“Sono il bambino di Sciuscià ma finora nessuno lo sapeva”


“Sono il bambino di Sciuscià ma finora nessuno lo sapeva”
Nel ’46 Rinaldo Smordoni fu scelto per il film mentre giocava in strada: «Non l’ho detto neanche alle mie figlie: l’hanno scoperto col computer»


Una scena di «Sciuscià», il capolavoro di Vittorio De Sica: al centro, il piccolo Rinaldo Smordoni






Pubblicato il 12/12/2016
FLAVIA AMABILE
ROMA


«Un’intervista? Un’altra? Solo perché m’ha preso a scottadito come se dice a Roma, ma giuro che è l’ultima!». A casa di Rinaldo Smordoni, uno dei due giovani sciuscià protagonisti del film di Vittorio De Sica, si scopre che a 70 anni di distanza dalle riprese la realtà si è presa la rivincita sul neorealismo, la vita ha preso la direzione che Rinaldo ha deciso voltando le spalle alla fama, ai riflettori, fino a trasformare il suo passaggio nella storia del cinema italiano in un segreto gelosamente custodito. Finché l’era di Internet non ha portato informazioni di ogni tipo nelle case di tutti. Quindi anche nella sua.
Siamo in una traversa di via Ostiense, cuore della Roma popolare come lo era il quartiere dove abitava nel 1946 a due passi dalla Salaria. Lì lo trovò il produttore Paolo W. Tamburella mentre giocava con gli amici a spingere lungo la discesa dei carretti costruiti con quello che si trovava in giro. «Volete lavorare in un film?», chiese.
Rinaldo aveva dodici anni, al cinema non era mai andato. A malapena aveva frequentato fino alla terza elementare poi la guerra aveva costretto tutti a casa. Però rispose di sì, come tutti quelli del gruppo. «Eravamo una decina, per me era solo un nuovo gioco insieme ai miei amici», racconta.


Il bambino di Sciuscià: “De Sica mi offrì una parte. Risposi: no, grazie”





Al provino c’era Vittorio De Sica. Il giorno dopo gli altri tornarono ai carretti, Rinaldo rimase sul set. «Mi presero subito. Bravura? E che ve devo di’! Con l’altro protagonista, Franco Interlenghi, non andò così. Non sapevano chi prendere, facemmo una decina di riprese, erano indecisi tra due ragazzini. Alla fine lasciarono scegliere a me. “Così si trova meglio lui, che è più piccolo”, pensarono».
Anche per la parte della mamma De Sica preferì far lavorare la vera mamma di Rinaldo. Era il neorealismo. Furono molto neorealisti anche gli oltre quattro mesi di riprese: a volte finiva la pellicola, a volte mancava la corrente. In totale il film costò meno di un milione di lire, ma per il produttore fu un disastro finanziario.
A nessun italiano interessava andare al cinema a ritrovare le difficoltà della vita quotidiana. Quando De Sica provò a entrare in una sala cinematografica di Milano dove si proiettava Sciuscià fu accolto dagli spettatori infuriati. Poi però il film fu venduto per quattromila lire al distributore americano Ilya Lopert e decollò: l’Italia vinse il suo primo Oscar, e per la prima volta il premio fu conferito ad una pellicola non statunitense. Cinque anni dopo la deludente uscita, il film superò i 55milioni di incasso.
Per Rinaldo avrebbe potuto essere l’anticamera del successo come accadde a Franco Interlenghi. Ma lui era diverso. «Mi chiamarono per altri quattro-cinque film. Provarono anche a farmi lavorare in teatro con Paolo Stoppa. Avrei dovuto imparare a recitare in italiano. Insistettero per un mese, mi fecero leggere i Promessi Sposi, ma non ci riuscirono».


Sciuscià, capolavoro del neorealismo e premio Oscar di Vittorio De Sica





Nulla e nessuno ci sarebbe riuscito. Rinaldo aveva già scelto un’altra vita. «Il cinema è stato una parentesi, non me ne importava niente. A 19 anni mi chiamarono per un film ma ero già fidanzato con quella che sarebbe diventata mia moglie, non ci sono andato. Un’altra volta davanti alla stazione Termini c’era De Sica che girava un film. Mi abbracciò, non mi lasciava più. Mi offrì subito una parte. No, grazie, risposi. Da diversi anni avevo già la mia impresetta: facevo maioliche, marmi, pavimenti. A 27 anni sono entrato anche in Atac, come autista degli autobus: avevo famiglia, uno stipendio solo non bastava».
Se avesse voluto un doppio stipendio non sarebbe arrivato anche con cinema e teatro? «Sono stato felice della mia scelta. In quel mestiere campi davvero se sfondi. Se rimani una mezza sega sei sempre con l’acqua alla gola. E poi mi fermavano tutti sull’autobus, sempre con le stesse domande: ma De Sica com’è, ma quanto ti danno. Nun gliela facevo più».
La fama. C’è chi venderebbe sé stesso per essere riconosciuto. Dopo un’ora di intervista, invece, Rinaldo lo ammette: non ama la popolarità. Non la sopporta al punto da aver nascosto a tutti la sua presenza nel primo Oscar italiano. «Nemmeno alle mie figlie, l’ho detto. L’hanno saputo di traverso, per via del computer. E i miei amici fino a due-tre anni fa non sapevano nulla, poi si è sparsa la voce e ora ho più celebrità di quando ho girato il film. Perché non l’ho detto? Non so. Non è come se avessi dimenticato quella vita, ma quasi». E ha preferito la realtà al realismo.
Martedì 13 dicembre sarà presentato alla Casa del Cinema a Roma il documentario “Sciuscià 70”che racconta l’avventurosa realizzazione del film a 70 anni dalla sua uscita nelle sale nel 1946.

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