26.6.08

Il nome delle emozioni nell'Analisi

Riccardo Preziosi

Per iniziare il discorso vi riporto parte delle speculazioni filosfo C.D.Broad a riguardo del ruolo del cervello nell'esistenza come individui :


"Faremmo bene a considerare, molto più seriamente di quanto finora siamo stati indotti a fare, il tipo di teoria che Bergson espone relativamente alla memoria e alla percezione dei sensi. L'ipotesi è che la funzione del cervello e del sistema nervoso e delgi organi dei sensi sia principalmente eliminativa e non produttiva. Chiunque è capace in ogni momento di ricordare ttto ciò che gli è accadto e di percepire tutto ciò che accade dovunque nell'universo. La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa massa di conoscenza in gra parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior parte di ciò che altrimenti percepiremmo o ricorderemmo in ogni momento, e lasciando solo quella picolissima e particolare selezione che probabilità di essere utile in pratica."

"Le porte della percezione" 1958 Aldous Huxley





Se il discorso posto in questi termini può sembrare strano e inverosimile, rivalutando ciò che l'autore vuole sprimere con la parola "cervello" e "sistema nervoso" si può arrivare a una tesi interessante. Questo ruolo di filtro a parer mio è da addurre più al linguaggio che alla macchina nervosa nel suo complesso, che se pur arriva a percepire molto di più di quanto arriva a livello conscio è ovviamente mistica come ipotesi quella che sia in grado di abbracciare tutto l'universo. Ma la porta fra l'inconscio e il conscio è la parola che riduce, facendone oggetto, una infinità di percezioni e di emozioni. Non voglio dilungarmi sulle prime perchè esulano da quello che è mio interesse far notare. Mentre una buona definizione di emozioni si rende necessaria. Infatti per il senso comune l'emozione è generata dalla visione di qualcosa di bello, piacevole, pauroso terribile, oppure da un ricordo come da un pensiero, questa emozione percepita scatena poi all'interno del nostro organismo delle risposte fisiologiche, come la paura, la felicità e così via, corrispondenti alla stupefaciente alchimia che nel nostro cervello permette alla carne di tradursi in esperienza. Questa concezione di emozione, come generatrice di risposte fisiologiche, è totalmente sbagliata, è stato dimostrato che la risposta fisiologica, predeterminata a un determinato simolo, che sia pensiero o oggetto esteriore, oppure memoria o pensiero, si scatena prima del riconoscimento dell'emozione stessa che, a parer mio, può essere sintetizzata come il nome che l'individuo da al complesso di sensazioni che lo affliggono.
Adesso vi chiedo un salto immaginativo e di raffigurarvi mentalmente l'attività cerebrale con i suoi miliardi di neuroni, che al 90% sono costantemente attivi, anche a riposo, anche quando dormiamo. Se venisse riconosciuta ogni singola componente di questa attivazione biologica, l'identità personale ne uscirebbe annichilita, sarebbe tutto e niente, sommersa e schiacciata dalla attività biologica su cui si fonda. E' in questa concezione che penso debba  emergere il ruolo di filtro del linguaggio che da un nome, concretezza e quindi ci permette di percepire le nostre emozioni, il nostro stato d'essere. E' l'esperienza e il contatto con la cultura che ci permette di dare un nome alle cose e alle nostre emozioni, a quelle emozioni che per la quantità di energia che sprigionano all'interno del nostro corpo devono trovare una via d'uscita per lasciare il posto ad altre emozioni e non intasare il sistema nervoso con la stessa reiterata attività, condizione che non ci permettere di vivere, di fare esperienze ulteriori.
Il paziente quando si avvicina all'analista è in questa pietosa condizione, il suo linguaggio non gli permette di nominare le emozioni che lo afflliggono, di viverle e scaricale e progredire nella propria realizzazione come uomo. Al paziente manca la parola, e il correlato biologico del pensiero/parola senza vie di uscita diventa come una diga che deve sostenere un peso superiore al normale, l'apparato psichico per non collassare sotto al peso del suo stesso peso dirotta questa energia dovunque può, fino a culminare nel sintomo che se pur permette di sopravvivere a questa situazione rende la nostra qualità di vita estremamente peggiore.
E' in questo momento che entra in gioco l'analista, che nell'ascoltare i discorsi del paziente capisce qual'è il punto del discorso in cui manca la parola giusta, la parola che permetterebbe al paziente di liberarsi da quell'emozione che ingolfa il suo apparato psichico. Il paziente che dice "il mio problema è che voglio essere un genio" non riesce ad esprimersi in primo luogo a se stesso, perchè il suo problema non è questo desiderio, ma è la paura di essere dimenticato, la frase giusta dovrebbe essere "il mio problema è che non voglio essere dimenticato". Quando l'analista fa notare questa cosa al paziente, proponendo l'anello mancante al pensiero, il discorso/pensiero è libero di continuare a scorrere, e raggiungere nuove strade. Perchè dietro a quel buco posto nella strada del nostro pensare ci sono nuove e infinite strade, nuovi ricordi che rimanevano silenti alla nostra coscienza, ma rumoreggiavano e urlavano al nostro inconscio. E' infatti quando l'analista dona la parola al paziente che questo ricorda, e ricordando il  proprio passato libera le energie ingolfate associate ad esso e al ricordo delle emozioni vissute, che vivono ancora costantemente nella nostra mente, togliendo spazio ad emozioni nuove, a nuove esperienze alla crescita e alla nostra realizzazione personale.

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