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Il peggior nuotatore della storia
By Andrea Sylos Labini
-30 Luglio 2021
Il peggior nuotatore della storia non sono io. O meglio, probabilmente lo sono, ma non ho guadagnato questo titolo a livello internazionale.Questa pregiata onoreficenza spetta ad un ragazzone della Guinea Equatoriale che risponde al nome di Eric Muossambani, ma sento davvero che anch’io ho qualcosa in comune con lui.Io che ho avuto in dono dal buon Dio un fisico poco portato per lo sport in generale, e decisamente “poco acquatico” nel particolare.Io che quando ero piccolo i miei decisero che dovevo fare un po’ di nuoto (all’epoca non è che lo sport te lo sceglievi) perchè faceva bene al fisico, dicevano;Io che avevo una sorella cinque anni più piccola, e mia madre per ottimizzare gli accompagnamenti in piscina cercò due corsi che si svolgessero contemporaneamente;Io che ebbi la sfiga che a quell’ora c’era un solo corso adatto al mio livello, che disgraziatamente coincideva con quello di mia sorella; e cosi io quattordicenne e lei novenne finimmo nello stesso corso popolato da bambini di dieci anni;Io che ero una frana a nuotare, tanto che nelle vasche a rana (quanto l’ho odiata la rana) i bambinetti per superarmi nella corsia mi superavano passando sott’acqua;Io che nelle dannatissime garette di fine corso ebbi un moto di orgoglio e decisi che almeno a stile libero, dovevo salvare la faccia e arrivare davanti ai mocciosi, costi quel che costi.Così in acqua quel pomeriggio diedi tutto quello che avevo, e forse rischiai anche un po’ la pelle, e ancora ricordo quelle due vasche a stile come uno degli sforzi maggiori della mia vita;Io che avevo rimosso questo ricordo, finchè non ho sentito la storia che adesso vi vado a raccontare. E quando ho visto il video -che trovate nel primo commento- ho potuto sentire sulla mia pelle lo sforzo eroico di ogni bracciata di Eric Moussambani, detto “l’anguilla”.Moussambani era un pallavolista amatoriale, nato e cresciuto nella Guinea equatoriale, e fino all’età di 21 anni non aveva mai imparato a nuotare.Poi nel 2000 la Guinea rientra in un programma per l’incentivazione dello sport nei paesi in via di sviluppo, e ottiene una Wild Card per il nuoto per le Olimpiadi di Sidney, quelle del nuovo millennio.Eric impara a nuotare alla meno peggio, un po’ in mare, un po’ nei fiumi, un po’ nell’unica piscina che ha a disposizione, quella dell’Hotel Ureca a Malabo.Con questo pregevole curriculum, forse unico nuotatore del suo paese, Eric parte per Sidney, partecipa alla cerimonia di apertura come portabandiera per la Guinea, e si presenta in piscina il giorno della gara: 100 mt stile libero.E’ una gara di qualificazione, per accedere alle fasi finali bisogna rientrare in un certo tempo, gli organizzatori lasciano da soli un’ultimissima batteria i tre “desperados” possessori di Wild card: Karim Bare dalla Nigeria, tale Farkod Oripov dal Tagikistan, ed il nostro valoroso Eric.E’ una gara apparentemente senza senso, nessuno dei tre ha speranze di rientrare nei tempi per accedere alle finali, ma si svolge comunque nello stadio del nuoto, davanti a 17.000 spettatori.In una piscina olimpionica di 50 mt.Eric una piscina di 50 mt non l’ha mai vista, quella dell’Hotel Ureca sarà grande si e no una quindicina, e la cosa deve aver influito nella scelta della gestione delle energie.Bene, in questi giorni di Olimpiadi abbiamo tutti negli occhi una gara di nuoto olimpica: atleti in tutine iperaderenti che salgono in pedana, sciogono i muscoli, sistemano cuffia e occhialini, poi si tutffano e partono con un ritmo indiavolato che va crescendo nel corso della gara, negli ultimi metri sembrano motoscafi.Eric sale in pedana con l’aria del condannato al patibolo: non ha tutine aderenti, non ha cuffia. Ha solo un costume mutanda slacciato e degli occhialini con l’elastico che svolazza.I suoi due compagni di batteria prendono un clamoroso abbaglio: si buttano in acqua pima dello start. Squalificati.Eric rimane al suo posto, aspetta il segnale di partenza e si tuffa in acqua in modo un po’ sgraziato.Solo.Con 17.000 spettatori che lo fischiano e ridono.Eric percorre la prima vasca a tutta birra, o per lo meno con quella che è la sua versione di “a tutta birra”: ben diversa da come siamo abituati a vedere alle olimpiadi, ma con un certa innegabile cazzimma.Arriva alla sponda dei 50 mt, vira in modo abbastanza dignitoso, ed inizia il ritorno.Il lunghissimo ritorno.Eric sembra aver bruciato tutte le sue energie nei primi 50 mt, e affronta la seconda vasca decisamente affaticato.Più aumenta la fatica, più la sua azione perde efficacia. Dapprima si scoordinano le gambe, poi le braccia e infine la testa. Gli ultimi 25 metri le gambe quasi non le usa più, devono essergli diventate dei pezzi di legno, e le braccia e la testa sembrano mosse dalla forza della disperazione.Ma Eric non molla.E’ solo, qualunque sia l’esito comunque non si qualificherà, il suo dovere ormai l’ha fatto, gambe e braccia devono bruciargli da morire e immagino quanto gli manchi il respiro.I cordoli delle corsie sono lì a portata di mano, e sarebbe tanto facile aggrapparsi e porre fine all’agonia.Ma Eric non molla, e continua a buttare lì bracciate scoordinate, che sono ognuna un inno alla sofferenza.E qui il miracolo dello sport: il pubblico se ne accorge, smette di ridere ed inizia ad applaudirlo.Eric lo sente, e sospinto dal calore della gente, trova la forza di concludere gli ultimi penosissimi 15 mt.Intanto la regia in mondovisione mostra il tempo di Eric (siamo oltre 1 minuto e 50) mentre come in tutti gli arrivi olimpici si vede in sovrimpressione il tempo del World record (all’epoca 48 secondi), amplificando l’effetto tragicomico, quasi a ricordarci che quel ragazzone nero che stenta a mantenersi a galla sta concorrendo per le OlimpiadiEric tocca l’agognata sponda come se fosse un naufrago che raggiunge la riva, e lo stadio del nuoto di Sidney esplode in un boato.La regia ci mostra il primo piano del volto di Eric deformato dalla fatica, con lui che a stento riesce ad alzare un braccio per salutare il pubblico che ormai lo adora.Ed io nel mio piccolo quando ho visto il video in un primo momento ho riso (perché inevitabilmente la scena si presta a facili ironie).Poi mi sono ricordato la mia sofferenza nella gara coi bambinetti, quando decisi che dovevo dare tutto. E ho sentito di nuovo su di me il bruciore nei muscoli pieni di acido lattico che non ce la facevano più, e i polmoni che sembravano scoppiare, e il senso di fatica prossimo al collasso quando mi aggrappai al bordo alla fine del supplizio.E ho pensato che è facile fare i fenomeni, se nasci Michael Phelps. Ed è bello immedesimarsi in Phelps quando nuota come un motoscafo e colleziona medaglie su medaglie, mangiandosi gli avversari.Ma ognuno deve giocare la partita con le carte che gli sono state servite, e ogni giorno deve confrontarsi con le prove che la vita gli mette davanti, anche senza essere particolarmente dotato o preparato per superarle.Anzi a molti di noi comuni mortali a volte tocca affrontare i problemi della vita con lo stesso sguardo con cui Moussombani ha visto per la prima volta la piscina olimpinica: qualcosa di enorme e apparentemente insuperabile.E allora nuota Eric. Nuota per tutti noi, gente normale.L’hanno capito i 17.000 dello stadio di Sidney, e oggi l’ho capito anch’io: in ogni tua bracciata affannata c’è lo sforzo di chi lotta con ostinazione per arrivare a fine giornata.In palio non ci sono medaglie, né onori.In premio per chi non molla c’è solo la soddisfazione di avercela fatta, e il rispetto di chi ti vuole bene.Il che, a ben pensarci, può essere una motivazione sufficiente a smuovere il mondo.
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