Il ragazzino della discarica salvato dalla boxe a un passo dall'oro delle Olimpiadi di Tokyodal nostro inviato Ettore Livini
Carlo Paalam festeggia la vittoria per ko ai quarti (afp)
Il filippino Carlo Paalam ha scavato fino a nove anni tra i rifiuti di Barangay Carmen facendo a pugni per i migliori pezzi di materiale da recupero. Scoperto dagli "osservatori" sui ring di quartiere è arrivato alle semifinali dei pesi mosca e con la prima borsa ha regalato un sacchetto di riso alla famiglia
TOKYO - Il ragazzo dei rifiuti ha passato i primi nove anni della sua vita nella discarica di Barangay Carmen. A scavare tra i rifiuti, contendendosi a cazzotti con i coetanei quelli più pregiati e cercando tra cartacce e montagne di plastica un qualche pezzo di metallo da vendere. Oggi, a 22 anni, quel metallo l'ha trovato. Se sarà oro, argento o bronzo lo saprà nei prossimi tre giorni. Quando il filippino Carlo Paalam - che nella vita non ha mai smesso di fare a pugni - si giocherà nella semifinale (e magari anche in finale) dei pesi mosca di pugilato il suo posto sul podio delle Olimpiadi di Tokyo.
Il percorso di Paalam verso il Giappone è iniziato da lontano nelle baracche dove viveva a fianco del suo "posto di lavoro" a Cagayan de Oro quando aveva appena sette anni. Nel paese di Manny Paquiao la boxe è sacra. I ragazzini, invece di tirare calci al pallone, si prendono a montanti e ganci nei cortili di casa. Carlo ha iniziato a sette anni. E quando un vicino di casa l'ha visto per caso combattere, ha fiutato il talento e gli ha consigliato di andare a guadagnarsi qualche soldo non nell'enorme immondezzaio dove cercava per dieci ore al giorno ferro e rottami da rivendere, ma a "Boxing in the park", i ring comunali costruiti in tutto il paese per far "giocare" al pugilato i bambini.
Detto fatto. Paalam, come i ragazzini di tutto il mondo, ha bigiato il lavoro e si è presentato ai Campetti. Magrissimo, pelle e ossa. In apparenza niente di che. Ma velocissimo e preciso come un laser. Uno alla volta ha iniziato a mettere al tappeto ragazzi più grandi e pesanti di lui. I talent scout che frequentato queste palestre all'aria aperta l'hanno notato subito. E dopo un paio di settimane il piccolo Carlos è tornato a casa, fierissimo, con un sacchetto di riso comprato con i soldi guadagnati con la sua prima "borsa". "Ho trovato materiale ottimo in discarica", ha raccontato al padre, totalmente all'oscuro dei suoi exploit sportivi.
La doppia vita tra rifiuti e ring è continuata fino al 2009. L'eco delle vittorie a raffica del ragazzetto della pattumiera è arrivato all'orecchio delle autorità sportive di Cagayan de Oro. Un potenziale talento nella boxe, nelle Filippine, è materiale su cui investire. E nel 2009, a 9 anni, Paalam è entrato nel piano sport-lavoro del governo. Un progetto che garantisce palestra per gli allenamenti e un piccolo stipendio mensile alle giovani promesse a patto che vadano a scuola.
La discarica di Barangay Carmen è uscita così dalla sua vita. A 13 anni è entrato in nazionale. Lo scorso anno ha vinto l'oro nei pesi mosca ai giochi del sud est asiatico. Oggi è il numero 12 del ranking mondiale nella categoria. "Se arrivo a Tokio è merito di chi ha creduto in me quando avevo nove anni - ha ricordato in un'intervista prima di partire per il Giappone -. Ringrazio la mia piccola squadra di boxe di Cagayan e il sindaco Oscar Moreno". La strada è stata lunga, ma il traguardo è a un passo. E invece di pezzi di rame, rottami di metallo o di stagno, ha un sogno tutto d'oro.
Sky Brown, con lo skateboard alle Olimpiadi di Tokyo a 13 anni
di Lorenzo NicolaoSi è guadagnata il pass per i Giochi superando brillantemente un grave infortunio: battuto il record di precocità per gli inglesi della nuotatrice Margery Hinton
Le sono bastati 13 anni e 11 giorni di vita per raggiungere l’ambito traguardo delle Olimpiadi. Un’età da record con la quale Sky Brown sarà la più giovane atleta della Gran Bretagna a partecipare ai Giochi di Tokyo il 4 agosto. La skateboarder sarà così una delle protagoniste del debutto olimpico della sua disciplina, affiancata dalla compagna di squadra 14enne Bombette Martin. Terza agli eventi di qualificazione, Brown è nata in Giappone il 12 luglio del 2008 da papà inglese e mamma giapponese ed è anche la più giovane professionista del suo sport. Con questo traguardo supererà il record della nuotatrice Margery Hinton, che aveva solo 31 giorni in più quando nel 1928 gareggiò ad Amsterdam per la nona Olimpiade moderna. La giovanissima skater è stata quindi confermata nel team britannico che raggiungerà Tokyo alla fine del mese, dopo aver già vinto una medaglia di bronzo ai campionati del Mondo del 2019 a San Paolo, successo che le aveva permesso di diventare subito una star, non solo nel mondo dello skateboard ma popolare anche fuori, con 809 mila follower su Instagram in vertiginoso aumento.
Il record di precocità alle Olimpiadi è solo uno dei tanti che Sky Brown ha già battuto, basti pensare al contratto con la Nike quando aveva 8 anni o ai successi in tornei dove gareggiava con ragazze che avevano il doppio della sua età, con tanto di partecipazione alle Vans United States Open Pro Series già nel 2016 e vittorie in tornei ospitati dal suo Paese e all’estero, in Svezia, Singapore ed Estonia. Personaggio ideale per qualsiasi campagna pubblicitaria, la piccola campionessa è già un modello da seguire, con dichiarazioni da attivista che infondono coraggio alle coetanee e che hanno presto raccolto l’approvazione del pubblico. «Noi ragazze sulla tavola possiamo fare tutto ciò che fanno i maschi, quindi il divertimento non può e non deve essere solo per loro. Lo skateboard è felicità e libertà per tutti».
Dietro il suo successo non può comunque mancare il pieno e totale supporto dei genitori, che le amministrano sponsor e vita professionale, oltre a una già oculatissima gestione della comunicazione, soprattutto sui social network. Le nuove piattaforme sono infatti imprescindibili per colei che farà il debutto olimpico in una delle discipline più giovani che saranno ospitate ai Giochi. Lo skateboard, nelle sue varianti park e street, sarà per la prima volta nel calendari di gara, insieme a surf, softball, baseball e karate, sport che con tutta probabilità raccoglieranno l’interesse delle fasce di pubblico più giovani. A dispetto dell’età, Sky Brown è comunque un’atleta già navigata, tra infortuni più o meno gravi, con uno dopo il quale ha rischiato anche la vita. A fine maggio del 2020, quindi in piena corsa per poter rientrare nella squadra olimpica britannica, la baby star dello skateboard è caduta da cinque metri d’altezza fratturandosi il cranio in allenamento. Tra lo spavento e il trasporto in ospedale d’urgenza in elicottero, dopo i primi momenti di paura la giovane campionessa ha però mostrato un atteggiamento super positivo, ringraziando il casco e i soccorsi per averle letteralmente salvato la vita ma subito riaffermando la chiara volontà di riprendere quanto prima, per poter andare all’Olimpiade di Tokyo e provare a vincere l’oro durante Giochi simbolici per lei, anche per essere ospitati dalla patria della mamma.Lo Chef de Mission del team britannico Mark England ha annunciato con grande orgoglio Brown e la compagna Bombette Martin come ambasciatrici dello skateboard a Tokyo. «Incredibilmente emozionante avere non solo le due skateboarder come volti della squadra in questa disciplina completamente nuova per le Olimpiadi, ma anche contare su promesse così giovani e dal grandissimo futuro davanti, talenti dei quali siamo fieri. Ora spetta solo a loro presentarsi a Tokyo nella migliore forma atletica possibile e competere per i traguardi più ambiti».
Il festino con alcol finisce male: muro sfondato e vomito, devastata stanza nel Villaggio Olimpico
Vomito in camera e un buco nel muro dell’hotel che ospita gli atleti nel Villaggio Olimpico di Tokyo. Sono stati questi i danni registrati subito dopo un festino a base di alcol finito male. “Un comportamento inaccettabile” che ha portato all’avvio di un’indagine interna per cercare di smascherare i responsabili.
Gli atleti australiani hanno danneggiato le stanze del villaggio Olimpico di Tokyo prima di partire, mentre altri compagni di squadra hanno mostrato "comportamenti inaccettabili" durante il volo di ritorno. A dirlo è stato il Comitato Olimpico Australiano che ha spiegato come alcuni atleti avevano danneggiato i letti dell'hotel in cui alloggiavano per i Giochi e praticato addirittura un buco in un muro.
Il capo del Team Australia, Ian Chesterman, senza nominare gli atleti o lo sport che rappresentavano, ha sottolineato cosa sia realmente successo ammonendo pesantemente i responsabili affidando alle specifiche federazioni il compito di smascherare i colpevoli: "Hanno lasciato le stanze in una condizione inaccettabile", ha detto Chesterman ribadendo comunque che il danno è stato minore di quello che si possa intendere:
"Non era difficile rompere il letto di cartone – ha aggiunto – Le stanze non sono state completamente distrutte in alcun modo". Problemi anche nel volo di ritorno dalle Olimpiadi verso Sidney. Ad essere finiti nell'occhio del ciclone, in questo caso, sono state le squadre di rugby e canottaggio.
Vomito nelle stanze e party con le altre nazioni
Alcuni atleti australiani avrebbero fatto baldoria poco prima della loro partenza. Una sorta di party in camera avrebbe scatenato l'ira degli addetti alle pulizie che sono stati chiamati per asciugare il vomito negli alloggi di alcuni atleti. In diversi erano ubriachi e scatenati a tal punto da danneggiare alcune camere. Il Comitato olimpico australiano ha dunque confermato che "alcuni individui hanno lasciato le loro stanze in uno stato disordinato e inaccettabile" ma senza voler estremizzare l'accaduto.
Nel frattempo le federazioni di rugby e canottaggio stanno avviando un'indagine interna per capire cosa sia accaduto: "Rugby Australia ha avviato un'indagine interna sulla questione per ribadire ancora una volta i valori del nostro gioco: rispetto, integrità, passione e lavoro di squadra". L'Australia ha dunque confermato quanto accaduto riservandosi di sanzionare gli atleti responsabili ma ribadendo come però il team australiano sia stato sempre corretto durante il soggiorno a Tokyo: "Alcuni giovani hanno commesso un errore e dovranno pagarne le conseguenze".
“Siamo sicuri che è una donna?”: l’orrendo sospetto sull’argento nei 200 femminili alle Olimpiadi
Christine Mboma ha vinto la medaglia d’argento nei 200 metri alle Olimpiadi di Tokyo, ma c’è chi getta pesanti ombre sulla sua strepitosa prestazione. La 18enne namibiana ha realizzato un tempo pazzesco, nuovo record mondiale Under 20. “È una chiara ingiustizia nei confronti delle donne che sono sicuramente donne”, l’attacco durissimo.
Non c'è pace per Christine Mboma, 18enne atleta namibiana già oggetto di polemiche nell'avvicinamento alle Olimpiadi. La giovane velocista e mezzofondista africana era stata estromessa ad inizio luglio dalla partecipazione ai 400 metri olimpici – nei quali aveva uno dei migliori tempi stagionali al mondo – per il livello troppo alto di testosterone, stessa sorte riservata alla connazionale e coetanea Beatrice Masilingi. Due giovanissime dai tempi mostruosi sulle quali si era abbattuta la World Athletics, regolamento alla mano: negli eventi femminili dai 400 metri al miglio il livello di testosterone non deve infatti superare un certo limite.
Secondo il Comitato Olimpico della Namibia, alle due ragazze è stato riscontrato "un livello naturale di testosterone alto" dopo che si sono sottoposte a test specifici per atleti con differenze di sviluppo sessuale. Mboma e Masilingi hanno una condizione che si chiama iperandrogenismo, ovvero appunto una eccessiva produzione di ormoni sessuali maschili da parte delle ghiandole endocrine: è la stessa situazione in cui versa la campionessa sudafricana Caster Semenya – due volte medaglia d'oro olimpica negli 800 a Londra e Rio – a sua volta fermata nel 2019, dopo l'introduzione del nuovo regolamento. La Federazione internazionale adesso impone che le atlete che superino il limite di 5 nanomoli di testosterone per litro di sangue debbano sottoporsi ad un trattamento farmacologico per abbassarlo e rientrare nei parametri, se vogliono partecipare alle competizioni sulle distanze che vanno dai 400 metri al miglio.
Queste atlete non possono dunque iscriversi a 400, 800, 1500 metri e miglio. Christine Mboma ha ripiegato allora – si fa per dire – sui 200 metri, dove ha piazzato un'altra prestazione pazzesca sulla pista dello Stadio Olimpico di Tokyo: medaglia d'argento col tempo di 21"81 – record mondiale Under 20 – dietro la giamaicana Elaine Thompson, sopravanzando di 6 centesimi la statunitense Thomas. Una grande gioia per la 18enne namibiana, offuscata dalle parole rivoltele dopo la corsa dall'ex velocista polacco Marcin Urbas, che ci è andato giù durissimo: "Vorrei chiedere alla Mboma un test approfondito per essere sicuri che sia una donna. Il suo vantaggio di testosterone sulle altre partecipanti è visibile ad occhio nudo. Nella corporatura, nel modo di muoversi, nella tecnica, è schiacciante anche in velocità e resistenza. Ha i parametri di un ragazzo di 18 anni, a quell'età il mio personale era di 22"01, guardate il suo tempo a Tokyo".
Dal canto suo, la giovane namibiana è assolutamente dentro le regole per quanto riguarda la sua partecipazione ai 200 metri, avendo ricevuto l'autorizzazione a competere a Tokyo da parte del Comitato Olimpico Internazionale. Tuttavia secondo Urbas è ingiusto che la Mboma stia battendo i record mondiali juniores con estrema facilità grazie alla sua situazione ormonale: "Con la progressione e il miglioramento della sua tecnica, presto scenderà a 21 secondi nei 200 metri e a 47 secondi nei 400 metri. È una chiara ingiustizia nei confronti delle donne che sono sicuramente donne". Al di là del merito della vicenda, non deve essere facile a 18 anni vivere tutto questo per Christine. E le polemiche sono destinate a proseguire.
La favola di Tamberi, oro a Tokyo con quel gesso custodito 5 anni: “Per me significa tutto”
Gianmarco Tamberi ha festeggiato la medaglia d’oro nel salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo a modo suo. Ha portato in pista il gesso con cui era stata immobilizzata la sua caviglia sinistra dopo l’infortunio rimediato nel 2016 un mese prima dei Giochi di Rio. Gimbo l’ha conservato per tutto questo tempo, in attesa del momento della sua rivincita sul destino: “Ricorda il giorno in cui ho deciso di provarci”.
Sulla pista del National Stadium di Tokyo ad un tratto è spuntato un gesso. Proprio nei momenti decisivi della finale del salto in alto, con Gianmarco Tamberi e il qatariota Barshim a giocarsi la medaglia d'oro che si sarebbero spartiti qualche istante più tardi. Quel gesso è il simbolo del trionfo di Gimbo. Un monumento alla resilienza, al sudore, al sacrificio di un'atleta che cinque anni fa si infortunava ad un mese dai Giochi Olimpici di Rio e oggi trionfa nella sua gara. Il lieto fine di una favola cominciata da un evento nefasto, per questo ancora più speciale da assaporare.
Tamberi abbraccia l'amico rivale Barshim, con cui si è diviso la
medaglia d'oro, poi comincia a saltare incredulo sulla pista del National Stadium, prima di crollare a terra commosso e incredulo. A pochi passi da lui c'è quel gesso, che poi abbraccia e porta in trionfo. "Per me significa tutto – racconterà qualche istante più tardi ai microfoni Rai – Per me significa tutto. Mi ricorda il giorno in cui ho deciso di provarci".
Un giorno di luglio 2016. Mancano poche settimane alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, Tamberi è in forma, proprio come oggi, e sta superando se stesso. Salta a 2.39, poi tenta di superare i 2.41 ma si fa male nel tentativo. La diagnosi è impietosa: lesione al legamento della caviglia sinistra e stop forzato di quattro mesi. Addio ai Giochi, quelli a cui sarebbe arrivato tra i favoriti nella sua disciplina.
"Ho passato una settimana nel letto a piangere – ha ricordato pochi minuti dopo aver vinto l'oro a Tokyo -. Per giorni ho pensato di aver perso tutto quello per cui avevo lavorato, tutti i miei sogni". Da quello stesso letto di ospedale, in qualche modo, Gimbo trova la forza interiore per ripartire e costruire la sua rivincita. "Ero in ospedale il giorno in cui ho deciso di provarci – ricorda –. Ho scritto Tokyo 2020 sul gesso e già sapevo che vincere sarebbe stato qualcosa di incredibile".
E così è stato. Tamberi ha conservato gelosamente il gesso dell'infortunio per cinque anni, la più forte delle motivazioni per ripartire nel viaggio verso il suo sogno olimpico. E sono arrivati insieme a destinazione, lì dove hanno trovato un nuovo compagno di viaggio. La medaglia d'oro.
Nessun commento:
Posta un commento