storie olimpiche parte VI . il rilassamento delle arti marziali , boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo, Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie

 

Tokyo 2020, chi è Massimo Stano, medaglia d'oro nella 20 chilometri di marcia


Massimo Stano taglia il traguardo prima di tutti nella 20 chilometri di marcia e riporta l'Italia sul gradino più alto del podio in questo sport a 13 anni dall’impresa di Alex Schwazer, nella 50 km di Pechino. Un diploma diprogrammatore informatico e originario di Palo del Colle, in provincia di Bari, Stano vive a Ostia con la moglie Fatima Lotfi, anche lei marciatrice dopo un passato nei tremila siepi. Per sposarla, ha dovuto convertirsi all’Islam. I due hanno una figlia di 5 mesi e mezzo, Sophie, a cui il marciatore ha dedicato la vittoria portandosi il pollice alla bocca dopo aver tagliato il traguardo. L'ARTICOLO Massimo Stano, chi è l'oro olimpico nella 20 km di marcia che si convertito all'Islam per amore





Impreparati alla sofferenza, per l'Olimpiade serve di più     di Valentina Desalvo
Paola Egonu (ansa)



Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie
04 AGOSTO 2021

Nello sport i titoli non si ereditano, si conquistano. A Tokyo la pallavolo azzurra è stata buttata fuori dalle semifinali perché non è mai stata all'altezza della sua storia. Non dei suoi successi ma del lavoro fatto per costruirli. Vale per la Nazionale maschile e per quella femminile. Non basta avere bravi giocatori o un tesoro come Paola Egonu se si arriva ai Giochi senza una preparazione olimpica.
La lezione del passato, sfidare i più forti, le più forti, in partite vere per prepararsi alla pressione e crescere insieme, è stata messa da parte. Per tanti motivi (alcuni anche ragionevoli, certo). Dimenticando che l'educazione comune, il gioco, la difesa, la capacità di soffrire senza andare in pezzi, non sono poteri magici. Se cambi un centrale e una schiacciatrice, ci vogliono partite e partite perché l'intesa con l'alzatrice non sia solo quella del riscaldamento, dove è facilissimo fare i buchi nei tre metri come nei cartoni di Mimì e le ragazze della pallavolo.
Si può ripartire, bisogna farlo. Senza dimenticare che una squadra non è una somma di talenti: l'ha mostrato l'Italia del calcio. Come disse Velasco: io posso fare una torta buonissima e anche le noci sono buonissime, ma magari le noci rendono immangiabile quella torta. E bisogna saperlo prima, senza assaggiare il dolce mentre ti stai giocando un'ipotesi di medaglia.
ha ragione Mazzanti Alle ragazze avevo detto di staccarsi dai social cercate di staccarvi da tutto quello che vi circonda perché la melma, quando te la tirano, è melma". Non abbiamo perso a causa dei social, per carità, ma dobbiamo crescere da questo punto di vista"  Infastti  : << [...continua  l'url sopracitato ]   Le ragazze del volley, così mediatiche, sorridenti e vincenti, con diverse storie particolari di immigrazione, integrazione, a volte razzismo subito e denunciato, non hanno saputo evidentemente
Mazzanti 
affrontare l'onda negativa e hanno faticato a rimettersi in piedi non appena un granello di sabbia ha rovinato equilibri stabiliti e certezze di mesi, di anni. Non è diverso ciò che è accaduto a Simone Biles, che ha attaccato duramente la comunità virtuale, rea di averla aggredita all'istante dopo l'uscita dalla gara nel concorso a squadre. Messaggi venati di razzismo e contrapposizioni in salsa trumpiana con la vicenda di Kerri Strug, che ad Atlanta '96 proseguì la gara del volteggio nel concorso a squadre nonostante una grave infortunio alla caviglia: il suo volteggio claudicante portò comunque al Team Usa i punti necessari all'oro e Kerri Strug divenne un'eroina nazionale.
Hanno denunciato i social anche Naomi Osaka e il nuotatore inglese Adam Peaty che ha annunciato un mese di stop dai social "perche ho bisogno di riprendermi mentalmente". Eppure lui aveva vinto due ori e un argento. A maggio una protesta partita dal mondo del cricket inglese aveva portato molti calciatori a rinunciare ai social per un weekend in segno di solidarietà e di protesta. Il tema è attualissimo.>>











Giappone, boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo
                                             dal nostro inviato Giampaolo VisettiLa giapponese Yui Ohashi, oro nei 200 e 400 misti (ansa)

L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi
05 AGOSTO 2021 



TOKYO - "Per una bambina salire sul podio alle Olimpiadi significa sapere che il giorno più bello della vita è già alle spalle. Per questo dedico il mio successo a mia nonna: in oltre novant'anni una gioia simile non l'ha provata". Con poche parole Kokona Hiraki ha costretto il Giappone a passare dall'entusiasmo alla commozione. Conquistando il secondo posto nello skateboard Park, all'età di 12 anni 11 mesi e 9 giorni, è diventata la più giovane medaglia d'argento nella storia delle Olimpiadi.
A impedirle di battere il record della tuffatrice Usa Marjorie Gestring, oro ai Giochi di Berlino nel 1936 a 13 anni e 267 giorni, nell'Ariake Urban Sports Park è stata la connazionale Sakura Yosozumi, attempata atleta di 19 anni arrivata prima. Al terzo posto si è piazzata l'anglo-nipponica tredicenne Sky Sukai Brown, al quarto la quindicenne star nazionale Misugu Okamoto. Il Giappone è il Paese più vecchio del mondo ma il trionfo dei suoi atleti-bambini ai Giochi aiuta a dimenticare il costoso dramma del suo inarrestabile crollo demografico, simbolo del tramonto della seconda economia dell'Asia. Sempre nello skateboard, specialità Street, si sono imposti altri due teenager giapponesi: Momiji Nishiya, 13 anni e 330 giorni, e il ventiduenne idolo delle adolescenti Yuto Horigome. In queste ore a Tokyo l'olimpico baby-boom nazionale oscura l'accelerazione della pandemia, con milioni di anziani costretti a curarsi in casa, e i dati statistici che rivelano come ormai il 30% dei giapponesi ha più di 65 anni.
L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi e non si scatena per caso. Le autorità, da quando sono riuscite ad aggiudicarsi le Olimpiadi presentate come necessarie per la ricostruzione post-Fukushima, hanno lavorato per questo. Il passo decisivo per la pianificazione del fattore-lifting, economico e mentale, è stato convincere il Cio a far debuttare proprio a Tokyo 2020 gli sport che oggi più appassionano i ragazzini.
Non è solo un colpo di spazzola contro la polvere di un ripetitivo evento globale. Tokyo ha preteso di sancire l'esordio olimpico di surf, skateboard e arrampicata sportiva non solo per ragioni commerciali, ma per presentarsi al mondo come una superpotenza ancora contemporanea e capace di affrontare il futuro. Alle tre discipline baby ha aggiunto il karate, nato otto secoli fa sull'isola di Okinawa, per rivendicare la titolarità della tradizione nelle arti marziali. Il ritorno di baseball e softball, sospesi ai Giochi dal 2008, completa solo il disegno teso a presentare il Paese come il più sensibile riferimento asiatico dell'Occidente sia per avanguardia che per civiltà. Ciò che per il governo di Yoshihide Suga davvero conta, oggi è però sfruttare i Giochi per mostrare ai giapponesi e ai mercati le facce vincenti di una pur decimata gioventù nazionale.
Nel surf il Giappone ha conquistato due medaglie su sei. Nello skateboard ha semplicemente dominato, facendo un pieno di successi-junior che sta contribuendo in misura sostanziale a porlo solo alle spalle di Cina e Usa nel medagliere. Nell'arrampicata sportiva i giovani climbers nipponici si giocano il podio sia tra le femmine che tra i maschi. Dalle ragazze del softball è arrivato l'oro, i campioni del baseball sabato giocano la finale. Senza l'olimpico fattore-teenager, l'umore dell'invecchiata nazione in cui il 30% della forza lavoro ha più di 65 anni sarebbe oggi decisamente cupo. La realtà infatti, mentre l'età media delle medaglie giapponesi è per distacco la più bassa dei Giochi, è che su 126 milioni di abitanti il 21%, pari a 26,2 milioni di persone, ha già superato i 70 anni. Oltre i 65 anni sono già 37 milioni di persone, pari a quasi un giapponese su tre.

A pesare sulla previdenza, con il crollo verticale delle culle, l'attesa media di vita record a 84,7 anni e il blocco totale opposto all'immigrazione, tra le cause dell'elevato costo del lavoro che frena competitività ed export. Le stime economiche misurano oggi in un quarto di punto di Pil del Giappone la capacità di sostenere la crescita da parte dell'ottimismo popolare, indotto dalla ritrovata sensazione del Paese di "non essere ancora un ramo secco, ma un germoglio pieno di energie". Non basterà, ma il nulla è peggio. Le analogie con l'Italia si limitano all'invecchiamento. Anche nel nostro Paese il 29% dei 60 milioni di abitanti ha più di 65 anni, rispetto al 19% dei giovani sotto 20 anni. Ad ogni bambino italiano corrispondono cinque anziani: nel 1951 l'età media era di 32 anni mentre oggi è di 46. Nello sport però, questo almeno dicono ad oggi le Olimpiadi di Tokyo, in Italia si è fatto poco per sostenere a livello agonistico le discipline più amate dai giovanissimi: sia per rassicurare le famiglie e arginare il calo demografico che per creare un clima economico favorevole alla ripresa. Escludendo il karate, dove le gare sono ancora in corso, nessun italiano ha conquistato una medaglia negli sport al debutto olimpico perché più praticati e seguiti da bambini e adolescenti.
Evidenti, per un simile risultato, le carenze del sistema scuola-università, in cui già una vecchia palestra rappresenta una non scontato privilegio. "Se sono qui - ha detto l'arrampicatrice giapponese Miho Nonaka, nata al mare e candidata al podio assieme alla connazionale Akiyo Noguchi - è perché nel mio asilo c'era una parete attrezzata per salire". La mancanza di baby-successi per gli azzurri alla fine pesa. Tokyo 2020 dice così che il Giappone è un Paese di vecchi che conosce il valore dei giovani, anche se solo apparenti. L'Italia rischia di rimanere una nazione anziana che nemmeno fa qualcosa per sembrare un posto per giovani.





Bottaro prima medaglia della storia nel karate: "Ho iniziato per difendermi"dal nostro inviato Mattia ChiusanoViviana Bottaro a Tokyo (reuters)


La genovese specialista del kata è medaglia di bronzo: "Piango pensando di essere qui, da piccola al massimo potevo sognare i Mondiali. Ai miei genitori piaceva l'idea che le figlie potessero difendersi"
05 AGOSTO 2021




TOKYO - "Io piango, ogni volta per l'emozione. Noi del karate nemmeno immaginavamo tutto questo, invece siamo alle Olimpiadi. Da piccola non potevo sognare di diventare campionessa olimpica, perché ai Giochi non eravamo ammessi, quindi sognavo l'oro ai Mondiali". È una donna minuta, con occhi fiammeggianti, a fare la storia nel tempio del Nippon Budokan: prima italiana a gareggiare nel karate al debutto olimpico, e prima medaglia dopo aver vinto la finale per il bronzo contro l'americana Sakura Kokumai. Genovese, trentatré anni, l'atleta delle Fiamme Oro è una specialista del kata, parola che esprime il concetto di "forma" e si combatte contro un avversario immaginario con gesti plastici o ad altissima velocità.
Come nasce la sua storia che arriva fino a Tokyo?
"C'era una palestra sotto casa, e a papà e mamma piaceva l'idea di far fare karate a me e a mia sorella Valeria, con l'idea di potersi difendere un domani. Per un genitore che ha due figlie femmine sapere che si possano difendere è una cosa bella. Così sono entrata in palestra, poi mi sono subito innamorata, e da lì non ho più smesso: avevo sei anni".
Quando il karate è diventato qualcosa di più consistente?
"A dieci anni ho incontrato il maestro Claudio Albertini che mi ha cresciuto fino a quando ne avevo ventisei, nella palestra di Quinto a Nervi. Poi sono entrata nella Fiamme Oro"
Quando ha capito che poteva diventare la sua vita?
"Le prospettive di lavoro non erano grandissime, entrare in un gruppo sportivo era difficile per una disciplina non olimpica. Io lo facevo perché mi piaceva, vincevo e le cose sono venute spontaneamente, non c'è stato niente di ossessivo. Nel frattempo mi sono laureata".
In che cosa?
"Scienze motorie a Genova, partecipando come una studentessa normale, non come atleta, ma con l'obbligo di frequenza, sessioni rinviate perché ero impegnata con le gare in giro per il mondo. Ci ho messo cinque anni per la triennale perché non c'ero mai. Una bella soddisfazione, oggi ci sono tutte queste lauree telematiche che fai da casa, invece io l'ho vissuta proprio bene".
Ha vinto un bronzo mondiale e un europeo, quale è il suo punto di forza?
"Sono geneticamente - mi hanno sempre detto - dotata di fibre bianche, esplosive, quindi sono molto veloce. Essendo bassa, dal baricentro basso, riesco a eseguire tutte le tecniche in maniera rapida. La velocità, quindi, poi l'espressività. A ogni gesto devi dare un significato, e io penso che negli anni sono riuscita a portare non un esercizio fisico, ma qualcosa di più".
Quanto conta saper recitare nel kata?
"Noi eseguiamo delle forme con cui dimostriamo all'arbitro che stiamo combattendo, anche se contro il vuoto. A volte ci sono atleti meno tecnici che prevalgono perché riescono a comunicare di più. Quindi io mi affido a visualizzazione, tecniche mentali, per mettere in scena me stessa. Poi, certo, conta la discrezione arbitrale, di sette giudici che danno punteggi come nel pattinaggio artistico".
Quanto pesa l'assenza del pubblico giapponese per il karate?
"Si sente lo stesso che siamo al Budokan, che siamo in Giappone, a casa loro, però è tutto da decidere. Per una medaglia si deve fare sempre molto di più del necessario: bisogna straconvincere per convincere".










Luigi Busà “Ero un ragazzo obeso ora sfido i maestri a casa loro”dal nostro inviato Mattia Chiusano


Il karateka siciliano ricorda gli inizi: "Pesavo 94 chili, soltanto mio padre ha visto in me qualcosa di speciale. Ho vinto due mondiali e qui ho già battuto gli idoli locali fra gli applausi"



TOKYO – Busà chi? Accanto a Filippo Ganna, Gregorio Paltrinieri o le ragazze del fioretto, spunta all’improvviso questo nome fra le stelle maggiormente accreditate di una chance di vittoria nella spedizione azzurra. Piazzato lì, tra le possibili medaglie d’oro italiane alle Olimpiadi di Tokyo dalle proiezioni di Nielsen Gracenote, società leader mondiale di dati e tecnologia per l’intrattenimento che prevede l’andamento di tutte le discipline e tutte le nazioni a Tokyo. E nel karate, una delle nuove specialità appena inserite nel programma olimpico, il favorito sarebbe appunto Luigi Busà, siciliano di 33 anni, campione del mondo a Tampere 2006 e a Parigi 2012, due sorelle (Lorena e Cristina) altrettanto brave e famose sul tatami. La sua costanza nel tempo lo ha premiato fino a vedere il suo sport riconosciuto sotto i cinque cerchi. E ora potrà giocarsi la sua chance olimpica proprio nella patria di quest’arte nobile nata sull’isola di Okinawa.
"Sono stato fortunato, ma ho saputo anche gestirmi bene. Mangiare bene, riposare, una vita più sana possibile. Niente fritture, pochissimo cibo spazzatura. A venticinque anni ho capito che non recuperavo più certe “serate” come prima, che serviva un giorno per riprendersi dopo essermi nutrito male. È una scelta di vita essere un atleta".
Dove comincia la sua storia?
"Dalla mia famiglia ad Avola, provincia di Siracusa, da mio padre Nello che è allenatore. Dalla mia terra dove torno a vedere il mare quando ho bisogno di rilassarmi".
Subito un colpo di fulmine per il karate?
"È cominciata come un gioco, all’inizio ero un ragazzo obeso, chi poteva pensare alle Olimpiadi? Ero molto ciccione, mi piaceva mangiare, a 13 anni pesavo 94 chili, ed ero più basso di adesso".
Che cosa è successo?
"Solo mio padre vedeva in me qualcosa di speciale, lui è stato atleta, vedeva comunque che da piccolo vincevo campionati cadetti e qualcosa di serio potevo diventare. Il problema è che a 16 anni combattevo nei pesi massimi, e mi fecero capire che a livello internazionale non sarebbe stata una buona scelta: colpi e impatti troppo duri. Dovevo dimagrire, scendere nei medi a 75 chili. Ho fatto la dieta, e da quella categoria non mi sono più mosso. Dal gioco sono passato al lavoro, nel centro sportivo dei Carabinieri: sono appuntato".
Con un bel curriculum.
"Due mondiali senior più uno under 21, cinque titoli europei. E ora il premio delle Olimpiadi che noi del karate aspettavamo da sempre".
Come sarà il karate a Tokyo 2020?
"Ci sarà il Kata, che ha una giuria come nella ginnastica artistica che giudica le esibizioni. Poi il Kumitè, il combattimento vero e proprio, uno contro l’altro. Facciamo due gironi all’italiana, i primi due vanno in semifinale, tutto in una giornata. I nostri incontri durano due-tre minuti, ma con tutte le interruzioni arrivano anche a otto. I colpi che arrivano fanno male, i lividi restano anche settimane".
Quale è il suo punto di forza?
"La velocità e l’estrosità, sono molto fantasioso, se riesco a incastrare divertimento e concentrazione riesco a fare veramente bene".
Il karate in Giappone: anche senza pubblico le darà motivazioni particolari?
"Farà effetto combattere dove tutto è iniziato. E magari vincere, come mi è già capitato a Tokyo e Okinawa in Coppa del mondo. Mi hanno applaudito, anche se avevo battuto l’atleta di casa. Questo è bellissimo in Giappone".


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