Don Haskins, il Martin Luther King bianco del Basket americano

Durante    periodi come  qiuesto  si scoprono  ( nel mio caso )  o  si  riscoprono   vecchi film  è  i caso   di



 Il bello    che  esso  è tratto  da  una storia    vera  . Infatti Glory Road racconta una storia di vittorie ottenute sia sul campo da basket, sia fuori dal terreno di gioco, in particolare nella lotta al razzismo . Vedere  siti d'approfondimento  ala  fine del post 

Egli  , per  quei tempi fece una cosa  rivoluzionaria   come potete  vedere  nei diversi  film    che trattano  la storia  degli Usa  negli anni 60 \80in particolare   maggiordomo alla  casa bianca   , tanto    che    fu    chiamato come riportato  da  https://giocopulito.it/don-haskins-il-martin-luther-king-bianco-del-basket-americano/



          Don Haskins, il Martin Luther King bianco del Basket americano

                                           di Roberto Consiglio




Il 4 Aprile 1968 veniva assassinato a Memphis, Martin Luther King. Nello stesso periodo, nel mondo dello Sport c’era un uomo che prese i suoi concetti di uguaglianza e li portò nel Basket scrivendo una storia di sport indimenticabile. Vi raccontiamo la vita di Don Haskins.
Martin Luther King Jr. era un pastore protestante ma anche attivista e politico statunitense che si battè contro la segregazione razziale in America e per i diritti civili degli afro-americani.
Per questa sua attività, caratterizzata dal concetto della non-violenza, King, nel 1964, vinse il Premio Nobel per la Pace. Il pastore, inoltre, in questo suo percorso, venne affiancato da un’altra figura molto importante nel campo dei diritti civili dei neri: Malcom X che, però, preferiva la violenza per raggiungere determinati traguardi.
L’azione di Martin Luther King non risparmiò nessun ambito della vita quotidiana americana. Tra questi non poteva mancare, manco a dirlo, il mondo dello sport.
Nel mondo sportivo americano l’azione rivoluzionaria del pastore protestante venne colta e portata avanti, in particolar modo, da Don Haskins. Egli, per chi non lo sapesse, era il coach bianco della squadra dei Miners legati al Texas Western College, nella cittadina texana di El Paso.
Nell’inverno 1965, guarda caso esattamente 10 anni dopo il gesto di Rosa Parks, Haskins iniziò a girovagare per tutti gli Stati Uniti con un intento ben preciso: cercare giovani talenti neri a cui affidare la rifondazione del suo team di pallacanestro.
In quello stesso 1965 Luther King aveva raggiunto il culmine della sua lotta contro la discriminazione razziale in America, che lo portò ad essere ucciso pochi anni dopo, nel nome del suo celebre motto “I Have A Dream”. Questa azione fece sì che venisse approvata la cosiddetta “Voting Rights Act”: una legge, di cui lo stesso Martin Luther King fu il promotore e che venne firmata dal presidente Lyndon Baines Johnson, che riconosceva il diritto di voti anche ai neri d’America.



La scelta di Haskins, in più, oltre a contribuire alla lotta di King ebbe anche degli effetti dal punto di vista dei risultati sportivi raggiunti sul campo. Nella Summer League del 1965, ad esempio, vennero fuori le qualità dei cestisti neri che Don aveva scelto di portare nella sua squadra.
In particolare si mise in evidenza la figura di Bobby Joe Hill. Esso, che era considerato un vero e proprio genio ribelle del mondo del basket, in quell’anno vinse la classifica dei punti messi a segno del torneo.
Joe Hill era la punta di diamante di quel gruppo di atleti afroamericani che vennero denominati i “seven niggas”. Da quel momento, in poi, i giocatori bianchi dei Miners diventarono la minoranza della squadra: 5 bianchi contro 7 atleti neri. Era la prima volta che avveniva un fatto del genere nel mondo del basket americano.
Questa storia cancellava, in un secondo, tutte quelle regole e quegli stereotipi razzisti che, da oltre un secolo, caratterizzavano la società del paese che veniva considerato “la più grande democrazia del mondo”.
Inoltre vi era un altro fatto: questa rivoluzione avveniva in uno degli stati più conservatori, il Texas, che componevano i già ultra-conservatori Stati Uniti meridionali. In questa parte di paese, per fare qualche esempio, i membri della setta razzista del Ku Klux Klan, nel periodo temporale tra il 1882 e primi anni ’50 del XX secolo, avevano ucciso, spinti da puri ideali razzisti, circa 5000 afroamericani, la maggior parte dei quali in giovane età.
Il 4 dicembre 1965 vi fu il debutto vero e proprio sul campo dei “nuovi” Miners contro l’Estearn New Mexico. Il clima in cui si svolse la partita non fu certo buono, dal punto di vista razziale, ed i giocatori neri allenati da Haskins vennero insultati pesantemente nel corso di tutto il match.
Le prime vittorie vennero descritte, dagli addetti ai lavori, come dei veri e propri colpi di fortuna e non venne minimamente presa in considerazione la bravura dei giocatori neri. Quando però la squadra di El Paso raggiunse la cifra record di 23 vittorie consecutive nessuno provò, nuovamente, a tirare in balla la sola fortuna.



A suon di vittorie i Miners si conquistarono, inoltre, il rispetto di gran parte del pubblico, sia proprio che della squadra avversaria. L’apoteosi si raggiunse, però, il 19 marzo 1966: quel giorno venne riscritta un pezzo di storia americana che non può essere relegata al solo mondo del basket. In quelle ore, infatti, era in programma la finale del campionato, presso la struttura del Cole Fields House di College Park nello stato del Maryland. Il giorno prima, purtroppo, si verificò l’ennesimo episodio razzista a cui Haskins decise di rispondere con una scelta parecchio coraggiosa: mandare in campo solamente giocatori neri.
La partita, per la cronaca, si chiuse con il punteggio di 72 a 65. Bobby Joe Hill, invece, risultò essere il miglior marcatore dell’incontro con 20 punti segnati.
La figura di Don Haskins, per queste ragioni, è ricordata, più che per gli schemi di gioco, per aver cercato di insegnare ai suoi atleti valori come l’unione e la condivisione. Dopo di lui, guarda caso, il numero dei giocatori neri nel mondo della pallacanestro americana, dal 5% degli anni ’50, aumentò fino a rappresentare i tre/quarti del totale nell’epoca attuale.
Lo stesso allenatore, però, è sempre rimasto molto nell’ombra e non si è voluto mai esporre troppo su questo fatto. Una volta, ad una domanda su quell’impresa raggiunta, rispose in maniera che più semplice non si può: “Io non ho fatto niente di strano: quel giorno misi in campo semplicemente i migliori giocatori della squadra. E risultò che erano tutti neri”.

per  approfondire  
https://it.wikipedia.org/wiki/Glory_Road  il  film che    racconta la   vicenda  

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