Qualche mese fa è uscito un libro “Bob Dylan & Like a Rolling Stone. Filologia-Composizione-Performance” (Mimesis, 2021). di Mario Gerolamo Mossaun giovane studioso, dottorando di ricerca in Studi italianistici all'Università di Pisa, con un progetto di natura comparatistica incentrato sulla canzone d'autore italiana e sul singer-songwriting angloamericano.
Un libro particolare vista la prefazione di pregio , quella di Alessandro Carrera traduttore di Bob Dylan in Italia e il fatto che l'autore è stato ospite del Centro Studi Fabrizio De André per presentare il suo libro insieme ad Alessandro Carrera.
L'evento è organizzato in collaborazione con "Semicerchio. Rivista di poesia comparata" e con il patrocinio della Fondazione De André, del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne dell'Università degli Studi di Siena e della Società Italiana di Musicologia.
In questo libro, Mario Gerolamo Mossa indaga per la prima volta tutte le fasi creative del capolavoro dylaniano, dalla sua ideazione fino alle più significative esecuzioni dal vivo, facendo ricorso a numerosi materiali inediti e adottando una metodologia interdisciplinare particolarmente attenta al rapporto tra oralità e scrittura, unendo elementi tipici della tradizionale biografia rock all’analisi musicologica aderente alla più moderna accademia in materia di popular music studies.
Incuriosito oltre dal batage culturale e mediatico ( vedi le righe precedenti ) anche da quanto ha scritto Alessandro Carrera nella prefazione, questo saggio “offre l’analisi più ampia, minuziosa e ossessiva mai condotta di Like a Rolling Stone in qualsiasi lingua”, ricostruendo la storia di una voce che da oltre mezzo secolo affida alla cruciale domanda “Come ci si sente?”, How does it feel?, la ricerca di una verità imprevedibile e transitoria, libera da ogni ideologia come da ogni pregiudizio che è nata questa mia intervista all'autore ( foto sotto sotto a destra )
Ho iniziato ad avvicinarmi alla canzone d’autore durante la mia adolescenza. Non dirò chi era
il mio mito di allora perché è facilmente prevedibile, essendo originario di Tempio Pausania. Sicuramente all’inizio il mio interesse per quella tradizione era vicino alla “venerazione”; poi, con gli anni, e soprattutto studiando la letteratura “non” cantata, mi sono accorto che era più appagante confrontarsi criticamente con i propri miti. Non necessariamente per demistificarli, ma anzi per renderli più umani, e comprenderli più da vicino. La passione per la musica deriva da mio padre – che resta il mio cantautore preferito per ragioni che prescindono dal mio lavoro – anche se è stata mia madre a farmi sentire per la prima volta gli artisti che avrebbero poi cambiato la mia vita.
come mai hai scelto per analizzare un icona cosi complessa ( vedere No Direction Home: Bob Dylan il film documentario del 2005 diretto da Martin Scorsese che ripercorre la vita di Bob Dylan fino all'incidente motociclistico occorsogli nel 1966 e il suo impatto sulla musica e sulla cultura americana. Bob Dylan , la sua Like a Rolling Stone e non tutte le sue canzoni ?
Ho scelto Like a Rolling Stone per due ragioni. La prima è che tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo-novecentesca. La seconda ragione è che, anche un po’ per caso, mi sono ritrovato a consultare molti documenti inediti che testimoniavano la composizione di Like a Rolling Stone, e che erano assenti in tutta l’immensa bibliografia su questo brano. Aggiungo che ad oggi non esiste una tradizione di studi filologici intorno alle canzoni, e quindi il caso di Like a Rolling Stone era particolarmente utile per porre dei problemi di metodo più generali.
in che senso : <<tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo- novecentesca. >> ? in cosa consiste questa importanza e perchè .
Like a Rolling Stone é stata una canzone di rottura per varie ragioni, di tipo storico, poetico e compositivo. Dal punto di vista storico, ha per la prima volta imposto al mondo l'immagine di un Bob Dylan provocatoriamente disinteressato alla canzone folk e ai suoi ideali, suscitando enorme scandalo tra i suoi stessi fan e in generale in tutti coloro che avevano visto in lui il cantore del movimento per i diritti civili. Dal punto di vista poetico, Dylan manifesta un individualismo cinico e provocatorio che rivela l'intenzione di liberarsi da quell'immagine pubblica e dai suoi presunti "doveri" ideologici e morali. Da una prospettiva tecnica, infine, Like a Rolling Stone é la prima canzone dylaniana che viene composta estrapolando frammenti testuali da prose dattiloscritte che non erano state concepite per il canto. A questo si aggiunge anche il fatto che si tratta del primo brano in cui Dylan collabora attivamente con una band, confrontandosi con il genere del folk-rock e proponendosi per la prima volta come un "regista" della sua opera.
corrisponde a verità oppure è solo un modo di dire che : << Una cosa è certa. Quando la critica rock è nata per cercare di capire cos’era mai l’oggetto Like a Rolling Stone, caduto dal cielo come un meteorite, il rock and roll ha perso l’innocenza. L’ha persa molte altre volte, ma l’analisi filologica di Mossa, che davvero rivolta tutte le pietre (leaves no stone unturned, si direbbe, o no stone rolling, se vogliamo) è un’ulteriore perdita di innocenza. Mossa ha rotto il giocattolo, ed era tempo, ma non c’è da preoccuparsi, alla prossima esecuzione Like a Rolling Stone si rimetterà insieme, tornerà come nuova e riprenderà il suo rolling on.>>( dalla rivista rollingstone ) ?
Le metafore di Alessandro Carrera intendono sottolineare il fatto che, come dicevo, non esistono studi filologici dedicati alle canzoni, e quindi in un certo senso il mio libro rappresenta anche una sorta di “perdita dell’innocenza”. Le sfumature ironiche si devono al luogo comune della dylanologia (termine storicamente negativo che identifica più i fanatici che gli studiosi) per cui ogni lavoro critico su Dylan dovrebbe essere anti-accademico e anti-specialistico. Bisognerebbe, in altre parole, essere critici “rock” per parlare di rock. E questo è un problema specifico della popular music, perché il nostro sistema culturale non impone di essere drammaturghi per studiare Shakespeare, o pittori per studiare Picasso e così via. In questo senso, è irrilevante che io sia un musicista e scriva canzoni, anche se la familiarità con uno strumento aiuta a interpretare meglio la natura di una composizione. Il punto è che ormai la classicità di Dylan non può più esistere soltanto nel canone della controcultura, ma in quello della cultura vera e propria (pur senza rinunciare – tanto per essere chiari – a ciò che identifica la cultura tradizionale: direi che il punto è proprio aggiungere, non rimuovere). Non è certo il mio libro a stabilire il confine: il mio libro, casomai, prende atto di un cambiamento già avvenuto da anni e sotto gli occhi di tutti, nel bene e nel male. Il discorso scientifico sulle materie umanistiche comporta sempre una apparente “perdita dell’innocenza”, perché abbiamo paura che interpretare un’opera adottando un metodo di studio più o meno rigoroso finisca per privarci del piacere che quell’opera ci garantiva indipendentemente dalle accademie. Per certi versi, non siamo lontani dal vecchio pregiudizio per cui una poesia può emozionarti finché non arriva il momento di studiarne la parafrasi (magari in vista in un’interrogazione). A volte questo rischio è reale, soprattutto quando si chiamano in causa ideologie politiche e sistemi di istruzione che conferiscono maggiore importanza all’erudizione che alla sensibilizzazione critica. Ma se la prospettiva scelta non dimentica l’autonomia del bello, presupponendo cioè il bisogno di descrivere il legame tra forma e significati culturali, l’obiettivo è anzi opposto, e va difeso: confermare il piacere, renderlo accessibile combinando punti di vista diversi, e nei casi migliori persino aumentarlo. Certo, la filologia non è una disciplina in sé “democratica”, ma neanche la matematica o la fisica lo sono, e neanche i classici. A mio avviso, il miglior modo per parlare di un classico è sforzarsi di non celebrarlo passivamente, ma anzi provare a comprenderlo con tutti gli strumenti a disposizione, anche a costo di “smontarlo” per poi “ricostruirlo”.
Secondo wikipedia alla voce Suze_Rotolo: << [...] La presenza di Suze nella vita di Dylan ebbe una forte influenza su quest'ultimo, sia per quanto riguarda la scrittura di canzoni d'attualità, sia per il suo modo di suonare e di stare sul palco, influenzato dal teatro brechtiano a cui assistevano Suze e Dylan durante la loro relazione. Anche l'interesse di Dylan per la pittura è dovuto alla relazione con Suze. Secondo la sua autobiografia, Suze rimase incinta durante la relazione con Dylan, ma abortì.[...] >> pensi che ci sia lei sia come " infliuenzer " sia come la ragazza citata nella canzone ?
Il ciclo di canzoni dedicato a Suze Rotolo (di cui fanno parte, per esempio, Don’t Think Twice e Ballad in Plain D) precede la trilogia rock, la svolta stilistica beat e la scoperta di quello che Dylan avrebbe definito mercury sound. Nel corso degli anni una certa dylanologia ha diffuso il pettegolezzo per cui dietro Miss Lonely vi sarebbe Edie Sedgwick (modella di Andy Wharol e verosimile dedicataria di un brano successivo, Leopard-Skin Pill-Box Hat). Da un punto di vista biografico, invece, sappiamo che la compagna da cui Dylan si stava lasciando nella primavera 1965 era Joan Baez. Ma, esattamente come accade in letteratura, questo tipo di identificazioni lasciano un po’ il tempo che trovano: non aggiungono nulla alla comprensione dell’opera e non fanno che ridurre il discorso artistico e poetico a un giornale di gossip (e non escludo che in altre canzoni la componente biografica abbia maggiore rilevanza, ma non è questo il caso). Vedere in Like a Rolling Stone una canzone di “non amore” è solo una delle possibilità, e forse la meno convincente. L’aggressività del narratore, il suo desiderio di “vendetta” verso la protagonista non hanno nulla a che vedere con l’eros, o se manifestano un eros represso lo fanno in modo talmente indiretto da rendere alto il rischio di sovrainterpretazioni. Il disprezzo dell’io nascosto di Like a Rolling Stone intende piuttosto sovvertire una logica di classe, senza peraltro (e fortunatamente) prescrivere alcuna alternativa concreta. Da una parte ci sono i giovani privilegiati degli anni Sessanta nordamericani (e.g. il pubblico di Dylan), convinti di poter conoscere la vita soltanto per una via teorica, rinunciando all’esperienza; dall’altra ci sono i “mystery tramps” (neri, come dimostrano alcuni autografi inediti, o comunque vicini alla cultura afro-americana) che non hanno risposte assolute, non hanno “alibi” e tutto ciò che sanno del mondo deriva da un’esperienza diretta con la vita di strada. Questo per dire che Miss Lonely non è mai evocata in quanto donna, ma in quanto persona costretta improvvisamente a doversi confrontare con tutte le contraddizioni umane e sociali che prima dava per scontate (e questo trauma, a sua volta, rende possibile la sua auto-liberazione). Anche per questa ragione, siamo tutti Miss Lonely, o lo siamo stati almeno una volta.
che ne pensi se lì'è meritato il premio nobel B.Dylan ?
Ovviamente ho accolto con entusiasmo la vittoria di Dylan, anche se non condivido le ragioni dell’assegnazione. L’Accademia Svedese ha più volte giustificato la sua scelta limitandosi a vedere in Dylan un “grande poeta”, e cioè alimentando la convinzione che canzone e poesia siano la stessa cosa. Questo intento apparentemente “corretto” riconferma in realtà l’antico pregiudizio per cui le arti orali sarebbero arti di livello inferiore rispetto a quelle scritte. Mi sembra un’enorme svista, soprattutto perché l’esistenza performativa di questi testi viene relegata a semplice modalità di fruizione, quando invece è parte integrante di una vera e propria tecnica: le canzoni non sono mai semplicemente “poesie per il canto”, sono testi che nascono nel canto e vivono nel canto, e la maggior parte delle volte i loro autori non si pongono nemmeno il problema di comporre o meno delle “poesie”. Non si può premiare Fellini per essere un poeta “visivo”: lo si premia perché è un grande regista e perché la sua grandezza diventa evidente solo all’interno di un codice ben preciso. Il fatto che il linguaggio verbale sia parte di quel codice e di conseguenza sia analizzabile anche attraverso l’estetica letteraria, non significa che i film di Fellini siano romanzi. Ricondurre al noto, “addomesticare” in senso etimologico, è un’operazione inevitabile ma anche aggressiva: spesso finisce solo per confermare su basi diverse le gerarchie culturali da cui magari vorremmo liberarci.
una domanda per i non addetti ai lavori e per chi è a digiuno di studi letterari \ filologici come è , e tu da quel che ho Letto della recensoni sul tuo libro ,possibile analizzare l'intera opera di un cantante ed ora anche premio nobel per la letteratura sulla base di una sola , forse la più celebre visto che è citata anche in un film https://it.wikipedia.org/wiki/Pensieri_pericolosi ?
Non ho una opinione forte. Ci sono artisti che nella loro carriera compongono solo un grande capolavoro e il resto della loro opera può essere considerato un tentativo di riprodurre quel capolavoro. In altri casi, la grandezza di un autore emerge in opere apparentemente incompatibili tra di loro, che intaccano (o estendono) la nostra idea di poetica e ci invitano a individuare una continuità insolita, inaspettata. Dylan appartiene a questa seconda categoria, e senza dubbio in Like a Rolling Stone riconosciamo, seppure in forma stravolta, i presupposti delle canzoni precedenti e la premessa delle evoluzioni stilistiche successive. Il punto, però, è che un classico diventa tale proprio per la sua capacità di maturare una progressiva indipendenza dalle ragioni dell’autore, e in questo senso Like a Rolling Stone contiene in nuce alcune contraddizioni della società contemporanea, non solo di quella nordamericana degli anni Sessanta.
tu che hai avuto la possibilità di fare le ricerche al Bob Dylan Archive di Tulsa, un archivio universitario che apre le sue stanze solo alla crème degli studiosi. ed ora tenere per la stessa l'onore d'aprire un cnvegno internazionale su bob dylan https://dylan.utulsa.edu/dylan-80-a-global-perspective/ Che esperienza è stata ?
È stato un onore, come dici, aprire l’edizione 2021 del convegno internazionale che il Bob Dylan Center organizza a Tulsa (Oklahoma) ogni due anni. Onore fortunatamente condiviso con altri due studiosi italiani, Valentina Vetri (Università di Bologna) e Fabio Fantuzzi (Università Roma Tre). Probabilmente siamo stati messi all’inizio del convegno soprattutto per ragioni di fuso orario (erano presenti studiosi da tutto il mondo), ma parlare per primi è stata comunque una responsabilità. Con Fabio siamo stati a Tulsa nel 2019 ed è stata un’esperienza indimenticabile, come ho più volte raccontato in altre occasioni. Devo dire che è stato più difficile raggiungere Tulsa che entrare all’archivio. Noi credevamo che l’accesso dipendesse da una complessa procedura burocratica, e invece era sufficiente dimostrare di avere un interesse scientifico legato a un progetto reale. Non dimentichiamo che i fan di Dylan – i cosiddetti “dylanologi” – sono tantissimi, non sempre intenzionati a fare ricerca e non sempre “democratici”… Quindi un po’ di diffidenza è anche comprensibile.
ti manca d'incontrare o d'essere citato da Bob Dylan che ne pensi ?
Dylan non ama gli studiosi della sua opera, per varie ragioni che non è importante descrivere qui. Questo per dire che è una eventualità molto improbabile, e in ogni caso non credo che incontrarlo sarebbe una buona idea: rischierei di esserne deluso, e soprattutto non saprei davvero cosa dirgli. Come dicevo, non amo idealizzare le grandi personalità: sono innanzitutto uomini, e come tali devono riservarsi anche il diritto di essere scortesi, o in generale di avere una visione del mondo diversa dalla tua e da quella che ti sembra di intravedere nelle loro opere. Se lo incontrassi, poi, forse si limiterebbe a “fare Bob Dylan”, e cioè a indossare una maschera. Lo farebbe per difendersi, e nascondersi. Dunque cosa può aggiungere alla mia esperienza l’interazione fisica con una maschera? Niente, o almeno niente che già non possano fare le sue testimonianze artistiche. Sarebbe interessante, casomai, conoscerlo come uomo, sapere come scrive le sue canzoni, quali sono le sue letture e i suoi ascolti etc., ma questo tipo di conoscenza dovrebbe avvenire indipendentemente dal fatto che ho scritto un libro su di lui e inoltre sospetto che non sia il tipo di artista disposto a rivelare queste cose di sé. Sarebbe stato molto diverso in altri casi, come quello di Leonard Cohen, o, in Italia, di Guccini (che mi è capitato di intervistare qualche anno fa, e ne ho un ricordo fantastico). Quanto al discorso sulla citazione, preferirei di gran lunga essere citato da Richard Thomas, da Alessandro Carrera, o da altri colleghi o, estremizzando un po’, da tutti coloro che amano Dylan e hanno trovato il libro in qualche modo utile (o dannoso, perché la ricerca deve anche essere contestazione). È per questo tipo di comunità che ho scritto il libro, e non certo per Dylan, che non ha mai avuto bisogno di un libro per sentirsi legittimato ad essere l’artista che è. Sarebbe pericoloso, d’altra parte, se fosse così, e i ruoli si invertissero.
La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version, che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965.
La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version, che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965.
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