(Richard Heathcote/Getty Images)
Sono iniziate martedì, con la cerimonia di apertura, le Paralimpiadi di Tokyo, che fino al 5 settembre assegneranno medaglie in oltre 500 eventi a cui parteciperanno più di 4mila atleti e atlete, rispettivamente divisi e divise in apposite categorie (indicate da sigle i cui significati sono spiegati qui). Per ragioni tra le più svariate, moltissimi tra loro hanno storie notevoli: da chi ha saputo eccellere e vincere ori su ori, a chi ha già ottenuto un grandissimo risultato anche solo arrivando a Tokyo.
Tra le tante storie possibili ne abbiamo scelte alcune (18, per l’esattezza) tra le più significative. Con l’aggiunta di quella – che sta dentro una storia ben più grande – che riguarda due atleti che avrebbero dovuto esserci ma che, almeno per ora, non ci sono.
Markus Rehm
È tedesco, ha 33 anni e il suo soprannome è “Blade Jumper”, perché gareggia nel salto in lungo nella categoria T64, una di quelle riservate ad atleti con amputazione che competono con protesi. A Rehm (che alle precedenti Olimpiadi vinse anche un oro nella staffetta) fu amputata la parte di gamba sotto al ginocchio dopo un incidente del 2005, mentre faceva wakeboard. Qualche mese fa ha saltato 8,62 metri e in carriera ha già vinto tre ori olimpici. Un po’ come fu a suo tempo per Oscar Pistorius, anche Rehm ha provato – senza riuscirci – a ottenere i permessi per partecipare alle Olimpiadi, non solo alle Paralimpiadi. Oltre a essere un atleta, nella vita fa il protesista.
(Julian Finney/Getty Images)
Grigorios Polychronidis
È greco, ha 40 anni e compete nella boccia, uno dei due sport paralimpici (l’altro è il goalball) che non ha un vero e proprio corrispettivo olimpico e che è riservato ad atleti con patologie neurologiche. Polychronidis, che è affetto da atrofia muscolare spinale e che da pochi mesi è diventato padre, scoprì la boccia intorno ai vent’anni, con l’obiettivo di partecipare alle Paralimpiadi di Atene del 2004. Non ci riuscì, ma poi vinse un argento a Pechino, un oro a Londra in una gara di coppia e altre due medaglie a Rio, nel 2016.
(Gareth Copley/Getty Images)
Zahra Nemati
Gareggia nel tiro con l’arco e nel 2012 fu la prima donna iraniana a vincere un oro paralimpico, quando ancora nessuna sua connazionale aveva vinto un oro alle Olimpiadi. Nel 2016 partecipò sia alle Olimpiadi, dove fu portabandiera, che alle Paralimpiadi, dove rivinse l’oro. Ha 36 anni e compete nella categoria W2 poiché subì una lesione del midollo spinale quando a 18 anni fu colpita da un’auto. Prima dell’incidente praticava taekwondo, che è diventato sport paralimpico solo quest’anno.
(Jamie Squire/Getty Images)
Claire Supiot
È francese, ha 53 anni e quelle di Tokyo saranno le sue prime Paralimpiadi, nel nuoto. Dopo che già nel 1988, quando aveva vent’anni, aveva partecipato alle Olimpiadi di Seul. Supiot, che ha iniziato a gareggiare nelle gare paralimpiche solo da qualche anno, ha la malattia di Charcot-Marie-Tooth, una neuropatia ereditaria per cui ancora non esiste cura e che, tra le molte altre cose, comporta diversi problemi motori e stanchezza cronica. Rispetto a quel che è cambiato da Seul a Tokyo, ha detto: «Ho qualche ruga in più e le mie gambe non funzionano più come un tempo». A Le Monde ha raccontato invece, insieme a diverse altre cose, di come fa a nuotare: «Muovo le braccia come tutti, e faccio ognuno dei quattro stili, solo utilizzo un po’ meno le gambe».
Shingo Kunieda
È giapponese, ha 37 anni e nel tennis in carrozzina non c’è nessuno più forte. Oltre ad aver vinto due ori olimpici nel 2008 e nel 2012 (nel 2016 non c’era per infortunio), ha vinto 45 trofei in tornei del Grande Slam. È stato scelto come capitano della squadra paralimpica giapponese e in una recente intervista ha detto: «Spero che molti bambini, con o senza disabilità, possano guardare gli sport paralimpici e comprendere le infinite possibilità dell’umanità». Kunieda è paralizzato sin da quando era bambino, per le conseguenze di un tumore spinale.
(AP Photo/Thibault Camus)
Sarah Storey
È una ciclista britannica di 43 anni e una delle atleti paralimpiche più vincenti di sempre, con 15 medaglie d’oro complessive (la 15esima delle quali appena vinta alle Paralimpiadi di Tokyo e alcune delle quali vinte nel nuoto, il suo precedente sport). Storey, le cui prime Paralimpiadi furono quelle di Barcellona del 1992, compete nella categoria C5, poiché dalla nascita non ha la mano sinistra. Suo marito, Barney Storey, fa il “pilota” per ciclisti ipovedenti nelle gare di ciclismo su pista.
(AP Photo/Raissa Ioussouf)
Husnah Kukundakwe
Nata senza l’avambraccio destro e con una disabilità alla mano sinistra, è un’atleta ugandese di 14 anni: a queste Paralimpiadi non c’è nessuno più giovane di lei. A Tokyo, a soli due anni dalla sua prima gara, competerà nel nuoto nella categoria S9. Non ci si aspetta che vinca una medaglia, ma lei dice che tra i suoi obiettivi c’è anche la sensibilizzazione verso le disabilità. Intervistata dal sito delle Paralimpiadi dopo un evento di presentazione a cui era stata invitata, ha raccontato inoltre di essere felicissima per aver avuto modo di conoscere alcuni dei suoi idoli, compresa l’italiana Bebe Vio: «Mi sembra di essere seduta in mezzo a stelle del cinema», ha detto.
(Richard Heathcote/Getty Images)
Kate O’Brien
Dopo essere andata vicina a partecipare alle Olimpiadi invernali nel bob, nel 2016 partecipò a quelle estive, nel ciclismo su pista. Poi nel 2017, mentre si stava allenando ebbe un gravissimo incidente, con diverse ossa rotte e con lesioni cerebrali. Andò in coma e rischiò di morire, e quando si risvegliò le fu detto che non avrebbe più potuto pedalare, camminare e forse nemmeno tornare a parlare. A 33 anni, è tra le favorite per l’oro nella categoria C4, sempre come ciclista, sia in una gara su pista che nella prova a cronometro su strada.
Natalia Partyka
Ha 32 anni, è polacca, è nata senza l’avambraccio destro e a queste Paralimpiadi punta a vincere il suo quinto oro consecutivo nel tennistavolo. Tra l’altro, a queste Paralimpiadi ci arriva poche settimane dopo aver partecipato – sempre nel tennistavolo – alle sue quarte Olimpiadi. È raro che succeda, ma il suo caso non è il primo.
(Steph Chambers/Getty Images)
Brad Snyder
Ha 37 anni, è statunitense e a Tokyo gareggerà nel triathlon nella categoria PTVI1, riservata ad atleti ciechi. Lo divenne nel 2011, quando era un militare artificiere in servizio in Afghanistan, in seguito all’esplosione di una bomba. Già un anno dopo vinse tre medaglie a Londra, nel nuoto, e nel 2016 ne vinse altre tre. Da qualche tempo ha deciso di diventare un paratriatleta, in uno sport che debuttò proprio nel 2016.
(Sean M. Haffey/Getty Images)
Hannah Cockroft
È britannica, ha 29 anni, ha vinto cinque ori paralimpici alle due precedenti edizioni a cui ha partecipato e a Tokyo gareggerà su sedia a rotelle nei 100 e negli 800 metri, le due distanze previste per gli atleti della sua categoria (T34). Come ha scritto il Guardian, comunque, si presenta a Tokyo pochi mesi dopo aver migliorato i suoi precedenti record mondiali sui 100, 200, 400 e 800 metri: sono ormai dieci anni che nessuno la batte in una competizione mondiale.
(Bryn Lennon/Getty Images)
Jefinho
È brasiliano, ha 30 anni, è completamente cieco da quando ne aveva sette e il sito delle Paralimpiadi ha scritto di lui che «è considerato il miglior giocatore di sempre di calcio a 5 per ciechi». Anche quest’anno la nazionale maschile brasiliana è favorita, dopo aver vinto l’oro in ogni edizione dal 2004 (quando divenne sport paralimpico) al 2016, anche grazie a questi due gol nella semifinale contro la Cina:
Parfait Hakizimana
Per gareggiare a queste Olimpiadi nel taekwondo, è partito da un campo profughi del Ruanda, in cui vive e insegna arti marziali da più di cinque anni, dopo essere fuggito dalla guerra civile del Burundi, il paese in cui è nato. Hakizimana – che ha 33 anni e che perse l’uso del braccio sinistro otto anni fa, dopo che gli spararono in un attacco armato in cui fu uccisa la madre – è uno dei sei atleti della squadra paralimpica dei rifugiati.
Carol Cooke
Nata in Canada nel 1961, da bambina praticò la ginnastica, per poi scegliere di dedicarsi invece al nuoto, dove andò assai meglio. «A quindici anni» ha raccontato lei «il mio obiettivo erano le Olimpiadi di Mosca del 1980, ma purtroppo il Canada le boicottò, pensai che il mio sogno era ormai svanito». Cooke divenne poliziotta – continuando a nuotare in modo non agonistico – e intorno ai trent’anni si trasferì in Australia con il marito. Fu lì che, quando aveva 36 anni, le fu diagnosticata la sclerosi multipla.
Lei continuò comunque a nuotare, e poi si dedicò anche al canottaggio, riprendendo quel vecchio sogno di gareggiare per il Canada, alle Olimpiadi, nel nuoto (nel frattempo diventato il sogno di gareggiare per l’Australia, alle Paralimpiadi, nel canottaggio). Con la squadra australiana, a 46 anni, mancò per meno di un secondo la qualificazione alle Paralimpiadi del 2008. Decise poi di dedicarsi al ciclismo paralimpico, nella categoria T2, in cui si gareggia con veicoli a tre ruote.
Nel 2012, a 51 anni, Cooke riuscì infine a partecipare alle Paralimpiadi di Londra, di cui ricorda che tra le prime cose che lesse dopo essere uscita dall’aeroporto fu un cartello con scritto: «A tutti gli atleti olimpici, grazie per aver partecipato all’evento di riscaldamento». Nella gara, vinse poi l’oro. Ne vinse altri due a Rio e ora, a 60 anni, gareggerà a Tokyo. Ha detto che non crede di poter essere sufficientemente competitiva anche a Parigi, tra tre anni, ma ha precisato: «Aspetto il giorno in cui l’allenatore mi dirà “Carol, forse è ora di smettere”, ma per ora quel giorno non è arrivato, e allora vado avanti».
(Kelly Defina/Getty Images)
Birgit Skarstein
I prossimi mesi saranno piuttosto intensi per questa atleta norvegese. Perché a Tokyo gareggerà nel canottaggio, nella categoria PR1, e perché a marzo gareggerà nello sci di fondo alle Paralimpiadi di Pechino. Qualche mese fa trovò inoltre il tempo di partecipare alla versione norvegese di “Ballando con le stelle”, con ottimi risultati. Skarstein è paralizzata dalla vita in giù dal 2010, quando a 16 anni il trattamento per un infortunio alla gamba le causò danni irreversibili alla spina dorsale.
(Naomi Baker/Getty Images)
Jessica Long
È nata in Siberia ma fu adottata da piccola ed è statunitense. Prima che compisse due anni le furono amputate entrambe le gambe. Fece il suo debutto paralimpico nel 2004 ad Atene, quando a 12 anni vinse tre medaglie d’oro. Contando anche quelle vinte nelle successive Paralimpiadi ha vinto in tutto 13 ori, a cui si aggiungono alcune decine di altre medaglie mondiali. Nonostante la sua straordinaria carriera, molti statunitensi hanno scoperto la sua storia giusto qualche mese fa, quando fu protagonista di una pubblicità del Super Bowl, in seguito riproposta anche altrove, ad esempio durante le recenti Olimpiadi.
Omara Durand
È una velocista cubana ipovedente, che gareggia nella categoria T12, in cui è detentrice dei record mondiali sui 100, 200 e 400 metri. Sui 100 metri, il suo miglior tempo è di 11 secondi e 40 centesimi; i 400 li corre in 51 secondi e 77 centesimi.
Bebe Vio
È comprensibilmente parecchio famosa, in Italia ma anche all’estero: per la sua grande storia, per la sua partecipazione al documentario Netflix Rising Phoenix, e di certo anche per la sua gran vittoria (con relativa grande esultanza) a Rio, nel fioretto.
Tra gli oltre quattromila atleti presenti alle Paralimpiadi di Tokyo, in rappresentanza di oltre 160 paesi (alcuni dei quali alla prima partecipazione di sempre) non ci sarà nessuno che rappresenterà l’Afghanistan: l’unico atleta afghano, il nuotatore Abbas Karimi, gareggerà con la squadra dei rifugiati.
Zakia Khudadadi – che gareggiando nel taekwondo sarebbe diventata la prima donna afghana a partecipare alle Paralimpiadi – non è potuta andare a Tokyo perché sarebbe dovuta partire proprio nei giorni in cui i talebani sono arrivati a Kabul. E nemmeno l’altro atleta afghano – Hossain Rasouli, che gareggia nell’atletica – è potuto partire.
Secondo il sito australiano ABC News sia Khudadadi che Rasouli sono tra le decine di atleti e atlete afghani che sono riusciti a lasciare il paese dopo che l’Australia ha concesso loro un visto speciale per motivi umanitari. Sempre secondo ABC News, i due atleti avrebbero espresso il desiderio di potere, se possibile, andare a Tokyo. Nel frattempo, durante la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi si è scelto di mostrare comunque la bandiera afghana.
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