chiesa sa sempre dove mettere le mani".

Sul Venerdì del 7 agosto 2020
 
 
 
 

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