donne e terzo settore nel coronavirus \ codiv19

 ha  perfettamente ragione   questo editoriale  del mensile  grazia    magio  2020 



#Undisegnocontrolapaura: il mondo dei comics contro il coronavirus, 15 autori per 15 inediti
Disegno di Carlo Guarino
In un Paese normale la gestione familiare sarebbe equamente divisa tra le coppie. Invece tra smart working, lezioni online dei figli, cura delle casa o degli anziani, in questi mesi sono state soprattutto le mogli e le madri a sostenere il peso dell’emergenza. Ora la decisione di rinviare l’apertura delle scuole rischia di aumentare le disparità di genere nel nostro Paese, già primo in Europa per l’ingiusta distribuzione delle incombenze domestiche e delle retribuzioni nei luoghi di lavoro. Grazia ha chiesto a leader politici, sindaci ed esperti come evitare il ritorno delle mamme nei tinelli.  Infatti  L’epidemia ha messo le madri sotto scacco. Già le italiane erano prime in Europa per l’ingiusta ripartizione dei compiti domestici: si dovrebbe dividere tutto a metà con il partner, invece, dice Istat,le donne lavoratrici devono farsi carico ogni giorno anche di circa quattro ore di incombenze casalinghe, contro un’ora e 47 minuti dei maschi. E la Fase 2 rischia di far esplodere la situazione: sia provvedimenti come lo smart working, sia i congedi parentali diventerebbero una “gabbia digitale” per le donne. Una situazione che si somma a quello della bassa presenza femminile nel mondo del lavoro: solo il 49,5 per cento delle donne ha un’occupazione contro il 67,6 per cento degli uomini. Mentre la differenza di retribuzione è, in media, del 23,7 per cento, rivela Eurostat. Ora   Che cosa sta facendo la politica per evitare un arretramento senza ritorno? «L’emergenza ha soltanto acuito la fragilità della presenza delle donne nel mondo del lavoro, ma noi possiamo usare questa criticità per trasformare il sistema. Se non ora, quando?», risponde Elena Bonetti  --- GRAZIA  ---  ministra delle Pari Opportunità e della Famiglia e docente di Matematica all’università Statale di Milano. «Possiamo trasformarla in un’opportunità per attivare politiche inclusive.
È questo l’obiettivo del gruppo di lavoro che ho
istituito: 12 donne provenienti da realtà diverse che possono contribuire a progettare un Paese più paritario. I risultati scientifici più importanti di questa emergenza sono stati ottenuti proprio da ricercatrici. Io sono una scienziata e non mi sono stupita. Il mio obiettivo è valorizzare le donne nel mondo delle Stem: scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Anche il futuro nell’ambito dell’Intelligenza artificiale avrà bisogno di noi». In concreto, per l’emergenza sono in arrivo un nuovo assegno mensile universale per i figli, altri congedi parentali e i bonus per le baby sitter. «La custodia dei figli non è un fatto privato delle famiglie, all’interno delle quali sono sempre le donne a farsene carico», dice  sempre   la ministra. «Per questo ho voluto che il congedo fosse anche per gli uomini. Ora proseguiamo in questa direzione: che diventi premiante per le aziende concedere congedi ai padri». Queste misure basteranno? E non rischiano di riguardare solo le madri, imprigionandole in casa? Gli uomini ricorreranno mai ai congedi? «Alziamo la voce. Non è solo una questione delle donne, ma sociale», dice Giulia Blasi, scrittrice femminista, autrice del Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli). «Come scienziate, o economiste, siamo invisibili. Tutti gli esperti scelti dal Governo su Covid-19 sono maschi (vedi a pagina 24, ndr). Si dà per scontato che durante le crisi le donne si rimettano a fare gli angeli del focolare». Eppure quelle in prima linea, dalle operatrici sanitarie alle commesse, sono in gran parte donne. Ma una vera divisione del carico di lavoro tra genitori è lontana. «Noi politici dobbiamo fare uno sforzo in più, com’è stato fatto per la legge Golfo-Mosca sulle quote rosa», dice Debora Serracchiani, vicepresidente del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. «Dovremo spingere i cittadini ad altri comportamenti anche all’interno della famiglia. Che sia obbligatoria un’alternanza di smart working o altro. Altrimenti sarà sempre la donna a stare a casa, per condizionamento culturale o perché guadagna meno». Dice Chiara Appendino, sindaca di Torino: «Il mio auspicio è che la politica possa favorire, attraverso i suoi strumenti, un cambiamento normativo e culturale che crei il prima possibile le condizioni per l’equiparazione dei ruoli». E tra le proposte c’è quella del primo cittadino di Milano: «Dobbiamo pensare a una Fase 2 che sostenga le madri», dice Giuseppe Sala. «I congedi parentali aiutano, ma non sono la soluzione. È necessario dare alle donne la possibilità di organizzare la giornata liberando tempo. I centri estivi per i bambini, su cui stiamo lavorando, saranno fondamentali». Ma saranno sicuri? Garantire la salute dei piccoli e tranquillizzare le famiglie non sarà facile. Per superare le discriminazioni di genere, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, propone screening della popolazione con test sierologici. «L’obiettivo è arrivare a stabilire il prima possibile chi ha sviluppato gli anticorpi contro il virus in modo che gli immuni possano tornare al lavoro», dice. «Questo porterebbe a una maggiore turnazione familiare». La crisi sanitaria, e il carico di lavoro per le donne, non aiutano certo il tasso di natalità, già ai minimi storici. «Noi puntiamo ad asili nido gratis, congedo parentale retribuito al 100 per cento nei primi sei mesi del neonato e all’80 per cento fino a 6 anni d’età», dice Meloni. La realizzazione personale delle donne al di fuori della famiglia è minacciata. «Sono sempre loro quelle più a rischio professionale», dice Paola Profeta, docente di Economia di genere all’università Bocconi di Milano. «Anche i congedi sono un’arma a doppio taglio: per le donne, un distacco prolungato è l’anticamera della perdita del lavoro. I congedi previsti solo per i padri sono l’unico modo per coinvolgerli. Non ci possiamo permettere che le donne escano dal mondo del lavoro: sono una risorsa fondamentale per l’economia». E questo è il momento giusto per capirlo.
Il bello  è    che   nonostante  le  donne  ( personale  sanitario , infermieristico  , medico    ecc  )siano in prima   linea   Nessuna ricercatrice è stata inserita nel comitato del Governo per l’emergenza Covid-19. Eppure immunologhe, virologhe ed epidemiologhe stanno guidando la battaglia contro la pandemia. Infatti  Gli ultimi dati dicono che in Italia si laureano ogni anno in materie scientifiche e tecnologiche circa 28 mila ragazze, contro circa 44 mila ragazzi. Però i posti di vertice all’università, e nelle grandi organizzazioni del settore, sono assegnati per l’80 per cento a maschi. Quest’anno ha fatto scalpore la scoperta che su 71 professori ordinari di Fisica teorica ci siano solo tre donne. E su 247 ruoli universitari, le docenti o ricercatrici sono appena 27. Anche per questo l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito nella data dell’11 febbraio la Giornata internazionale delle Donne e ragazze nella Scienza.

Tre di loro, tutte ai vertici, spiegano in questo  articolo  di  a Grazia perché guarire dal maschilismo sarà un vantaggio per tutti 

MARIA TERESA COMETTO da NEW YORK 

Questa è l’epidemia delle donne», dice Silvia Stringhini. «Ma l’Italia non è un Paese per donne», osserva Antonella Viola. E Ilaria Capua avverte: «Il talento femminile in Italia è tantissimo e rischiamo di perderlo». Stringhini, Viola e Capua non sono tre donne qualunque: sono tre scienziate al top della ricerca mondiale nelle discipline - rispettivamente - dell’Epidemiologia, dell’Immunologia e della Virologia, tre esperte insomma con un bagaglio di conoscenze fondamentali per combattere il coronavirus. Eppure nessuna di loro è stata interpellata per far parte del comitato tecnico-scientifico nominato dal governo italiano per superare l’emergenza Covid-19. Un comitato di 20 nomi tutti al maschile. «NON CAPISCO COME NEL COMITATO NON CI SIA NEMMENO UNA DONNA, quando proprio le donne sono in prima linea in questa guerra: dalle infermiere alle dottoresse alle tantissime ricercatrici», continua Stringhini e cita, come esempio, la dottoressa Annalisa Malara, la prima in Italia a diagnosticare un caso di Covid-19, il 20 febbraio all’ospedale di Codogno (Lodi). E poi ci sono le tre ricercatrici dell’Istituto Lazzaro Spallanzani a Roma, fra le prime al mondo a isolare la sequenza genomica del coronavirus. Senza dimenticare che la stessa virologa Capua è stata fra i primissimi a lanciare l’allarme, il 18 gennaio, sulla presenza del Covid-19 in Italia. Laureata in Economia internazionale all’Università di Pavia, con un Master in Salute globale al Trinity College di Dublino e un dottorato in Epidemiologia all’Université Paris-Sud e all’University College di Londra, dal 2011 Stringhini lavora negli Ospedali universitari di Ginevra. Ora è responsabile della squadra di Epidemiologia che sta conducendo uno dei più grandi studi al mondo di sierologia su un campione di cittadini svizzeri per capire in che percentuale ha sviluppato anticorpi. Anche Viola sta guidando uno studio importante sul coronavirus. Professoressa di Patologia generale all’università di Padova, dove dirige l’Istituto di Ricerca pediatrica Città della Speranza, ha avviato l’analisi del sangue di un campione di pazienti per capire come ogni cellula risponde al virus e ottenere il quadro definito dell’interazione fra virus e sistema immunitario. «Ovviamente ci sono scienziate italiane brave e capaci di dare un contributo anche come membri del comitato governativo, solo che non vengono considerate perché nel nostro Paese “l’esperto” è un uomo», sottolinea Viola. «Le donne rappresentano una grandissima fetta della ricerca italiana, anche in campo biomedico. A livello iniziale, le giovani ricercatrici sono decisamente più numerose degli uomini. Ma appena si passa alle posizioni più importanti, per esempio di professori o di primari, ecco che gli uomini scalzano magicamente tutte le colleghe. È accaduto anche nel caso del coronavirus: le donne si sono distinte da subito per la loro abilità e competenza sul campo, ma sono state messe in un angolo non appena si è arrivati agli incarichi in ruoli strategici», racconta.

ESSERE DONNA E SCIENZIATA È DIFFICILE DOVUNQUE, ANCHE IN SVIZZERA», puntualizza Stringhini. «Ma almeno altri Paesi cercano di non sembrare troppo maschilisti e promuovono qualche donna ai vertici, invece in Italia non fanno nemmeno lo sforzo di fare bella figura». Eppure ci sono stati tentativi di cambiare la situazione. «Qualche anno fa in Italia è nata anche l’iniziativa 100 donne contro gli stereotipi ( www.100esperte.it, ndr) con lo scopo proprio di facilitare l’individuazione di donne competenti in vari ambiti del sapere, ma anche questo non è bastato», ricorda Viola. Che invita le colleghe a continuare comunque a far sentire la propria voce: «Le donne che, nonostante il clima non favorevole, sono riuscite ad arrivare in posizioni apicali rappresentano per le più giovani uno stimolo a crederci e a lottare. Ma hanno anche la grande responsabilità di esserci, di metterci la faccia a costo di essere criticate e attaccate, come sempre accade, perché, nel nostro Paese, alle donne non si perdona di essere protagoniste. Ma è necessario resistere e continuare a mostrarsi, a raccontare, a indignarsi. E fare squadra con le altre donne, favorirne la crescita». «Dobbiamo anche essere più sicure di noi stesse», aggiunge Stringhini. «Abbiamo sempre bisogno di sentirci dire che siamo brave, ma poi ci accontentiamo di quello: abbiamo paura di essere considerate arriviste, carrieriste, se chiediamo che la nostra competenza sia riconosciuta con posizioni di potere». «QUESTA PANDEMIA CI HA REGALATO CONSAPEVOLEZZE NUOVE», RAGIONA CAPUA, dal 2016 responsabile del One Health Center of Excellence della Università della Florida a Gainesville. «Una è che le donne biologicamente, e anche per opportunità, sono state le prime a reagire a questa emergenza, portando il loro soccorso e il loro talento organizzativo a risolvere le prime fasi della crisi. Ora, per fare una volta un piacere al Paese e non trasformare in un investimento morto tutti quei soldi spesi per formare le nostre ragazze, non perdiamolo, il talento femminile: è importante e valorizzarlo è un atto di grande civiltà. Se le donne sono più gratificate e più indipendenti, si è tutti più liberi e più contenti».

Per  quanto  riguarda  il terzo settore
Nessuna precauzione per gli operatori e nessun sostegno economico specifico. Finora Conte e il suo governo si sono dimenticati del Terzo settore. Una miopia che mette a rischio la tenuta sociale del Paese
 potete   , scusate   se  non riporto qui  articoli  ma  è  difficilissimo  diciamo  meglio impossibile  da  riassumere  le   difficoltà e le  carenze  del governo  verso tale  settore    di vitale  importanza    come  quello  del volontariato   , leggerle  online  qui   in questo  numero   (  vedere a  sinistra   copertina  ) di www.vita.it.
Qualora  , leggiate tardi questo   post   o  esso  no fosse  più disponibile   lo trovate    in  pdf   nella  nostra ulteriore  appendice  social dove  trovate    anche   degli extra   rispetto  al blog  ovvero  il  canale    telegram  https://t.me/compagnidistrada 


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