lo scontro dei due paolo . Pietro Sarpi fra Paolo e Camillo Borghese,Paolo V di Anselmo Pagani

a  chi  mi dice   che nei  mie post  sul blog     qui  in particolare  : <<  recensione del film la scuola cattolica di stefano mordini >>    e  sui social  attacco   la  chiesa   rispondo che  pur  essendo  un senza    chiesa  cioè  vado solo  a :  funzioni  sacramentali  (  battesimi  ,  ecc )  o  matrimoni    \  funerali  o    quando  ho bisogno  di raccoglimento  o  silenzio  perchè  penso  che  la  fede  vada  vissuta  in libertà  e   nel mondo     non ingabbiata  in istituzioni    e sovrastutture    salvo  che  non   si tratti  come  gli venti  descritti sopra    colllettivi ,  non  odio   e rispetto    sia   chi invece  la pensa  diversamente  da me  e  pratica   sia   anche la  critico  la  stessa  istituzione  .Il   primo Paolo  Il cosiddetto “Oracolo del secolo”   vedere   articlo  sotto  aveva ragione, perché di tanti “lamentevoli esempi” di abuso del nome di Dio, da parte di uomini cattivi e fanatici, siamo testimoni impotenti anche ai giorni nostri.
 
  da   Anselmo Pagani

Milanesi DOC, sentendo pronunziare il nome di Paolo Sarpi, pensano subito alla Cina perché la via cittadina a lui intitolata costituisce l’asse portante della “Chinatown” locale.
Eppure Fra Paolo Sarpi con l’Estremo Oriente non aveva nulla a che fare, essendo nato a Venezia nel 1552 e non avendo mai viaggiato in terre lontane.
Molti invece furono i suoi punti di contatto con un famoso contemporaneo, perché erano entrambi preti, quasi coetanei e battezzati tutt’e due dai rispettivi genitori con nomi che in realtà non erano “Paolo”.
Sarpi infatti si chiamava Pietro, ma divenne Fra Paolo una volta pronunciati i voti dopo essere entrato, 

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giovanissimo nell’Ordine dei Servi di Maria.
L’aristocratico romano Camillo Borghese, invece, dovette attendere sino al secondo conclave del 1605 per diventare Papa Paolo V.
Lo scontro teologico, politico e caratteriale fra questi due “Paolo”, per certi versi simili, ma per altri molto diversi fra loro, sul finire del primo decennio del Seicento poco mancò che anticipasse di qualche anno lo scoppio della Guerra dei Trent’anni.
A quei tempi la Serenissima Repubblica, di cui Fra Paolo era cittadino, era l’unico Stato in Italia a godere di una certa indipendenza dalla Spagna, come pure dagli Stati Pontifici. Venezia infatti non perdeva l’occasione per riaffermare la superiorità delle proprie leggi su qualsiasi interferenza straniera, Inquisizione inclusa.
Fra Paolo, che l’Urbe la conosceva bene per avervi vissuto fra il 1585 e il 1588 come vicario generale del suo Ordine, era rimasto scandalizzato da corruzione, lusso ed intrallazzi politico-clientelari che vi regnavano, come pure dalla disinvoltura con cui il clero locale teneva fede al voto di castità, tanto più che lui, ascetico e contemplativo com’era, veniva chiamato “il vergine”.
Tornatosene in patria, da dove non si sarebbe mai più allontanato, dopo il conseguimento della laurea in diritto canonico si dedicò agli studi non solo filosofici e storici, ma anche matematici ed astronomici sotto la guida di Galileo in persona, che in quegli anni insegnava presso lo “Studium” patavino.
Un uomo come lui, poliglotta e “natus ad Encyclopaediam” (secondo la definizione che ne diede il filosofo Giambattista Della Porta) nel 1606 fu nominato dal governo dogale “canonista della Repubblica” e in questa veste dovette occuparsi di una spinosa “querelle” riguardante la perentoria ingiunzione arrivata da Roma, in cui il novello pontefice ordinava a Venezia di consegnare ai messi papali due preti resisi colpevoli di reati comuni e per questo incarcerati ai Piombi.
Quel diktat, considerato offensivo dal Doge, fu abilmente smontato pezzo a pezzo sotto il profilo giuridico da Fra Paolo, con ciò mandando su tutte le furie Paolo V, che fulminò lui con la scomunica e Venezia con l’interdetto.
Ben presto “il piccolo Lutero d’Italia” coi suoi scritti infuocati iniziò a suscitare gli entusiasmi di Olanda, Inghilterra ed altri Stati protestanti, che inondarono Venezia coi loro agenti al fine di farvi scoppiare una rivolta anti-papale e, se possibile, persino anti-cattolica.
A scorrere non furono soltanto fiumi d’inchiostro, ma anche il sangue perché nell’autunno del 1607 Fra Paolo subì un tentativo d’omicidio a pugnalate da parte di due agenti dell’Inquisizione Romana.
Quell’attentato, cui scampò per miracolo, ne accrebbe a tal punto la fama in Europa che l’altro Paolo, il Papa, dovette velocemente addivenire ad un compromesso, terrorizzato com’era dalla possibilità che la Serenissima abbracciasse la religione riformata.
Nemmeno a bocce ferme però l’indomito Frate interruppe il suo “cannoneggiamento” contro il Papato e la dottrina della Chiesa, pubblicando una serie di libri, pamphlet e trattati, sempre al riparo dello scudo protettivo offertogli dalla Serenissima.
Di Paolo Sarpi numerosi e poliedrici furono gli scritti, fra i quali in particolare i “Pensieri”, la “Istoria del Concilio tridentino”, le “Lettere ai Protestanti” e quelle “ai Gallicani”.
Poco prima di morire il 15 gennaio del 1623, a soli due anni distanza dal suo nemico-Papa, vedendo le devastazioni causate dalla Guerra dei Trent’Anni scrisse con grande preveggenza: “per l’abuso della religione vengono le più crudeli guerre e le più perniciose contaminazioni che possono occorrere, e li tempi presenti ne portano lamentevoli esempi”.
Il cosiddetto “Oracolo del secolo” aveva ragione, perché di tanti “lamentevoli esempi” di abuso del nome di Dio, da parte di uomini cattivi e fanatici, siamo testimoni impotenti anche ai giorni nostri.
Accompagna questo scritto un disegno seicentesco raffigurante Fra Paolo Sarpi, con l’iscrizione “Non si verrà mai più un Fra Paolo”.
 

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