25.10.23

DIARIO DI BORDO N°19 ANNO I . Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità . per una canna si finisce in carcere ., Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima” ., Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno ., ed altre storie

 Si    ritorna   indietro  dove  anche  per  una semplice  canna  o una  modica   quantita    vieni  cnsiderato uno  spacciatore   . Va  bene punire  chi  spaccia    e vende morte o illusionia buon mercato ma  qui si esagera   . 



Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità. Poi il governo frena: solo un aumento di pena . Battaglia in Senato sul decreto Caivano. Il Csm chiamato a dare un parere: il vicepresidente Pinelli si astiene

di Viola Giannoli, Liana Milella



Via la lieve entità dalla legge sugli stupefacenti se c’è spaccio, anzi no. Sul blitz di Fratelli d’Italia per cancellare dal Testo unico sugli stupefacenti l’attenuante alla cessione di droga in alcune circostanze il governo dà prima parere favorevole e poi fa dietrofront.
Tutto avviene ieri durante la seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia al Senato. Fdi, primo firmatario Marco Lisei, presenta un emendamento al dl Caivano che stabilisce, di fatto, che lo spaccio diventi motivo ostativo al riconoscimento della lieve entità. Ovvero a quella norma prevista dalla legge sulle droghe che consente al giudice, rispetto alle pene inflitte per lo spaccio di sostanze stupefacenti, di riconoscere uno sconto per la quantità di droga ceduta, i soldi in tasca ricavo dello spaccio, la presenza o meno di bustine per l’imballaggio della droga o di bilancini per pesarla. Per Lisei però «la giurisprudenza tende a considerare troppe cose di lieve entità. Se io ho tre piantine in balcone – sostiene – e ne consumo il prodotto è un conto, ma se lo vendo, è chiaramente un altro caso».
“Una follia giuridica”
Davanti all’ipotesi di abolizione tout court della norma l’opposizione dem però s’infuria. Secondo il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Alfredo Bazoli, significa «mettere sullo stesso piano Pablo Escobar e lo studente che si rivende una canna al compagno» facendo saltare «qualsiasi principio di proporzionalità». Una modifica palesemente incostituzionale», aggiunge, che «finisce per riempire le carceri italiane di studenti un pò incauti». Carceri già sovraffollate per un terzo, racconta il Libro bianco sulle droghe, da detenuti reclusi per possesso o spaccio di sostanze stupefacenti. Anche Riccaro Magi, segretario di Più Europa, va all’attacco: «Una follia giuridica in cui c’è tutta l’ideologia di questa destra che non limiterà il consumo di sostanze e non diminuirà la loro circolazione, né intaccherà gli interessi delle grandi organizzazioni che ne controllano il traffico».
La frenata del governo
Qualche ora di bufera e il governo frena. Chiede una riformulazione dell’emendamento in cui la lieve entità resta ma si aumenta la pena minima a 18 mesi. Un nuovo inasprimento che arriva un mese e mezzo dopo quello di settembre: il decreto Caivano già nella sua formulazione iniziale aveva inasprito le pene passando da un massimo di 4 a un massimo di 5 anni. Il senatore Lisei è costretto ad accettare la riformulazione. Che resta, però, un pessimo segnale per Magi: «Già oggi in 7 casi su 10, pur con l’applicazione della lieve entità, si finisce in carcere - dice - Servirebbe un intervento di depenalizzazione che distingua tra le diverse sostanze come chiede la nostra proposta depositata alla Camera». Intanto sul parere del Csm al decreto Caivano è il vice presidente del Csm Fabio Pinelli, l’avvocato di Padova eletto dal Parlamento in quota Lega tra i dieci laici di Palazzo dei Marescialli, a fare ancora notizia. Astenuto perché a suo dire il Csm “esonda dalle valutazione che ci sono consentite”, sollevando così una catena di critiche.

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Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima”
“Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”. “Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.
"Il forno di Maurizio" a Limbiate / foto di Carlo Anastasio


Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”.
Maurizio Carcò, che oggi ha 49 anni, una moglie impiegata e due figli adolescenti, non è scappato dal suo vecchio impiego perché non ne poteva più. Anzi. “Mi piaceva quel lavoro, facevo il controllo qualità degli elettrodomestici. Avevo anche tutta una serie di benefit. Ma mi mancava qualcosa. Non mi sentivo abbastanza utile, non creavo nulla. Oggi invece creo con le mie mani, faccio un pane buono e che fa bene. Un prodotto che dura una settimana, realizzato con materie prime eccellenti, e che vendo a un prezzo equo: ci sono pagnotte da 5 euro al chilo, da 7 e da 9. Varia a seconda delle farine. Nel tempo libero vado per fiere, mi faccio conoscere per aiutare gli altri a cambiare vita come ho fatto io”.Ma partiamo dalla prima briciola. Tutto inizia nel 2015, proprio in una fiera di paese. Qui decide di iscriversi a un corso di panificazione. E conosce quello che diventerà il suo maestro, un uomo che faceva il pane nel forno costruito nel giardino di casa, vicino a Como. E che amava ripetere: “Oltre al pane sforno fornai”. E così è stato. Per Maurizio è una folgorazione. Capisce subito che quello che sembrava un gioco iniziato per curiosità, sarebbe diventato qualcosa di più. Si appassiona talmente tanto che inizia a produrre per gli amici, usando il forno del suo maestro. “I primi 20 chili sono venuti così così, un po’ bruciacchiati - ricorda intenerito - Poi è andata meglio. Ho iniziato a chiedere delle donazioni, non potevo ancora vendere”.




Maurizio intuisce che quella è la strada giusta e capisce che deve fare il grande passo. Si sente felice mentre impasta e sforna, e la via non può che essere quella. “Mia madre aveva un negozietto, era andata in pensione e lo aveva lasciato sfitto. Così l’ho preso e l’ho trasformato: ci ho fatto costruire un forno meraviglioso, ho investito 25mila euro. Invece della macchina ho comprato un panificio. E quattro anni fa ho dato le dimissioni. Mia madre era disperata, odia i forni. Quando era bambina e viveva in Sicilia sua mamma la costringeva ad accenderlo tutti i giorni all’alba. Ma poi, quando mi ha visto motivato, si è arresa".Ma cosa sarebbe successo se non avesse avuto quelle mura di proprietà? “Avrei comunque potuto pagare un affitto, lavorando magari un giorno in più. Il sogno era comunque realizzabile”.Così, dopo un corso regionale che lo autorizza a produrre e vendere, Maurizio inizia il suo nuovo cammino, una strada profumata di pane e felicità


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  1. Un cane per amico e una donna di buon cuore. Un esempio da seguire👏👏👏. un ottimo esempio di considerazione per un essere umano che si trova detenuto per piccole cose. 12 mesi per piccoli reati, mentre i grandi evasori se la cavano con poco. Per questo poveraccio, niente visite ai vecchietti una volta a settimana, eh?





    Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno
                               di Francesco Oliva



Con il suo cane andava in giro per il lungomare di Santa Maria al Bagno. D’estate come in inverno. In una campagna della marina di Nardò aveva la sua casa o meglio il suo buen retiro: un camper dismesso “simile ad un accampamento” come racconta una sua amica. Massimiliano, 54 anni, era un uomo solo: la madre morta quando era ancora piccolo mentre con il padre non ha più alcun tipo di rapporti da tempo. E lui, barba lunga “ma sempre ordinato, gentile e garbato” ha deciso di compiere una precisa e radicale scelta di vita. Solo e distaccato “riservato ma sempre disponibile alla chiacchiera e con tante cose da dire” ci spiega chi lo conosceva.Con Zair al suo fianco e con l’aiuto di tante persone che gli hanno voluto bene. D’altronde con una pensione di poche centinaia di euro, nessuna possibilità di beneficiare di un alloggio di residenza popolare, attorno a sé ha avuto il sostegno e l’appoggio di tanti: c’è il vicino che gli ha permesso di allacciarsi alla luce o il parroco di Santa Maria al Bagno perché grazie al sostegno della Chiesa, Massimiliano ha potuto avere un pezzo di campagna su cui piazzare il suo camper. Circa un anno fa, però, non appena la sentenza per fatti piuttosto datati è diventata definitiva e con l’ingresso in carcere sempre più imminente, il 54enne salentino si è prodigato per trovare una nuova famiglia al suo amato cagnolino. Ora Zair ha un nuovo padrone e viene trattato benissimo. In carcere, invece, per Massimiliano stare dietro le sbarre non è semplice. Ancora di più se sai che dall’altra parte del vetro della sala colloqui non ci sarà mai nessuno ad aspettarti.E allora la Direzione del Penitenziario di Borgo San Nicola si è prontamente attivata per regalare un momento di gioia a Massimiliano facendogli riabbracciare il suo amico a quattro zampe. La dottoressa Monica Rizzo ha disposto un incontro tra l’uomo ed il suo affetto più caro, grazie anche alla sensibilità dimostrata dalla direttrice, Maria Teresa Susca. L’evento si è svolto all’interno del carcere: nello specifico in un roseto creato e accudito da un detenuto, dove si avverte un’aria di serenità e di grande cura. Lì cane e proprietario hanno potuto trascorrere del tempo insieme nel nome di un legame indissolubile.“Tutto questo - fanno sapere dal carcere - ci fa ben sperare che l’importanza che si dà all’individualizzazione del trattamento detentivo sia il punto di forza per la rieducazione dei detenuti. Tale trattamento è l’unico in grado di rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto, ancora più efficace se si dà particolare attenzione al modo in cui il soggetto ha vissuto, alla sua storia specifica, al suo vissuto familiare”.



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Divorziati restano amici, poi lui muore in un incidente. Il tribunale: “L’assicurazione risarcisca anche la ex moglie” L’uomo, 70 anni, è morto per le ferite riportate dopo essere stato travolto da un camion a novembre del 2014. Ma la compagnia aveva negato l’indennizzo all’ex coniuge





Erano divorziati da sette anni, ma erano rimasti in buoni rapporti: si vedevano insieme ai figli, ogni tanto uscivano a cena tutti insieme, spesso si incontravano per scambiare quattro chiacchiere e prendere un caffè al bar. Ma ognuno per la sua strada ed ognuno con la sua vita anche se entrambi senza nessun altro al fianco. È stato questo rapporto da buoni amici a fa scattare la condanna del tribunale di Cassino: ha disposto che una compagnia di assicurazioni risarcisca l'ex moglie alla pari di tutti gli altri parenti indennizzati dopo che l'ex coniuge è morto in un incidente stradale.
Imputato un camionista sessantenne del Cassinate: l'accusa, omicidio stradale. I fatti sono del novembre 2014 l'uomo alla guida del suo autocarro sulla Cassino - Sora invade la corsia opposta travolgendo una Lancia Ypsilon condotta da un settantenne di Atina che decedeva per le ferite. L'assicurazione decide di risarcire tutti gli eredi ma non l'ex moglie sostenendo che, avendo divorziato da anni la donna avrebbe perso ogni diritto. Lei ha impugnato la decisione e si è costituita nel processo al camionista.
Gli avvocati Sandro Salera e Paolo Marandola hanno dimostrato che nonostante la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la signora aveva mantenuto un rapporto stabile con l'ex coniuge, si vedevano e si frequentavano anche se non abitavano più sotto lo stesso tetto e non avevano vincoli. E pertanto aveva diritto al risarcimento corrispondente alla sofferenza interiore e allo stravolgimento del sistema di vita, derivante dalla morte dell'ex marito.
Il Tribunale di Cassino, accogliendo le tesi dei due legali, ha condannato l'imputato a sei mesi (pena sospesa) e la compagnia di assicurazioni a risarcire tutti i danni subiti dalla ex coniuge del deceduto, riconoscendo in suo favore anche una somma di ventimila euro a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva


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“O diventi eterosessuale o ti butto dal balcone”. Abusi e torture sul figlio 14enne: genitori a processo . Dopo aver letto il diario del figlio il padre ha iniziato una persecuzione di botte, umiliazioni e insulti e nessuno in casa lo ha fermato
                                     di Sarah Martinenghi



A un diario aveva affidato tutti i suoi segreti: 14 anni, i primi desideri e le proprie paure, sogni e ambizioni, come la passione per la moda e per il disegno. E su quelle pagine così intime e profonde aveva impresso se stesso e una consapevolezza, quella di essere omosessuale. Il 14 agosto 2020, però, quel diario era stato violato. Suo padre l’aveva letto e tutto, per lui, era cambiato: non c’era stato più
spazio per l’affetto e la comprensione, scalzati via dalla rabbia e una cieca intolleranza.
Nella mente del genitore si era affacciata un’unica idea: cambiare a tutti i costi suo figlio. E a quel punto ha dato inizio a una serie di maltrattamenti atroci, nell’assurdo tentativo di modificarne l’orientamento sessuale. L’ha portato da uno psicologo per farlo tornare, come diceva lui «normale», l’ha costretto a corse punitive nel cuore della notte, ad abbassarsi i pantaloni per mostrare la propria virilità, a frequentare sport «da maschi», arrivando persino a imporgli di avere un rapporto sessuale con una ragazza «entro un mese di tempo».
Ha inibito ogni sua volontà: l’adolescente non era più libero di farsi la barba o di sentire la musica, o di vestirsi, secondo i propri gusti. Spiato, controllato, picchiato, umiliato, di continuo. Una lunga serie di violenze racchiuse in un articolato capo d’imputazione formulato dalla pm Giulia Rizzo che ieri ha chiesto il rinvio a giudizio di entrambi i genitori: il padre del ragazzino è accusato di maltrattamenti e la madre di non aver fatto nulla per impedirli. L’udienza preliminare inizierà il 22 gennaio.
Dopo aver letto il diario segreto di suo figlio, il padre gli aveva tirato un ceffone dicendogli: «Non ti voglio più in casa». Per punizione gli aveva tolto il telefono e la playstation e l’aveva obbligato a leggere quello che aveva scritto a voce alta davanti a tutta la famiglia. L’aveva costretto a rivelargli i propri codici di accesso a Instagram e Tik tok, criticando i contenuti «troppo femminili - si legge nel capo d’accusa - ed eliminando i video ritenuti inopportuni».
Nell’estate del 2020 dopo essersi accorto che il ragazzino si era rasato il viso, l’aveva afferrato per i capelli, colpito con dei ceffoni e gli aveva detto: «Tu vuoi essere una donna, adesso ti abbassi i pantaloni e mi mostri cos’hai lì sotto». Poi aveva programmato le visite dallo psicologo affinché, scrive la pm, «lo facesse tornare normale, salvo poi interromperle quando il professionista aveva spiegato ai genitori che l’omosessualità non è una malattia da curare clinicamente, proponendo loro un percorso di accettazione». Un discorso inutile: a ogni atteggiamento ritenuto troppo femminile «scattavano punizioni».
L’ultimatum era arrivato il 24 gennaio 2021: «Hai un mese di tempo», gli aveva detto il padre chiedendogli di dimostrare di essere stato con una ragazza. Ma quando aveva saputo che «non aveva concluso nulla» gli aveva rotto la playstation, strappando via tutti i poster dalla sua camera. Poi l’aveva fatto alzare dal letto alle tre di notte, imponendogli di correre per la strada fino all’alba.
Per il padre, suo figlio doveva «fare cose da maschio»: andare in palestra, praticare «la boxe», ma anche «leggere testi e canzoni solo di autori maschili», tagliarsi i capelli, non farsi la barba. E doveva per forza frequentare «il liceo scientifico anziché l’artistico a indirizzo moda», dicendogli: «Hai un mese di tempo» per diventare eterosessuale. In caso contrario: «Ti butto giù dal balcone». Gli insulti, contestati fino al 2022, sono stati elencati solo in parte: «mi vergogno di avere un figlio come te», «fai schifo», «abbiamo creato un mostro», «il tuo corpo fa schifo, sembra quello di una donna».
L’adolescente, disperato, si era rivolto allo psicologo della scuola che aveva avvisato la polizia municipale e fatto partire l’indagine: lui, allontanato da casa e affidato a un’altra famiglia, ha ritrovato la serenità. Sentito in incidente probatorio, il minore (che ora è tutelato come vittima dall’avvocato Mauro Scaramozzino) aveva raccontato che cosa aveva dovuto sopportare. Le botte prese erano state meno dolorose delle umiliazioni subite. E nemmeno sua madre l’aveva protetto. La donna, assistita come il marito dall’avvocata Valentina Colletta, è accusata di «non essere intervenuta per bloccare» il coniuge, e di avergli spiegato che suo padre stava facendo così «per il suo bene».

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