LA TRANSESSUALITÀ NON È UN PRANZO PER GENDERQUEER di ©® Daniela Tuscano

 


Neviana Calzolari, sociologa, attivista, scrittrice e volto tv. Eppure ben poco mainstream, anzi, fra le osservatrici più acute (e critiche) del panorama politico-sociale dei nostri tempi. Una voce autorevole anche riguardo al ddl Zan, che rifugge da semplificazioni manichee e opposti ideologismi. Voce che sa accompagnare e da cui traspare una forte attitudine educativa. Voce della quale si sente il bisogno. gruppo Il gruppo I-Dee di Milano e l’associazione Ipazia di Catania l’hanno incontrata.
– Questo ddl è stato pensato per combattere l’omotransfobia, quindi con buone intenzioni – esordisce Neviana –, ciò nonostante rimango scettica su certa terminologia, in particolare sull’”identità di genere” che allarma buona parte del mondo femminista e – ormai nessuno lo nega più – anche moltissimi intellettuali di area progressista. Sembra paradossale dirlo, ma io, in
quanto donna transessuale, non mi sento rappresentata. Fra le “categorie” elencate nell’articolo 1 le persone transessuali infatti non compaiono. Come collocarle? Nel genere o nel sesso? Per i promotori della legge si tratta di distinzioni inutili, poiché la transessualità verrebbe compresa nel più ampio cappello dell’identità di genere. Ma è una motivazione semplicistica e fuorviante: la transessualità, occorre ricordarlo, non riguarda il percepito, bensì i corpi, e nemmeno si possono assimilare donne e uomini alla nascita a persone che hanno completato il percorso di transizione, come se la differenza tra i loro vissuti fosse inesistente.
I-DEE/IPAZIA – Ma sottolineare questa differenza non comporta una discriminazione?
NEVIANA – Discriminare significa, appunto, fare la differenza. Dipende poi come la si intende: se come disparità di trattamento, pregiudizio… o, invece, come presa d’atto d’una realtà. Ovviamente è quest’ultima a interessarmi. Sesso biologico e sesso anagrafico non sono costruzioni identitarie fittizie. L’identità sessuale concerne sia la biologia, sia il vissuto dei singoli. La sovrapposizione confusiva tra sesso e genere, che il ddl innesta in chiave antifemminista, si sperimenta nei consultori pubblici (spesso promossi dalle stesse associazioni trans), dove viene incoraggiata un’adesione quasi caricaturale agli stereotipi di genere. L’ideologia di genere, comunemente sbandierata come il nuovo che avanza, riecheggia i luoghi comuni più stantii riguardo a femminilità e mascolinità. Che cosa ci identifica come donne: il trucco? I tacchi? Gli abiti? Il luogo dove ci si “traveste” (a me è stato chiesto anche questo…)? Il comportamento? Devo dimostrarmi sufficientemente carina, accogliente, premurosa per venir considerata donna a tutti gli effetti? Mi rendo conto delle difficoltà nel formulare talune valutazioni, ma proprio per questo il centrosinistra necessiterebbe d’un pensiero politico organico sul tema, oggi del tutto assente.
– Perché parli di antifemminismo?
– Perché le persone T vengono spinte ad aderire a una polarizzazione rispetto alle istanze del movimento femminista, il quale, al contrario, da sempre si batte per l’eliminazione degli stereotipi di genere. Senza dimenticare che, negli ultimi anni, gli assessorati di centrosinistra hanno finanziato indifferentemente tanto le associazioni femministe storiche, come l’Udi o la Casa delle Donne, quanto attività come Arcigay che muovevano da esigenze diverse e in alcuni casi opposte a quelle del femminismo stesso. Ho parlato di antifemminismo, ma dovrei aggiungere transfobia; riflettiamo: cosa c’è di più transfobico di una donna T incoraggiata a comportarsi come una bambolina o di un uomo T costretto a recitare la parte del bullo?…
– Ma le persone T non potrebbero ribellarsi a questi condizionamenti?
– Non è facile, perché la rinuncia comporterebbe ai loro occhi la completa emarginazione sociale e molti problemi nei consultori. La maggior parte delle persone T puntella il senso di sicurezza nel costruire la propria identità a partire dagli aspetti più appariscenti e superficiali. Al contrario del messaggio glamour veicolato dai media, il percorso di transizione è profondamente drammatico. Cambiare la propria identità sessuale significa addentrarsi in una “terra di nessuno” dove abbandoni il sesso di nascita senza poterti appoggiare del tutto a quello d’elezione. La maggior parte delle persone T non riesce ad accettare che resti comunque una differenza – un discrimine per tornare al discorso precedente – fra la propria esperienza umana e quella di chi nasce e si identifica col sesso biologico. Ecco perché contesto le banalizzazioni insite nel ddl: non bisogna mai rimuovere questi vissuti così complessi anche perché le persone T sono vittime di odio e violenze proprio in base alla loro storia e non a prescindere da essa. Se anziché attaccarsi ossessivamente agli stereotipi o insistere sull’approvazione sociale ci si concentrasse su di sé e sul fatto di essere orgogliosi del proprio cammino si vivrebbe sicuramente meglio. Certo in modo più adulto e maturo, perché la transessualità non implica solo sofferenza ma anche gioia, fierezza, serenità.
– Negli ultimi anni, specialmente dopo lo scalpore suscitato da alcuni episodi di cronaca, assistiamo a un aumento d’interesse degli uomini verso le donne T, quasi che ricerchino in esse non solo il “proibito”, ma anche quella femminilità passiva, asservita ai desideri del maschio, cui le donne biologiche non sono più disposte a sottostare. Certe trans “mediatiche” non perdono occasione di ripetere che loro “sono più donne” di tutte…
– Non solo. Le donne T più ossessionate dalla differenza arrivano a simulare le mestruazioni, sporcano gli assorbenti con sangue finto e vivono nel terrore che il partner scopra la loro transessualità. Nessuno osa parlarne perché collide con la narrazione edulcorata diffusa dai mezzi di comunicazione di massa, invece le trans dovrebbero riconoscere, e combattere, questo vissuto omertoso e profondamente menzognero. Quanto all’interesse, o meglio all’attrazione, di taluni uomini nei loro confronti… beh, non fa che confermare quanto detto. Non interessano le persone reali, ma soltanto il loro presunto lato oscuro, tabù. Sono viste come “monstrum”, non come esseri umani da conoscere e amare. Si tratta di un’attrazione del tutto morbosa, perversa, patologica.
– Non denota pure lo smarrimento maschile, la sua incapacità di accettare l’emancipazione della donna? Ricercano le trans perché con la loro adesione, talora esasperata, ai modelli di sottomissione rappresentano l’antitesi del femminismo.
– Senza dubbio. Per questo, invece d’insistere sull’identità di genere, le donne T e le donne biologiche dovrebbero esaltare le loro rispettive diversità, farne un punto di forza per contrastare il maschilismo di cui entrambe sono vittime. Anche una donna alla nascita non corrisponde quasi mai ai luoghi comuni impostile dalla società e “costruisce” sé stessa indipendentemente dalle aspettative dominanti. È un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
– In un precedente incontro hai sottolineato l’importanza del fattore educativo…
– Non è esattamente così. Rispondevo a una domanda precisa a proposito della giornata contro l’omolesbotransfobia e le eventuali applicazioni in ambito scolastico. Io non ho alcuna formula da proporre, anzi, me ne guardo bene! Occorre certo una educazione al rispetto umano, ma in senso ontologico e in tutti i campi. Penso alla presenza sempre più invasiva della pornografia, che ormai non risparmia nessuna fascia d’età. Ecco, in questo caso si renderebbe necessaria un’alleanza tra scuole e famiglie per prevenire un fenomeno che, sia rivolto verso etero sia verso persone omosessuali o trans, rappresenta la forma più banalizzante e schiavistica della sessualità. Una cosa è sicura, non andrei a parlare della mia esperienza nelle scuole inferiori. I ragazzi più grandi possono in qualche frangente accedervi, ma i piccoli vanno aiutati a comprendere a partire dalla loro esperienza, non da quella di adulti spesso alle prese, essi stessi, con un vissuto complesso e non del tutto risolto.
Daniela Tuscano

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