Genova vent'anni dopo . IL g8 del 2001 storia di un fallimento . mia recensione - intervista all'autore Giovanni Mari




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Tra un mese  e  qualche  giorno saranno  20 anni   (  come passa in fretta  il  tempo 😥)   dal G8  di Genova  2001    e  già  iniziano  ad essere pubblicati libri   , speciali giornalistici -televisivi , ecc    su tali avvenimenti .
IL primo   o  almeno uno  dei  primi   ad essere usciti  é GENOVA, VENTI ANNI DOPO. IL G8 DEL 2001, STORIA DI UN FALLIMENTO (People editore, 180 pagine, 15 euro).  di  Giovanni Mari , giornalista, per quasi vent’anni si è occupato dello scontro tra i partiti italiani. Lavora per "Il Secolo XIX".
Appena ho letto il libro sono ritornato ali quei giorni e alla collaborazione  con il libro suo fatto del G8 Genova nome per nome   di Carlo Gubitosa e con il forum  poi culminato  in un intervista a uno della contro inchiesta pillolarossa sulla vicenda di piazza Alimonda . Collaborazione  derivata da un processo di trasformazione della frustrazione  e senso di colpa per non essere andato ma ero fisicamente impedito ero fratturato al ginocchio  e poi miei reduci soprattutto mio padre dai movimenti del 68\77 non volevano che andassi per paura ,poi confermata dagli eventi ,  di quello che sarebbe successo. un libro a 360 gradi quello di Giovanni Mari .
Esso mi ha confermato  alcune mie ipotesi in particolare quella del perché  alcuni giornalisti  che fecero delle contro inchieste come  sul  link  caso di Carlo Giuliani  hanno scelto  di farlo e le hanno pubblicate online in anonimato. un libro  che non risparmia  nessuno . infatti  
A distanza di 20 anni il G8 di Genova ci si   chiede se  si può storicizzare, quanto accadde in quel luglio 2001 si può dare un giudizio. Secondo   quanto sostiene il giornalista e scrittore genovese   la  risposta  è Si . Egli   In quei giorni era in piazza come tutti i giornalisti  per raccontare tali eventi, oggi ha voluto emettere una sentenza sull'operato dei protagonisti. Sentenza che è indicata nel titolo el titolo  del libro  : "Fallirono tutti - spiega Mari all'ANSA -. Anche noi giornalisti". "Cosa è accaduto si sa - spiega l'autore -, a me interessava giudicare. Alla fine ho raccontato 8 fallimenti": i capi di stato e i manifestanti, i governi, la politica, l'intelligence, le forze dell'ordine, la magistratura, i media.

Per ciascuno Mari ha emesso la sentenza dopo avere ricordato la morte di Giuliani, i disordini, le cariche della polizia, la 'macelleria messicana'. Bush, Prodi e gli altri "passarono come fantasmi a Genova senza toccare temi fondamentali dell'agenda come acqua e ambiente", fallirono D'Alema e Berlusconi. "Fallì l'intelligence che non si accorse dei segnali o non fu in grado di farsi ascoltare", le forze dell'ordine "sbagliarono strategie e tattiche". Mentre il centrodestra dava la caccia "alle zecche comuniste" e "Fassino toglieva dal corteo il simbolo". Fallì la magistratura "che alzò un polverone sulle forze dell'ordine e poi lasciò correre le prescrizioni, non toccò la catena di comando e i Black Block. E si fece scavalcare dalla Ue sulle torture". "Fallimmo noi giornalisti - dice ancora Mari -, troppo prudenti sulla sospensione della democrazia e incapaci di distinguere tra violenze di manifestanti e forze dell'ordine".    Fallì il movimento "che aveva ragione ma ha regalato la lotta per i beni comuni a Grillo e la lotta progressista al multi nazionalismo al sovranismo incattivito". Il libro dice chi sbagliò strategie , chi guidò i reparti e chi raccontò bugie. A vent'anni dal G8 di Genova, dai gravi fatti che hanno offuscato il summit e che lo hanno reso - questi sì - una svolta definitiva nella Storia d'Italia, Giovanni Mari, giornalista genovese e testimone, ripercorre i vari fallimenti che hanno connotato quell'esperienza, rendendola unica e irreversibile: il fallimento degli otto Grandi, del governo italiano, dell'intelligence, delle forze dell'ordine, della politica italiana tutta, e poi ancora della magistratura, dei mass media e, infine, anche del movimento noglobal. Una sconfitta che pesa su tutti. Questo libro è un sincero e amaro giudizio di valore che, a distanza, parla del bisogno di una dolorosa rielaborazione che conduca passo passo a una verità difficile. Il contributo di Mari getta una luce diversa sulla lettura di quel terribile snodo che ha verosimilmente segnato la rappresentanza politica e le dinamiche di piazza di questo Paese nel nuovo Millennio.    "E' una analisi amara - dice Mari -. Le forze dell'ordine fallirono in modo eclatante, non per colpa dei singoli. Dispiace per la gente per bene che voleva manifestare e per gli agenti per bene che furono infangati per colpe non loro". a vent’anni dal G8 di Genova, dai gravi fatti che hanno offuscato il summit e che lo hanno reso – questi sì – una svolta definitiva nella Storia d’Italia .Egli nella duplice veste di giornalista genovese e testimone, ripercorre i vari fallimenti che hanno connotato quell’esperienza, rendendola unica e irreversibile: il fallimento degli otto Grandi, del governo italiano, dell’intelligence, delle forze dell’ordine, della politica italiana tutta, e poi ancora della magistratura, dei mass media e, infine, anche del movimento noglobal. Una sconfitta che pesa su tutti.  Ma  fu realmente cosi  ?    solo un fallimento  Vediamo di capire  il perchè    chiedendolo all'autore. 


C’è chi è stato picchiato, chi continua a sognare quei giorni, chi ha deciso di non avere figli, chi ha cambiato completamente vita e chi ha perso di vista il “movimento” ma spesso, in modo sotterraneo, ha continuato ad andare in direzione ostinata e contraria, perpetuando quello spirito. eppure a Genova ne usci sconfitto, secondo te, perchè? 

Certamente i giorni di Genova rappresentano una ferita aperta per un’intera generazione fatta di semplici cittadini che volevano manifestare per un mondo migliore, per i giornalisti che sono stati imprevisti testimoni e persino per gli uomini delle forze dell’ordine. Una ferita che non si rimargina e che ha un sapore eterno di sconfitta. Ma, chi per non dimenticare, chi per redimersi, chi perché è convinto che quelle istanze fossero giusto – come del resto lo erano, oggi possiamo dirlo – non rinuncia a ricordare e a parlare. Manifestare in piazza non è un mestiere, manifestare un pensiero è un dovere. Per questo quella destinazione ostinata e contraria resta un binario per molti irrinunciabile.

A 20 anni dai giorni del G8 di Genova quindi molte domande sono ancora aperte. quindi Perché è importante raccontare Genova a chi per anagrafe, per distrazione o per scelta non c’era ? 

Il G8 di Genova è stato uno scempio assoluto, in cui lo Stato ha toccato un punto bassissimo. Chi c’era, chi non c’era e poi ha saputo, chi c’era e ha sbagliato: tutti dovrebbero sentire il bisogno di parlare e raccontare, di spiegare come è stato possibile arrivare a una sospensione così plateale della democrazia, come è stato possibile consentire una repressione illegittima e immotivata, come è stato possibile abbandonare una città. Perché mai migliaia di poliziotti e carabinieri siano stati mandati allo sbaraglio, infarciti di false notizie e di ordini sgangherati.

Che cosa n'è stato del “movimento”, di quell’afflato collettivo massacrato dai manganelli e dai media? In quali rivoli si è disperso il fiume di persone che ha manifestato? 

Il movimento si è disperso più perché non ha saputo aggiornarsi che per le botte subite. Ha lasciato che la sua istanza fortemente progressista fosse presa in ostaggio da sovranisti e populisti. Da un lato c’è stato quell’endemico fenomeno di sclerotizzazione che ha generato un’involuzione del movimento, dopo che per anni si era esteso: prima aveva trovato una forte risposta a una forte domanda, poi non seppe più rispondere. Dall’altro lato, la stretta securitaria post-11 settembre fece il resto. E la politica non offrì una sponda credibile.

Qual è infine l’eredità, di Genova e chi ha raccolto e perpetuato questo capitale di idee ? 

L’eredità di Genova è nascosta. Nel ventennale vedo che molto si sta muovendo per recuperarla. Un sistema intero voleva seppellire le idee di giustizia sociale, c’era quasi riuscito. Adesso, vent’anni dopo, parlandone, tornando sui contenuti, finalmente senza la trappola delle minacce e delle veline, si può riaprire il discorso.

Un racconto collettivo (senza reducismo) per spiegare Genova a “chi non c’era” e per raccogliere quello che Alessandro Leogrande chiamava “il seme sotto la neve” e che ha germogliato tanti altri mondi possibili, dall’economia solidale all’informazione indipendente e il cui lascito è stato raccolto da Fridays for future e da altri movimenti, come quello dei referendum per l’acqua pubblica o Occupy Wall Street. Scrive Angelo Miotto, giornalista, documentarista radiofonico e comunicatore che nel 2001 ha seguito in diretta le vicende del G8 per Radio Popolare è possibile ?

Sì, il seme sotto la neve può germogliare. Ma deve trovare una strada nuova, non necessariamente di piazza. Guardiamo la campagna trasversale e innovativa che ha portato alla Tobin tax: ecco, quella può essere una strada. L’altra è quella di smascherare, con i fatti, le fake news che troppi spacciano sui social. Lì si annidano i migliori nemici del cambiamento.

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