Mai più, e per sempre


Gli sembrava che l'aria, lì intorno, lo ghermisse fin quasi a soffocarlo. L'avvertiva liscia, umida, appiccicosa, con un sentore di miele. Simile a certe mattinate cilestrine, che avevano punteggiato la sua infanzia ormai lontana. Ne percepiva l'odore buio, remoto. Era entrato con lei in quella stanza dalle pareti asettiche. Attendeva il parto e si sentiva svuotato e incredulo. "Non tornerà più", risuonava una voce dentro di sé.

Sopra: Stefania Scarnati, Natività


E non sapeva se usciva dalla sua mente o da qualche spazio siderale. Non tornerà più questo momento, questa sconfinata regressione nell'universo. Tutto si ampliava e al tempo stesso tornava grumo, domanda, inizio. Attendeva. Udiva sé stesso incoraggiare, accarezzare, percepiva il suo sorriso fragile, inerme, bianco, poi un fulgore indistinto irrorò lo spazio circostante. Avrebbe voluto interrompere i gemiti di lei, e al tempo stesso non muoveva le mani grandi e inutili, la forza s'arrendeva, i muscoli cedevano. Svenire: no, mai. Il tempo si squadernava infinito, in una circolarità spaurata, e poi, trionfante, un flusso di pace, un abbraccio talmente lungo, e soave, che le lacrime lo sommersero e non ne provò vergogna. Ora udiva un altro gemito, un altro pianto che raccoglieva la sfida della vita. Non sapeva dire se fosse bello, quel giovane uomo di fronte a lui: sapeva solo che era suo, e fuor di lui. Sorrideva a quell'ovvietà dell'umano, lo sentiva così meravigliosamente unico e comune, che pensò di non pensare mai più. E per sempre, ripeteva il passo dei suoi padri, dei suoi nonni, di ognuno, nel grembo della terra e nell'abisso dei cieli, senza fede, ma con certezza che, se tutto dovesse finire, il paradiso era lì, raggiunto, solo, azzurro ciottolo d'oro.
(ad Alberto)

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