4.6.21

Il destino di Saman sotto la soglia minima di indignazione Il dramma di una giovane donna islamica non scalda il pur facilmente infiammabile discorso pubblico


Pur non essendo completamente d'accordo con gli interventi sotto riportati perchè : 1) non è l'intera sinistra debole o filo islamica ma una determinata parte d'essa 2) come fa notare il commento di Fabrizio Formica all'articolo dell' https://www.huffingtonpost.it/ del 3.6.2021 da me riportato << l' indignazione sia al minimo non deve sorprendere. La opinione pubblica è abituata al fatto che se lo strupratore è extracomunitario, metterlo in evidenza è RAZZISMO .... segnalare alla GdF i vucumprà è RAZZISMO....bocciare ragazzi stranieri o non dare cittadinanza italiane a chi non spiccica tre parole in croce di italiano è RAZZISMO. Segnalare assembramenti o disprezzo per le regole COVID da parte di extracomunitari è RAZZISMO....far pagare il biglietto in treno a passeggeri stranieri sprovvisti è RAZZISMO...Ne consegue che indignarsi con dei pachistani [ in questo caso ] per aver fatto un orrendo crimine, sarebbe RAZZISMO. La gente lo ha capito e sta zitta. >> e piuttosto che essere accusata dai " buonisti " d'essere razzista o xenofoba . 3) potrebbe anche trattarsi di non voler far parte di quelle Di indignazioni guidate ed a uso e consumo di certa politica e di certa stampa, sempre pronta a spronare rabbia o viceversa a quitare rabbia a loro piacimento, ne abbiamo vista troppa. Per cui la gente è indifferente alle fonti non credibili che manovrano e manomettono questa rabbia cavalcandola a scopi elettorali .


ANSA



I social, qualche giorno fa, si sono riempiti di indignazione perché una donna, Aurora Leone, comica del gruppo The Jackal, ha denunciato di essere stata cacciata dalla cena dei convocati per la Partita del Cuore perché le donne non erano ammesse, e, quando lei ha risposto che anche lei era tra i convocati della partita di beneficenza, le hanno risposto che le donne “non possono giocare a calcio”. Donne e uomini sui social, molto prima che lo facessero i giornali e le televisioni, hanno fatto un casino, tant’è inconcepibile che si dica una fesseria del genere. La storia è stata elevata a simbolo, scelta come terreno di battaglia per il riequilibrio dei rapporti tra uomo e donna, mentre la storia di Saman non ha scaldato di un grado il pur facilmente infiammabile mondo del discorso pubblico.

Da qualche giorno, le pagine di cronaca dei quotidiani, accreditano fortemente l’ipotesi che Saman – diciottenne di origine pakistana – sia stata ammazzata. Non si hanno sue notizie dalla notte del primo maggio, quando è scomparsa, dalle parti di Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Scavando nella sua vita, si è scoperto che la famiglia le ha impedito di proseguire gli studi (era arrivata in Italia nel 2015, aveva imparato in fretta l’italiano, finendo la terza media) e poi ha combinato per lei un matrimonio
con il cugino che vive in Pakistan. Lei ha detto di no e se n’è andata via di casa per alcuni mesi, salvo poi tornarci, l’11 aprile, per prendere la carta d’identità e – pare – andarsene all’estero (con un ragazzo di cui si era innamorata, aggiungono le cronache più informate).Un video, girato nella notte del 29 aprile dalle telecamere di sorveglianza, mostra lo zio che esce di casa insieme ad altre due persone, con un sacco azzurro, due pale e un piede di porco, in direzione del campo in cui lavorano i famigliari di Saman. Un altro video, acquisito più recente, mostra Saman che esce di casa con i genitori, il 30 aprile, e va nella stessa direzione in cui il giorno prima è andato lo zio. Dopo dieci minuti i genitori tornano a casa, ma lei non è più con loro. Il giorno dopo, il padre e la madre prendono un aereo e tornano in Pakistan. Gli inquirenti hanno fatto due più due e dedotto che lo zio, il 29 aprile, avrebbe scavato la buca dentro cui, il 30 aprile, avrebbe occultato il cadavere di Saman, che i suoi genitori gli avevano consegnato viva, per farla ammazzare. E la loro ricostruzione è confermata dal fratello di Saman: sedici anni, al momento protetto in una struttura segreta. “Una svolta nelle indagini”, hanno titolato i giornali nelle pagine di cronaca. Mentre il mondo della discussione pubblica, soprattutto quella sensibilissima dei social, era infiammata da un’altra polemica: la targa a Carlo Azeglio Ciampi a Roma, senza la g nel secondo nome dell’emerito Presidente della repubblica.







Ieri il Quotidiano Nazionale – uno dei quotidiani le cui cronache si leggono con maggiore sgomento – ha intervistato una consigliera del partito democratico di Reggio Emilia, Marwa Mahmoud, italiana di origini egiziane, musulmana e velata, che ha detto che “la sinistra ha timore di intervenire sui temi dei diritti negati alle donne islamiche”. Ha sostenuto che “sono temi delicati e complessi” in cui si rischia sempre di “essere strumentalizzati e additati come razzisti”. Ma, ha aggiunto, “si è tergiversato troppo, preferendo agire con paternalismo, assistenzialismo e accoglienza. Che, sia chiaro – ha detto –, va bene. Ma non basta. Tutto il resto è diventato tabù”. Parole, anche queste, che non hanno smosso un capello del mondo di sopra, quello in cui il discorso pubblico si accalora. Chiamo Luca Ricolfi per chiedergli che idea s’è fatto lui di questa storia e scopro (mi era sfuggita) che l’intervista di Marwa Mahmoud era in realtà una risposta alla riflessione che lui aveva fatto il giorno prima, interrogato dallo stesso giornale sul perché la sinistra e le associazioni per i diritti delle donne non si occupino della vicenda. Ricolfi aveva detto che c’è una ragione buona e una cattiva del silenzio. “La ragione buona è che al momento non si sa come siano andate effettivamente le cose. La ragione cattiva è che la sinistra ha un occhio di riguardo per l’Islam, e teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo”. Questo, però, non spiega perché la cacciata di Aurora Leone dalla partita del cuore scateni il finimondo – non nella politica, ma nell’umore pubblico – mentre la presunta uccisione di una donna immigrata dal Pakistan, in circostanze che sarebbero così atroci, lascia piuttosto indifferenti. Mi dice Marina Terragni, femminista storica, che “il caso è strano” perché, quando in circostante simili, venne uccisa Hina Saleem (il padre la accoltellò e la seppellì nel giardino di casa, a Brescia, con il capo rivolto verso La Mecca) ci fu una sollevazione. Non lo ricordavo. Successe nel 2006: più a ridosso dell’11 settembre, che del #Metoo. Forse, colpì perché c’era un altro clima, un altro Occidente, quello ferito dal terrorismo islamico? Sicuramente colpisce, oggi, che il neo-movimento delle donne, che nei social ha trovato la propria piattaforma di rivendicazione permanente, si è prefisso di ridisegnare i rapporti tra uomo e donna tracciando daccapo i confini del consenso sessuale. Anche il sospetto del limite oltrepassato scatena, ogni volta, reazioni intransigenti. Mentre di fronte alla questione del consenso di una donna a un matrimonio scelto da altri, nel quale ne va della sua vita e della sua morte, non si sente il bisogno di dire assolutamente nulla, non solo di paragonabile alle febbri che ci assalgono quando si tratta di un’attrice di Hollywood: ma proprio nulla.Mi dice Luca Ricolfi che ieri ha avuto una ”illuminazione”, che risponde in parte all’osservazione che gli ho fatto, cioè che il perimetro del silenzio non è solo politico, ma è parecchio più esteso, e comprende una vasta gamma di fatti che sono esclusi dai nostri sentimenti: non ci toccano, come persone, come individui di un paese democratico, abbiente, occidentale ed europeo. “Mi son fatto l’idea – dice Ricolfi – che ci sia una questione di classe. Noi discutiamo, ci accapigliamo, per episodi che coinvolgono quelli che noi sociologi chiamiamo gli strati centrali della società. Se un fatto tocca i ceti medio alti, i ceti medio alti ne parlano. Se riguarda i poveracci, i ceti medio alti continuano a parlare degli affari propri”.


L’osservazione è amara, ma non si può evitare di prenderla in considerazione, ipotizzando che, se le cose stanno così, la conclusione è che di tutta la discussione sul rapporto tra uomini e donne che si è fatta in questi anni si è sedimentato in fondo soltanto questo: che se sei una donna bianca, benestante e famosa, e degli uomini bianchi, altrettanto benestanti e famosi, ti dicono che non puoi giocare a calcio, i maschi bianchi e imbecilli non la passeranno liscia; se, invece, non sei una donna bianca ma immigrata (anche se l’occidente ti è spuntato nell’animo, nella sua promessa di libertà), se la tua religione è quella islamica, e non sei ricca né famosa, e ti rifiuti di dire sì a un matrimonio combinato da maschi, con uno che vive in un altro Paese, devi sapere che corri il rischio che ti uccidano. E se ti uccidono, puoi starne certa, potrai contare sul fatto che la questione rimarrà di stretta competenza delle autorità giudiziarie e della polizia. Perché gli altri – la maggior parte di essi – staranno facendo chiasso per qualcosa di sicuramente più importante della tua vita.

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