storie olimpiche parte 7 ( BIS )

erano talmente tante ler  stoprie   che  ho preferito di dividerle  in  due post 

Fausto Eseosa Desalu, dai primati non registrati alla cittadinanza a 18 anni fino alla favola delle Olimpiadi

di Marco Bonarrigo

Nato nel 1994 a Casalmaggiore (Cremona) da genitori nigeriani, Faustino è il classico italiano di seconda generazione. Ha cominciato col calcio ma a 17 anni è stato reclutato nell’Interflumina di Casalmaggiore

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(Getty Images)

Per diventare cittadino italiano, Eseosa Faustine Desalu, per tutti Faustino, quello che dei quattro eroi della staffetta olimpica azzurra si è fatto carico dell’ultima curva, ha dovuto aspettare di compiere 18 anni. Nato nel 1994 a Casalmaggiore (Cremona) da genitori nigeriani, Faustino è il classico italiano di seconda generazione.

Ha cominciato col calcio ma a 17 anni è stato reclutato nell’Interflumina di Casalmaggiore, una società di atletica che come molte altre in Italia è molto attenta a valorizzare quel gran bacino di talenti rappresentato dai giovani figli di immigrati. Quando nel 2011 stabilisce il nuovo primato allievi dei 60 ostacoli, questo non può essere convalidato perché Faustino non ha ancora il nostro passaporto. Successo dopo successo arrivano la cittadinanza, il reclutamento nelle Fiamme Gialle e una carriera di velocista che - curiosamente - è imperniata quasi esclusivamente sui 200 metri.

Faustino è veloce ma, soprattutto, è velocissimo in curva dove riesce a mantenere un equilibrio perfetto. Il suo 20”13 sui 200 (risale al 2018, poi qualche problema ai muscoli, purtroppo fragili, l’ha frenato) è il secondo tempo di sempre dopo il leggendario 19”72 di Pietro Mennea. Desalu si allena tra Bologna, Catania e Ortisei, ama il rock, i disegni manga e le clip di animazione.

Oltre alla sua superba prestazione in staffetta, di Desalu ha colpito il comportamento di mamma Veronica, l’unica tra i parenti dei nostri medagliati che ha rinunciato alle varie sfilate televisive in diretta. «Lavoro come badante - ha detto - e non voglio disturbare la signora che assisto. Ho visto con lei la gara e ci siamo commosse assieme e poi ci siamo divise una torta che ha portato sua figlia. E’ stato un bellissimo pomeriggio». 



  infatti  







«Vorrei dei nipoti da lui, così io potrò tornare in Africa dalla mia famiglia e riposarmi»
di Claudio Del Frate e Raffaele Rastelli / CorriereTv




Parla Veronica Desalu, la madre della medaglia d’oro nella 4x100 Eseosa «Fausto» Desalu, raggiunta nella casa dove vive con il figlio a Casalmaggiore (Cremona): «È sempre stato un bambino educato, che mi ascoltava. Fin da piccolo anziché camminare, correva sempre». E ancora: «Da mio figlio vorrei dei nipoti, così potrò tornare in Africa, dalla mia famiglia, e riposarmi. Sono orgogliosa di lui, prima di tutto gli ho insegnato il rispetto. E poi gli ho insegnato che i soldi vanno guadagnati in modo autonomo». Venerdì 6 agosto, nel corso del programma «Il circolo degli anelli» (Rai Due), la donna ha fatto sapere che non sarebbe andata in collegamento tv perché doveva lavorare come badante. Venendo a conoscenza di questo episodio il figlio si è commosso durante un’intervista rilasciata al «Corriere» a Casa Italia: «Mia madre? Mi sdebiterò con lei, mi ha insegnato i valori della vita».
C’è anche questa normalità, questa storia, questa straordinaria lezione di dignità, nella vittoria di ieri. Un frammento dell’Italia più bella come dice Lorenzo Tosa .



Paltrinieri e le Olimpiadi: si fa la storia anche senza vincere l’oro



di Luca Gelmini, inviato a Tokyo

La fatica, la sofferenza e il sacrificio di un campione valgono di più della medaglia. Una lezione che Greg condivide anche con l’amico Tamberi



Si fa la storia anche senza vincere l’oro. Gregorio Paltrinieri è l’atleta al quale la frase si addice di più. Per lui sono state usate espressioni come «impresa titanica», «miracolo», «gigante» e non accade spesso di riservarle a chi non finisce sul gradino più alto del podio. A lui invece è capitato.
L’ultima fatica rimarrà impressa per parecchio. La 10 km di fondo è un percorso di guerra, un’ultramaratona in mezzo ai pesci che volano. L’aggettivo più azzeccato per definirla è «brutale». SuperGreg ne è uscito con le ossa rotte, il ghigno stremato, il fisicone prosciugato perché all’«ultimo giro ero morto». Uno normale, con tutto quello che ha passato, la pianterebbe lì e invece lui si è affrettato a far sapere che è la disciplina che lo esalta di più. Perché Greg non è un velocista, semmai un passista. Esce alla lunga distanza, in acqua e fuori dall’acqua. A volte sembra cibarsi della sofferenza che patisce. Il piacere della sfacchinata, il senso del dovere.Non è un caso che un altro «doverista» (per dirla alla Dino Buzzati) come Tamberi lo indichi a modello. Nella bolla del villaggio olimpico Greg e Gimbo non hanno giocato alla Playstation. Si sono chiusi in camera per ore a parlare di ansie e riscatto, del dolore fisico che non passa. «È la persona alla quale voglio più bene, c’è solo da imparare», ha spiegato Tamberi. Che destino poi ha voluto abbia vinto un oro ex aequo, come dire che un po’ di fortuna a lui è tornata indietro. A Greg il fato ha riservato altro: un lungo cammino nel sacrificio. Ha preparato l’Olimpiade in condizioni impossibili. Ha saltato quasi un mese di allenamenti per la mononucleosi. Chiude portandosi a casa un argento in piscina e un bronzo nelle «acque libere». Era venuto a Tokyo per vincere tre ori e alla fine ne ha vinto uno. Quello della fatica, che vale di più.

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