REPUBBLICA 5\10\2023
L’uomo ha discusso la tesi ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino
Killer si laurea con lode in cella: Catello Romano nella tesi confessa tre omicidi
di Dario del Porto
Si laurea in carcere con il massimo dei voti e, nella tesi, ammette di aver commesso tre omicidi per i quali non era mai stato processato. «Mi chiamo Catello Romano. Ho 33 anni e sono in carcere da 14 anni ininterrotti. Ho commesso crimini orrendi e sono stato condannato per diversi omicidi di camorra. Quella che segue è la mia storia criminale».
Si legge come un romanzo, ma racconta episodi drammatici realmente accaduti e una clamorosa confessione, la tesi di laurea in “Sociologia della sopravvivenza”, dal titolo “Fascinazione criminale”, che Romano ha discusso ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino.
L’esponente politico fu ucciso il 3 febbraio del 2009 mentre era in auto con il figlio. All’epoca dei fatti Romano era un fedelissimo di Renato Cavaliere, esponente di spicco del clan camorristico D’Alessandro oggi collaboratore di giustizia.
Alla fine della seduta, la commissione di laurea ha premiato il 33enne con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. «È stato molto apprezzato il lavoro di tipo “autoetnografico” svolto dal candidato», spiega il relatore, il professor Charlie Barnao dell’università di Catanzaro.
Si tratta, come scrive Romano nella sua tesi, «di una sorta di intervista con sé stessi» in cui si cerca di comprendere il passato «attraverso un processo di immedesimazione». Poi aggiunge: «Ho creduto di mettere in atto, attraverso questo lavoro, almeno in una certa misura, un’opera di verità e riparazione, non oso dire giustizia, nei confronti di chi è stato direttamente colpito dal mio agito deviante», rivelando «fatti e circostanze che, ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, non hanno mai avuto un seguito giudiziario e, dunque, di appuramento di mie responsabilità penali dinanzi a un regolare tribunale».
Romano, che dopo l’omicidio Tommasino iniziò una brevissima collaborazione con la giustizia subito interrotta da una spettacolare fuga e mai più ripresa confessa nelle pagine della tesi di aver preso parte ad altri due agguati di camorra: il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, uccisi il 28 ottobre del 2008: «L’evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita», scrive.
Romano rivela di aver addirittura coinvolto in appostamento una delle sorelle, ignara di tutto («le rifilai la balla che volevo far ingelosire la mia ragazza») e che Donnarumma non doveva essere ucciso: «Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui». L’altro delitto che Romano ammette di aver commesso è quello di Nunzio Mascolo, ammazzato il 5 dicembre 2008. Quanto all’omicidio Tommasino, il 33enne riconosce che sulla vicenda «ancora non si sono diradate le nebbie». Poi sostiene di aver fatto cenno ai sicari, mentre seguivano in scooter l’auto del consigliere comunale, di non sparare perché a bordo della vettura c’era anche “na criatura”, in realtà il figlio adolescente della vittima. «Malauguratamente quei due capirono l’esatto contrario».
L’ipotesi alla base della tesi è che «il crimine esercita una profonda fascinazione» nei confronti dei giovani, arrivando a «sostituire la famiglia d’origine». Romano, che da bambino voleva fare il poliziotto e ricorda il trauma della separazione dei genitori, afferma di essere stato affascinato dal personaggio di un film, “Il camorrista”: «Nel mio caso, lo spazio interiore è stato occupato prima da “’o prufessore ‘e vesuviano, cioè Raffaele Cutolo, poi da Renato Cavaliere, il mio “compare di malavita”». Oggi Romano dice di voler ripartire «da quel Catello che ero prima di tutto quello che ho raccontato». Per il professor Barnao, «il senso profondo di questo percorso sta già nel fatto di essere arrivato a raccontare, nel dettaglio circostanze che avranno delle conseguenze, pur di riuscire a mettere ordine, una volta e per sempre, nella propria vita
Si legge come un romanzo, ma racconta episodi drammatici realmente accaduti e una clamorosa confessione, la tesi di laurea in “Sociologia della sopravvivenza”, dal titolo “Fascinazione criminale”, che Romano ha discusso ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino.
L’esponente politico fu ucciso il 3 febbraio del 2009 mentre era in auto con il figlio. All’epoca dei fatti Romano era un fedelissimo di Renato Cavaliere, esponente di spicco del clan camorristico D’Alessandro oggi collaboratore di giustizia.
Alla fine della seduta, la commissione di laurea ha premiato il 33enne con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. «È stato molto apprezzato il lavoro di tipo “autoetnografico” svolto dal candidato», spiega il relatore, il professor Charlie Barnao dell’università di Catanzaro.
Si tratta, come scrive Romano nella sua tesi, «di una sorta di intervista con sé stessi» in cui si cerca di comprendere il passato «attraverso un processo di immedesimazione». Poi aggiunge: «Ho creduto di mettere in atto, attraverso questo lavoro, almeno in una certa misura, un’opera di verità e riparazione, non oso dire giustizia, nei confronti di chi è stato direttamente colpito dal mio agito deviante», rivelando «fatti e circostanze che, ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, non hanno mai avuto un seguito giudiziario e, dunque, di appuramento di mie responsabilità penali dinanzi a un regolare tribunale».
Romano, che dopo l’omicidio Tommasino iniziò una brevissima collaborazione con la giustizia subito interrotta da una spettacolare fuga e mai più ripresa confessa nelle pagine della tesi di aver preso parte ad altri due agguati di camorra: il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, uccisi il 28 ottobre del 2008: «L’evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita», scrive.
Romano rivela di aver addirittura coinvolto in appostamento una delle sorelle, ignara di tutto («le rifilai la balla che volevo far ingelosire la mia ragazza») e che Donnarumma non doveva essere ucciso: «Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui». L’altro delitto che Romano ammette di aver commesso è quello di Nunzio Mascolo, ammazzato il 5 dicembre 2008. Quanto all’omicidio Tommasino, il 33enne riconosce che sulla vicenda «ancora non si sono diradate le nebbie». Poi sostiene di aver fatto cenno ai sicari, mentre seguivano in scooter l’auto del consigliere comunale, di non sparare perché a bordo della vettura c’era anche “na criatura”, in realtà il figlio adolescente della vittima. «Malauguratamente quei due capirono l’esatto contrario».
L’ipotesi alla base della tesi è che «il crimine esercita una profonda fascinazione» nei confronti dei giovani, arrivando a «sostituire la famiglia d’origine». Romano, che da bambino voleva fare il poliziotto e ricorda il trauma della separazione dei genitori, afferma di essere stato affascinato dal personaggio di un film, “Il camorrista”: «Nel mio caso, lo spazio interiore è stato occupato prima da “’o prufessore ‘e vesuviano, cioè Raffaele Cutolo, poi da Renato Cavaliere, il mio “compare di malavita”». Oggi Romano dice di voler ripartire «da quel Catello che ero prima di tutto quello che ho raccontato». Per il professor Barnao, «il senso profondo di questo percorso sta già nel fatto di essere arrivato a raccontare, nel dettaglio circostanze che avranno delle conseguenze, pur di riuscire a mettere ordine, una volta e per sempre, nella propria vita
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