La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» diEmiliano Morrone

Oggi siamo tornati sulla vicenda del piccolo Mariano, "Il capitano", che da poco è rientrato da Bologna con nuove speranze. Forse c'è un farmaco che può cambiare la sua vita. Nello scorso aprile avevamo raccontato la storia commovente di questo bambino prodigio, che affronta la propria malattia con coraggio esemplare e la grazia della fede, con l'affetto dei genitori e tanta solidarietà da parte di molte persone, alimentata dall'intervista di sua madre al nostro giornale. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria

                        da   https://www.corrieredellacalabria.it/  13\10\2023

La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» 

                                   di  Emiliano Morrone  

 


 VENA DI MAIDA Mariano è appena rientrato a casa: a Vena di Maida, nel Lametino. Il bimbo era stato di recente ricoverato nel reparto di Pediatria del policlinico Sant’Orsola di Bologna, per approfondimenti sulla malattia rara che l’ha portato a pesare 143 chili all’età di nove anni.Nell’aprile scorso, il Corriere della Calabria aveva raccontato la storia del piccolo, di continua emigrazione sanitaria assieme ai genitori, gravi affanni quotidiani e uno straordinario coraggio personale. Era stata sua madre, l’avvocato Tamara De Fazio, a riassumerla in una lunga intervista, che – oggi riferisce – «ha determinato una solidarietà enorme e cambiato la vita della nostra famiglia». «Da Bologna siamo tornati con delle speranze. Lì, i medici – riferisce la signora – ci hanno detto che un farmaco sperimentale potrebbe essere utile al futuro di nostro figlio. Percorriamo una strada nuova, sorretti dalla fede che ci accompagna e dall’umanità, dalla comprensione e dall’aiuto che riceviamo in paese e ovunque ci troviamo».Mariano ha una grande vivacità intellettuale. È estroverso, simpatico, espansivo. Ama leggere, vuole conoscere in profondità i vari argomenti, pone domande acute, suona diversi strumenti musicali e serve la messa. Il bimbo ha una forza d’animo esemplare, a scuola è il leader della classe e i suoi compagni l’hanno ribattezzato “Il capitano”, riconoscendogli la fermezza di chi guida una nave resistente alla tempesta.«Il nostro viaggio a Bologna è legato – precisa la signora De Fazio – all’attenzione pubblica, sulla vicenda di Mariano, suscitata dal vostro giornale. Appena uscì la mia intervista, intervenne la Garante regionale della salute, Anna Maria Stanganelli, ci fece ottenere dei presìdi indispensabili e accelerò l’arrivo di una sedia a rotelle per il nostro bimbo. Il chirurgo ortopedico Massimo Misiti ci mise in contatto con alcuni specialisti dell’ospedale Rizzoli di Bologna, che presto videro Mariano per migliorarne la deambulazione. Lì, al Rizzoli, viste la patologia complessa e l’obesità importante del bambino, crearono un ponte con il Sant’Orsola, in particolare con il dipartimento pediatrico, in modo che lo visitasse subito il professore Andrea Pession, luminare e direttore di quella struttura».
E poi?«Al Rizzoli, i professori Cesare Faldini e Francesco Traina, che si erano ben documentati sulla storia di Mariano, avevano già preparato la strada per farci incontrare subito i pediatri del Sant’Orsola. Ricordo bene quel giorno. Era il mattino del 22 giugno scorso. Faceva caldissimo e venivamo da un viaggio estenuante in auto, poiché Mariano non aveva potuto prendere l’aereo. Il piccolo era sudato, stanco, privo di forze. Parcheggiamo la vettura all’ombra, vicino al Sant’Orsola, e io mi fiondo dal professor Pession. Lascio in auto mio figlio con mio marito. Parlo con gli specialisti e loro mi chiedono dove si trova Mariano per raggiungerlo alla macchina».
Allora escono dall’ospedale?
«Si, e vanno sino all’automobile, conoscono il bambino e ci propongono di ricoverarlo in giornata per avviare sofisticate indagini e studiare il caso. Manifestano una cordialità e un’umanità uniche. Noi non eravamo organizzati per il ricovero, avevamo programmato di rimanere a Bologna soltanto per le visite di quel giorno. Quindi il professor Pession e la sua équipe ci fanno rientrare di nuovo in Calabria e ci anticipano che, prima dell’inizio della scuola, Mariano potrà tornare per essere rivalutato. In effetti, arriva settembre, loro ci contattano e ci fanno partire il 14 del mese. Affrontiamo ancora una volta un viaggio complicato, sempre in macchina. Mariano adesso pesa 143 chili, necessita di pannoloni per la notte e tanto altro da portare. Arriviamo in ospedale nella giornata del 14 settembre. Dovevo restare io con il bambino, mio marito Dino aveva necessità di rientrare per lavoro. A Mariano danno una stanza singola e a me un posto accanto per fornirgli assistenza diretta».

Però qualcosa va storto?
«Sì, al punto che dobbiamo cambiare i programmi. Dopo dieci anni di viaggi della speranza, ci abbandona la nostra vettura, acquistata poco dopo la nascita di Mariano. Mio marito resta quindi a piedi, è costretto a tornare a Bologna, a chiamare un carro attrezzi e a lasciare in un deposito l’automobile, che attendiamo di riportare in Calabria con una bisarca. Dino arriva di nuovo in ospedale e ci ritroviamo in stanza con Mariano, con cui poteva restare soltanto un genitore, secondo le regole del reparto».
Un’odissea, insomma.
«Di più. Non c’erano posti negli alberghi vicini, pieni per un concomitante evento pubblico. Infermieri e medici sono gentilissimi, sorridenti, empatici. Capiscono la situazione, ci consentono di stare con Mariano e ci procurano due poltrone come letti. Per circa otto giorni, allora, riusciamo ad assistere il piccolo in ospedale e l’aiutiamo a spostarsi nei vari padiglioni, a sottoporsi agli esami previsti».
Che cosa emerge?
«I medici presumono che l’obesità di Mariano, con la quale combattiamo ormai da dieci anni, sia di origine genetica. Ci informano che, se l’ipotesi è confermata dagli accertamenti, forse per Mariano si può utilizzare un farmaco sperimentale, già commercializzato all’estero ma non in Italia, che potrebbe cambiare il destino, la vita di nostro figlio. Però ci vorrà ancora del tempo: si parla di dicembre o gennaio, per capire se si potrà utilizzare questa molecola innovativa, ora in uso in Germania e in Inghilterra».
E nel frattempo?
«Un dato è certo: adesso alle spalle abbiamo un pool di medici, dal genetista all’endocrinologo. Anche dal punto di vista respiratorio, Mariano è stato rivalutato, quindi il ventilatore polmonare col quale dorme di notte è stato riprogrammato. Il bambino è stato seguito e sorvegliato durante la respirazione notturna. Diversi parametri andavano aggiornati, modificati. Anche la mascherina che utilizzava doveva essere sostituita con una più adeguata. Ecco, adesso ci sentiamo più garantiti, sicuri: siamo seguiti da specialisti che, con controlli e ricoveri periodici, vogliono fare il massimo, il meglio per il nostro bambino. Abbiamo ricevuto, ribadisco, gentilezza, umanità e attenzioni meravigliose. Mariano ha mostrato la sua vivacità ai medici e agli infermieri che si sono presi cura di lui. Perciò, abbiamo un bellissimo ricordo di quei volti, di quelle persone, la gran parte di origini calabresi e siciliane».

Come siete ritornati?
«Viene il momento di rientrare a casa, noi non abbiamo più la macchina ma ci tocca riportare indietro tanta roba. Da Vena ci inondano di telefonate di solidarietà, al punto che non riusciamo più a rispondere al telefono. Quasi ogni giorno il telefono squilla tra messaggi e telefonate. Tutti vogliono sapere le condizioni del “Capitano” e le eventuali novità. Quando, poi, si diffonde anche la notizia che siamo rimasti a piedi, si scatena una solidarietà inimmaginabile».
Cioè?
«C’era chi sarebbe partito di notte per arrivare il giorno dopo; chi aveva noleggiato un furgone, chi aveva preso un’altra macchina per venirci a prendere. Ci ritroviamo alla fine con 10 o 15 persone pronte a noleggiare un mezzo per arrivare a Bologna e riportare a casa “Il capitano” con una macchina comoda, adatta alle sue esigenze. A un certo punto, ci assale pure l’imbarazzo: se dicevamo di sì a uno, magari l’altro ci restava male. Non avevamo nemmeno una data certa né l’orario delle dimissioni. Perciò fatichiamo a gestire questo aspetto. Inoltre, dobbiamo vedere, quando arriverà, di che morte dovrà morire la nostra macchina, che ci ha lasciato a piedi e senza parole. Anche in questa vicenda di sfortuna, abbiamo trovato affetto e solidarietà smisurati. Quando Mariano è poi rientrato a scuola, è stato accolto a braccia aperte con un cartellone enorme, una festa commovente. Stessa cosa hanno fatto in chiesa, perché Mariano frequenta la parrocchia».
Che cosa ne ha tratto?
«Niente è casuale, se credi nel Signore. Se non combattessimo ogni giorno, non sapremmo che ci sono persone così vicine, umane, premurose. Prima di partire, alcune mamme della classe di Mariano, diversi bambini e altre persone hanno voluto salutare di persona nostro figlio. La scuola sarebbe iniziata il 14 settembre e lui sarebbe stato assente per via del ricovero a Bologna. C’è stato anche chi, per il viaggio di Mariano, ci ha portato una crostata con marmellata senza zucchero. Siamo storditi da tanta amorevole partecipazione. Prima di partire, Mariano, che ama leggere anche in pubblico, ha voluto scrivere e recitare la preghiera dei fedeli, con cui ha augurato buon anno scolastico ai bambini e ragazzi della comunità di Vena».
Quali sono, ora, i suoi sentimenti?
«Si sono riaccese le nostre speranze e abbiamo potuto allacciare rapporti umani autentici, splendidi. L’informazione ha mosso le coscienze. Significa tanto, non solo per noi». (redazione@corrierecal.it)

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